Il Dō e il Giappone: seguire una via per migliorare se stessi
Il concetto di Dō potrebbe sembrare semplice, anche per quanti non vivono in Giappone. In fondo pure noi gaijin possiamo trovare accessibile il concetto di un percorso da seguire. Una strada maestra che ci conceda un miglioramento personale. Meno facile è vedere come tale concetto abbia più sfumature all’interno della vita di un abitante del Sol Levante.
La principale differenza è che per un occidentale un percorso di crescita si applica solo a cose concrete, volte all’attività sportiva, allo studio, a una forma d’arte, al lavoro. Impegnarsi per primeggiare in una disciplina, faticare sui libri per ottenere (si spera) un riconoscimento nella vita.
Al contrario, per il popolo giapponese e per lo zen qualsiasi cosa può diventare un percorso, una via, un Dō. Dall’arte della scrittura (lo Shodō) fino alla cerimonia del tè (Chadō), passando per diverse discipline sportive, come il Judo o l’Aikido. Proprio questa enorme varietà di concetti fa diventare il Dō estremamente sfuggente. Non esiste una definizione univoca della sua essenza e, per questo motivo, tentare di applicarne una alla grande varietà di attività può diventare un limite.
Si possono davvero mettere sullo stesso piano il Bushido e il la cerimonia del tè? Entrambe sono “vie”, percorsi, discipline. Ma da una parte abbiamo il codice di condotta e i principi morali che deve seguire un samurai nella sua vita. Dall’altra una raffinata pratica che contiene in sé qualcosa in più di un momento di convivialità e che trascende nell’estetica filosofica.
Di fronte a questa realtà, non resta che “arrendersi”: per comprendere il Dō come concetto universale, sarebbe necessario comprenderli tutti. Un’operazione laboriosa, che non può certo essere compiuta in questa sede. Possiamo tuttavia tentare di parlarne in maniera più generale. E lasciare che siano i lettori, a seconda del caso, ad applicare questa definizione a vari aspetti della vita.
Una crescita speculare: il Dō e lo Zen il Giappone
Per comprendere al meglio il concetto di Dō e come esso abbia influenzato la storia del Giappone, è necessario partire da quell’insieme di scuole e pratiche filosofiche e religiose che cade sotto il nome di Zen. Il buddhismo Zen affonda le sue origini nelle tradizioni antecedenti del Chan, derivate da quelle indiane e cinesi e diffuse in buona parte del sud est asiatico. Il suo arrivo nell’arcipelago giapponese si colloca nel IX secolo, con la fondazione di alcune scuole che tuttavia stentarono ad affermarsi.
I primi successi nella diffusione dello Zen furono dovuti ai monaci Eisai Myōan nel Secolo XII ed Eihei Dōgen nel XIII. L’affermarsi dello Zen nell’arcipelago giapponese portò, poco alla volta, a un suo radicamento nella società. Come spesso accade concetti e tematiche religiose finiscono per fondersi con la vita quotidiana. In questo caso si può dire che ciò avvenne con il Dō che, da stile di vita dei monaci buddhisti, divenne una pratica per tutti i fedeli presenti sul suolo del Giappone, arrivando a diventare una parte formale della vita quotidiana nel Periodo Edo.
Spesso in occidente tendiamo a vedere lo Zen come una pratica puramente meditativa, priva di elementi pratici. In realtà, nelle pratiche del buddhismo Chan e successivamente in quelle Zen vi erano diverse forme di applicazione nella letteratura, nella retorica e nelle arti più disparate. L’idea di perfezionarsi in queste settori diveniva un modo per migliorare se stessi. Qualcosa che, con la diffusione della religione buddhista nelle isole del Giappone, iniziò ad applicarsi a diversi aspetti della vita quotidiana. Il perfezionamento di sé poteva giungere in qualsiasi contesto a seconda della propria estrazione sociale e del proprio mestiere. Così una cortigiana poteva elevarsi raggiungendo la maestria nell’arte dell’ikebana, il letterato poteva migliorare la propria persona tramite lo Shodō, e il samurai perfezionarsi seguendo il Bushido.
Forgiare ed essere forgiati
L’errore principale che si potrebbe commettere nel valutare il Dō è quello di vederlo come qualcosa di fine a se stessi, uno “strumento” utile solo per l’individuo e basta. In realtà il perfezionamento funziona in due direzioni. Chi intraprende una “via” cerca di raggiungere la maestria in un’arte, applicandosi con costanza e dedizione. Ciò che permette alle persone di migliorarsi è la scelta di dedicarsi corpo e anima.
I sacrifici fatti per ottenere un risultato, la fatica e l’impegno profuso nello sforzo vengono ripagati non solo con il raggiungimento del proprio fine, ma anche con una maggiore maturità personale e intellettuale. In un certo senso l’arte intrapresa finisce per migliorare le persone quasi quanto la persona si migliora in quell’arte. Va ricordato tuttavia che, nella storia del Giappone, qualsiasi cosa può diventare oggetto di un Dō, anche la levigazione dei sassi, cosa che agli occhi di noi occidentali risulta senza dubbio bizzarra. Non è importante tanto l’arte a cui si sceglie di applicarsi: la sola cosa importante è farlo con costanza.
Per rendere ancora più chiaro questo concetto si può pensare a una forma di Dō molto diffusa in Giappone, quello degli armaioli tradizionali. Forgiare una katana richiede tempo e fatica. Sono molte le tecniche da applicare a quella che, a tutti gli effetti, è una forma artistica. Nel farlo l’armaiolo deve mettere il massimo impegno e la massima concentrazione in ciò che fa: un piccolo errore potrebbe compromettere il risultato. Ma, seguendo questo procedimento alla lettera, l’artista ottiene un beneficio interiore. Mentre l’individuo forgia la spada, la spada forgia l’individuo. Lo martella, lo piega e lo trasforma in una versione migliore di sé.
Se volessimo azzardare un parallelismo con la filosofia occidentale potremmo pensare al concetto di Panta Rhei espresso da Eraclito. Il Dō è un flusso, un divenire. Qualcosa che modifica l’individuo e lo rende diverso da ciò che era. I fanciulli divengono adulti; gli allievi maestri. Il fiume continua a scorrere e non sarà più possibile, nel corso della vita, bagnarsi nella stessa acqua in cui ci si è bagnati in passato, così come non è possibile approcciarsi a una disciplina nella stessa maniera in cui lo si è fatto all’inizio. Semplicemente perché essa ci ha cambiati.
Dō for dummies: la “Via” nella cultura di massa del Giappone
Parlare del Dō in questi termini potrebbe averci dato un’idea di cosa esso sia: ciò che forse non ci è chiaro è quanto esso permei la società del Giappone. Un modo per superare questa barriera potrebbe essere quello di guardare alla cultura di massa del Sol Levante, in particolare ai suoi prodotti più noti in occidente: anime e manga.
Sin dalla nostra infanzia ci siamo trovati davanti a prodotti di intrattenimento diversi provenienti dall’estremo oriente. Ma quello che (forse) non abbiamo mai realizzato è quanto in essi sia presente il concetto di “via”, di strada da seguire. È soprattutto in due generi di manga che troviamo questo concetto, i battle shōnen e gli spokon, i fumetti sportivi. Tiger Mask, per abbattere la Tana delle Tigri, percorre la via del ring e si dedica con tutte le sue forze a realizzare nuove tecniche di lotta che gli permettano di abbattere i suoi avversari. E pure Pegasus (quando non cade nel burrone…) cerca di bruciare il proprio Cosmo al massimo, per sconfiggere l’avversario. Senza contare gli allenamenti estenuanti a cui si sottopongono Goku, Naruto, Zoro e tanti altri personaggi dei nostri shōnen preferiti.
Uno dei concetti di Dō meglio espressi nelle produzioni recenti lo troviamo in My Hero Academia: Izuku Midoriya, sotto la guida di All Might, si allena per diventare degno di ereditare il quirk One for All. E, successivamente, sottopone se stesso a continue critiche e allenamenti per poter migliorare la sua comprensione di questo potere. Deku migliora nell’uso del suo quirk. Ma, allo stesso tempo, il quirk costringe Deku a migliorare se stesso.
Ma il miglioramento di sé non passa solo per sport e combattimenti. Lo abbiamo detto, in Giappone anche momenti di vita quotidiana possono essere parte integrante di un Dō. In fondo, se anche indossare un grembiule da casalingo può portare a una crescita interiore, qualsiasi cosa può davvero renderci persone migliori. L’importante è solo applicarsi alla via scelta con disciplina e volontà.