Bastardi a mano armata: il nuovo thriller di Gabriele Albanesi vanta un cast di prim’ordine. Ma può bastare?
Una ragazza viene freddata da colpi di mitragliatrice mentre fa l’amore, in un’automobile, con un uomo del quale non ci viene mostrato il volto. Inizia così Bastardi a mano armata, il nuovo film di Gabriele Albanesi, distribuito sulle principali piattaforme di streaming dall’11 febbraio 2021.
Come si inserirà questo episodio all’interno di un lungometraggio ambientato quasi esclusivamente in una casa, lo scopriremo soltanto in seguito, ma lo mettiamo da parte, consapevoli che prima o poi si ricongiungerà alla narrazione principale, che si svilupperà da qui in avanti.
Una narrazione che ci porta dapprima nelle prigioni algerine, dove un certo Diotallevi (Marco Bocci) viene fatto uscire da un avvocato che rappresenta un uomo misterioso ma evidentemente molto influente e con amicizie importanti. Ad una condizione, però: dovrà entrare in un’abitazione e compiere una missione per lui.
Violenza e vendetta
La missione, che ovviamente il Diotallevi accetta senza remore pur di uscire dal carcere e tornare in Italia, ci porta subito all’ultima e definitiva location della missione: la casa di cui sopra, ovvero una villetta cui una vive una famiglia apparentemente perfetta, di estrazione borghese o comunque con elevate possibilità economiche, alle prese tuttavia con piccoli problemi legati all’esuberante personalità della figlia Fiore (Amanda Campana), una ragazza con qualche vizio di troppo, che passa le giornate sui social, mettendo foto di sé con ben pochi vestiti addosso.
Problemi che ben presto diventeranno ininfluenti, quando il già citato Diotallevi farà irruzione nella villa armato di pistola, chiedendo loro alcuni documenti.
Ma di quali documenti parla? La moglie Damiana (Maria Fernanda Candido) e la figlia Fiore sembrano all’oscuro di tutto, ma è evidente che il patrigno Michele interpretato da Peppino Mazzotta nasconde qualcosa.
In pochi minuti siamo quindi al centro dell’azione, perché Bastardi a mano armata è un crime-thriller dal ritmo serrato e con una forte aderenza ai cliché di genere, che di certo non ha la pretesa di brillare in quanto a originalità, ma si culla eccessivamente su un andamento routinario dettato da uno script che segue pedissequamente i dettami tracciati dai tanti predecessori e che punta tutto su un cast in grado di incuriosire e intrigare lo spettatore.
Marco Bocci interpreta un uomo senza alternative, messo alle strette da qualcuno che sa di poter giocare col suo destino, ed è lui che per lunghi tratti deve reggere l’intera baracca messa in piedi da Albanesi, facendolo in modo convincente, nonostante un look un po’ macchiettistico e figlio degli stereotipi, ma mostrando sul suo volto la disperazione e anche la profonda stanchezza di un uomo che vorrebbe al più presto fuggire da questa vita criminale.
Di tutt’altra pasta sembra invece il misterioso personaggio interpretato da Mazzotta, dallo sguardo impenetrabile che non lascia trasparire emozioni, e probabilmente la scelta giusta dato che – sebbene in tutte altre vesti – anche il suo assai più noto Fazio ne Il Commissario Montalbano è sempre stato una figura impassibile e imperturbabile.
A dare brio ci pensa la sovversiva Fiore impersonata da Amanda Campana – accompagnata dalla straordinaria Rebel Yell di Billy Idol (with a rebel yell she cried more, more, more) – che si prende la scena al momento giusto, regalandoci uno dei personaggi meglio approfonditi psicologicamente in un’opera che lascia l’introspezione un po’ ai margini e dà persino poco spazio alla spiegazione degli eventi, che pur quando ci viene fornita sembra comunque accessoria rispetto al core di Bastardi a mano armata: botte, sangue e pallottole. E soprattutto vendetta.
Vendetta che si presenta in modo roboante in una seconda parte che accende improvvisamente il film, grazie all’avvento di Caligola (Fortunato Cerlino), il quale ci dona comunque in breve un quadro più chiaro della situazione, prima di sfoderare una performance dal carattere anche troppo esuberante.
L’epilogo a questo punto appare scontato, ma del resto visto l’andamento della trama non ci si attendeva particolari plotwist quanto invece una degna conclusione in un crescendo di ultraviolenza.
Tutto questo c’è, sebbene resti sempre troppo fine a se stesso e non esalti mai, lasciandoci con la sensazione di aver passato un’ora e trenta in compagnia di un crime thriller che ha bandito la noia ma che ha fatto il pieno di cliché, lasciando tutto nelle mani di un buon cast e della convincente fotografia desaturata di Davide Manca, ma ben poco alla curiosità dello spettatore.