Quattro chiacchiere con Pietro Righi Riva su Saturnalia
In occasione della prova dell’anteprima di Saturnalia abbiamo intervistato Pietro Righi Riva, game director di Santa Ragione. Un’occasione per discutere dei processi, degli intenti e delle influenze alla base del progetto
Ciao Pietro, grazie di essere qui e benvenuto. Ci parli del rapporto tra Saturnalia e territorio? Anche se Gravoi – il paese in cui è ambientato il gioco – non esiste il lavoro di ricerca sul campo sembra essere stato importante
Sì, e noi con Saturnalia abbiamo anche un primato: il nostro è il primo videogioco realizzato in collaborazione con una film commission (uffici regionali che si occupano, attraverso il cinema, a promuovere i territori ndr.), la Fondazione Sardegna Film Commission. Grazie anche al lavoro di Andrea Dresseno e la sua IVIPRO – che da tempo si occupano di mettere in contatto studi di videogiochi e istituzioni locali – a cui ci siamo rivolti nel momento in cui abbiamo deciso di ambientare il gioco in Sardegna, la film commission sarda ci ha “adottati” da subito mettendosi a disposizione per il location scouting. Ci hanno quindi portati e accompagnati sull’isola e, in base a una lista di luoghi che la nostra art director voleva vedere, ci hanno portati in giro per una settimana, mostrato location varie, permesso di fotografare e registrare video e audio di quei luoghi e di quelle situazioni. Tutto questo materiale è poi servito come referenza per la produzione del gioco.
A proposito di direzione artistica: ho notato che il gioco ha un’impronta fumettistica noir per i contrasti e una derivazione dal cinema espressionista tedesco per altri elementi. Vi è venuto in mente prima questa estetica o è una conseguenza delle visite in Sardegna?
È una conseguenza di un lavoro sulle fonti di ispirazione, principalmente dal cinema post-espressionista horror e giallo italiano degli anni 70 da cui derivano i giochi di luce e le scelte cromatiche. Il cinema tedesco degli anni ’30, invece, è stata una fonte per le geometrie dei luoghi che non sono propriamente realistici. La nostra art director, infatti, è una scenografa di teatro con un bagaglio culturale di questo tipo. A questo va aggiunto un terzo livello di ispirazione che va ritrovato nei fumetti italiani come Dylan Dog. Tutte queste suggestioni sono state indipendenti dalla Sardegna.
Prima abbiamo parlato di registrazioni audio fatte sul posto. Devo confidarti che il sound design di Saturnalia è la parte che più mi ha colpito e quindi mi viene da chiederti: quanto di quelle registrazioni è finita nel gioco e come è avvenuto il processo di progettazione dei suoni?
Un po’ di registrazioni le abbiamo effettuate sul campo mentre altri suoni derivano da librerie di strumenti tradizionali della cultura sarda che ci sono state concesse in licenza per il gioco. Per esempio la canzone dei titoli di testa, il brano che apre il gioco, utilizza dei campioni di un quartetto di tenori che abbiamo registrato a Mamoiada che abbiamo poi reinterpretato per adattarli con il testo della canzone che racconta una storia differente. Anche alcuni elementi del contesto, come lo scampanare della chiesa, sono stati registrati sul posto. Chiaramente c’è anche del nuovo, ovvero suoni completamente originali.
Da giocatore da tavolo sono rimasto molto contento dal sapere che ad affiancarvi c’è una squadra che normalmente opera in quell’ambito, ovvero Horrible Guild. Trovo molto bello che due eccellenze del game design nostrano si uniscano per fare qualcosa insieme
Ti ringrazio per i complimenti. Io conosco Lorenzo Silva di Horrible Guild dal 2010, quando ancora era in Cranio Creations, perché la primissima edizione del nostro gioco da tavolo – Escape From The Aliens In Outer Space – è stata prodotta da Cranio. Da quando Lorenzo ha fondato la sua casa editrice io sono andato ad aiutarli a realizzare le edizioni digitali dei loro giochi, che ancora oggi seguo. E quindi poi quando come Santa Ragione abbiamo iniziato a pensare al nostro nuovo progetto, ho proposto a Horrible di cofinanziare il prototipo di Saturnalia e di partecipare al game design, inserendo gli elementi di progettazione a loro più affini. Da quel momento è nata la collaborazione. Per esempio la meccanica di rigenerazione di Gravoi, che cambia la sua conformazione ogni qualvolta tutti i personaggi a disposizione di chi gioca muoiono, è una meccanica da gioco da tavolo che ha studiato e preparato Lorenzo che noi abbiamo implementato secondo la sua visione. Questo, tra l’altro ci ha risolto un sacco di problemi: perché se avessimo dovuto gestire questa parte del gioco proceduralmente sarebbe stato molto più complicato della soluzione che ha trovato lui.
Infatti mi ha colpito molto la definizione del meccanismo, che vi ha portato a identificare il gioco non come roguelike ma come rougelite proprio per evidenziare che la componente à la Rogue sia ridotta. Possiamo dunque dire che, tornando al gioco da tavolo, questo aiuti ad astrarre e ridurre ciò che il genere normalmente richiede?
Sì, sicuramente. Se non altro c’è una influenza, anche un po’ nella struttura delle missioni e nei puzzle. Nonostante sia impegnato nelle sue cose, le consulenze di Lorenzo sono state utili proprio perché ha una prospettiva di design che noi non pratichiamo molto facendo videogiochi. E secondo me si vede giocando il gioco.
Assolutamente sì, io ho infatti notato un gusto che mi ha ricordato il gioco da tavolo guardando la struttura del menù di pausa…
Quello è un lavoro che ha fatto Niccolò Sala, nostro musicista e responsabile dell’user interface sia per Saturnalia che per le versioni digitali dei giochi di Horrible Guild. Sicuramente avendo lavorato tanti ai giochi da tavolo è stato influenzato da questa cosa.
Parlando di storia e personaggi: perché la scelta di segmentare la trama di Saturnalia su più personaggi giocabili, ognuna e ognuno con il proprio punto di vista?
Senza fare eccessivi spoiler l’idea è che dalle storie personali di questi quattro personaggi e raggiungendo il termine di ciascuna delle storie si colga un tema comune e fondamentale. Un tema che riguarda i legami di ciascuna e ciascuno con il villaggio di Gravoi, con i rituali, con l’aspetto horrorifico. La quadra e i relativi collegamenti dovrebbero venire dall’osservazione e dal confronto di queste storie. Cos’hanno queste storie in comune? Perché hanno degli elementi in comune? Questo dovrebbe essere il ragionamento che sta alla base dell’esperienza che hai quando completi il gioco. Quindi, per poter avere queste multiple prospettive che confermano un pensiero di fondo; era necessario anche dimostrare che non è necessariamente una prospettiva a essere dominante ma che invece c’è una dinamica condivisa che si manifesta in tutte queste casistiche. E non si tratta di dimostrare o smentire che un dato personaggio abbia ragione ma, piuttosto, lasciare più indizi per dimostrare una tesi. Il fatto che più personaggi confermino questi indizi dà più affidabilità alla tesi che si cerca di dimostrare, perché declinata in una serie di casi diversi.
Ho apprezzato moltissimo, per quanto riguarda la componente à la Rogue, che con il game over tutti gli elementi narrativi e le scoperte fatte da chi gioca rimangono mentre viene resettato solo ciò che è consumabile nell’inventario. Questo approccio anti-frustrazione e votato alla narrazione mi ha ricordato molto un altro roguelike che ha voluto scardinare la norma, Hades.
Il tutto, in realtà, nasce per noi su ragionamento sul gioco horror e sul fatto che l’horror – in quanto tale – deve avere un rischio. Come si fa ad avere un rischio senza punire chi gioca? Senza obbligare nel rifare parti di gioco che punirebbero comunque ma a quale mancherebbe l’elemento pauroso? Per esempio: se stai rifacendo una sequenza di un Resident Evil sai già cosa ti succede e tutti i jumpscare, se muori dopo un salvataggio e lo riavvi, non cambiano e rimangono gli stessi. Quindi la punizione svuota degli elementi di sorpresa tipici del genere. Come si fa, quindi, a mantenere la tensione senza inserire l’elemento di frustrazione dovuto al dover ricominciare? Da qui nasce l’idea di questo soft game over, in cui viene tolto un elemento di conoscenza (la geografia del luogo, ndr.) che è un elemento importante e che quindi rende grave la punizione però senza obbligarti a rifare cose che già sai dove portano.
Questo è un modo piuttosto intelligente per usare una struttura di game design (quella dei roguelike, ndr.) che solitamente viene usata per altro che, tra le altre cose, contribuisce anche ad aggiungere livelli alla struttura tensiva, e quindi paurosa, di Saturnalia. Tornando invece sull’ambientazione: il gioco, senza la Sardegna sarebbe potuto esistere?
Sì, ma se non fosse stata la Sardegna sarebbe dovuto essere un luogo altrettanto evocativo, con una tradizione e un folklore vivo come quello sardo che ci avrebbero permesso di riempire il gioco. Chiaramente non è una storia che sarebbe potuta esistere solo in Sardegna, però questa regione davvero è ideale. Perché ci ha permesso di collocare la storia di Saturnalia dentro la tradizione dei carnevali, o anche legare le storie dei personaggi con la miniera di Gravoi cosa che non sarebbe possibile in un altro luogo. Ci sono tantissimi elementi che ci hanno ispirato per delineare i profili dei personaggi, i meccanismi dei puzzle, la struttura del game design che senza la Sardegna sarebbe stato difficile trovare. Per questo avremmo dovuto cercare qualcosa di altrettanto ricco e speciale che io, personalmente, non conosco.
Per non parlare degli elementi già citati come l’aspetto sonoro e musicale: tutto è molto dipendente dalla sua ambientazione. Non abbiamo mai avuto, per questo motivo, momenti di concept del gioco senza avere la Sardegna come punto di riferimento. Appena abbiamo pensato all’idea di base, un horror monster labyrinth con una risorsa limitata, poiché ci siamo sempre premurati di ambientare i nostri giochi in Italia abbiamo subito pensato alla Sardegna come ambientazione. Non c’è stata una fase di design in cui non avessimo quei luoghi in mente, tutti gli elementi aggiuntivi sono arrivati quando già avevamo confermato l’ambientazione. Però, l’utilizzo del folklore e la sua unione con la mitologia del gioco è più un’ispirazione che non una trasposizione; perché i carnevali e le maschere sarde hanno tutto un altro significato rispetto a quello che è nel gioco. Non volevamo richiamare l’aspetto sacrale e religioso dei mammuttones per costruirci sopra un’esperienza orrorifica; motivo per cui il villaggio è immaginario e la maschera, seppure ispirata, è immaginaria. Per non falsare le fonti originali.
Ultima domanda. Ho notato che ci sono molti riferimenti al clima politico italiano della fine degli anni ’80. Volevate che fosse un tema o è semplicemente una nota di colore?
È certamente un tema e anzi c’è tutta una parte della storyline che è dedicata a questo elemento e lo analizza da più punti di vista. L’argomento politico è anche, poi, quello che collega le storie dei quattro protagonisti e su chi gioca è chiamata o chiamato a riflettere. Anche questo fa parte del nostro DNA, nel senso che penso che oggi sia responsabile fare videogiochi che facciano riflettere su alcuni aspetti della politica. E pure Saturnalia riflette questa nostra prospettiva: è un gioco che vuole rapportare le domande e i problemi dell’Italia della fine degli anni ’80 con quelli dell’Italia degli anni 2020; come penso dovrebbe fare un prodotto contemporaneo.
Quindi sì, non è solo un elemento di colore o contestualizzazione ma una caratteristica che rende il nostro gioco politico. Sicuramente non è come il nostro Wheels Of Aurelia che affronta esplicitamente dei problemi, simulando delle conversazioni su queste questioni, ed è più implicito nei legami tra i personaggi e nei contesti che provocano determinate situazioni. Qui si parla più di problemi legati alla società rispetto alla specifica situazione politica e partitica dell’Italia degli anni in cui abbiamo ambientato il gioco. Questo anche per essere più accessibili a un pubblico più internazionale.