Dopo tanta attesa è uscito Biomutant, action rpg open world in cui gli animali hanno ripopolato il mondo dopo una tragedia ambientale
Biomutant è uno di quei titoli che avrei voluto fossero usciti fuori bene. L’opera prima di Experiment 101 si presentava interessante, e avevo trovato anche apprezzabile il silenzio stampa durato un annetto grazie al quale gli sviluppatori hanno potuto lavorare al di fuori delle luci dei riflettori e hanno evitato il crunch.
Le premesse c’erano tutte: in fondo, chi non vorrebbe esplorare un lussureggiante mondo post apocalittico abitato da animaletti mutati? Biomutant però sembrava voler proporre molto altro, tra un racconto fortemente ecologista, un sistema di combattimento complesso e un sistema RPG sfaccettato. La realtà dei fatto è però diversa.
Purtroppo quando si prende in mano il pad e si selezione “nuova partita” ci si rende rapidamente conto che nulla è come sarebbe dovuto essere, e che le diverse anime di Biomutant non riescono a lavorare di concerto ma appaiono più come spunti presi in prestito da altri giochi mal amalgamati tra loro e incapaci di traghettare il gioco verso una direzione specifica, e quella che avrebbe dovuto essere un’epopea dinamica e colorata si trasforma ben presto in una serie di tediose missioni troppo simili tra loro tenute assieme da un racconto fuori fuoco abitato da personaggi troppo spesso poco interessanti.
Quello che “ferisce” di più è il vedere dietro questa coltre di problemi diverse intuizioni che avrebbero potuto rendere Biomutant molto di più di quello che purtroppo è, evidentemente sacrificate sull’altare del grande open world.
Quando gli animali si son fatti uomini: la società in Biomutant
Dopo aver creato il personaggio e un inizio guidato utile a spiegarci le basi del gioco, Biomutant ci lancia subito nel suo vasto mondo aperto con due obiettivi principali: riunire le sei tribù in lotta e sconfiggere i quattro Mangiamondo che occupano le radici dell’Albero della vita, che troneggia al centro della mappa.
Il mondo di Biomutant è in rovina, e scopriamo fin da subito che la causa è di una catastrofe ambientale causata da una megacorporazione. Si capisce da alcuni dialoghi che gli animali geneticamente modificati che abitano il gioco sono venuti successivamente al disastro, e che questo è stato causato da esseri umani. La nuova civiltà si è quindi costruita sulle macerie della precedente, ma questo non ha risanato il mondo che continua a essere a un passo dalla mezzanotte.
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La narrazione è tutta sulle spalle di una voce narrante che si fregia di un ottimo doppiaggio. La soluzione adottata da Experiment 101 è senza dubbio interessante e riuscita: la voce è quella di un automa che segue il nostro protagonista, che ci racconterà cosa dicono gli altri personaggi come fosse un interprete di una lingua che non comprendiamo, oltre a commentare diversi avvenimenti del gioco. Purtroppo dopo qualche ora i nodi vengono al pettine, e le frasi dette dall’automa cominciano a ripetersi eccessivamente (troviamo anche un’opzione per farlo parlare meno), mentre i dialoghi iniziano ad attorcigliarsi su loro stessi iniziando a perdere di coerenza, con personaggi che rispondono cose totalmente sconnesse a quelle che gli abbiamo chiesto, o risposte da dare a loro volta sconnesse con quanto ci è stato detto.
Oltre all’inevitabile rottura della sospensione dell’incredulità questi problemi di narrazione non aiutano nel world building, già di per sé sostenuto per la maggior parte del tempo dall’eccellente lavoro svolto sulla componente estetica del gioco. Le diverse tribù hanno caratteristiche che riusciamo a ricollegare a nazioni o ideologie della storia, ma non vengono mai approfondite, lasciando il giocatore con delle suggestioni che mai trovano però una soluzione. Questo discorso è purtroppo vero per molti altri elementi del gioco che sulle prime battute sembrano portare da qualche parte, per poi rivelarsi solo suggestioni.
La non completa comprensione delle tecnologie umane da parte degli animali e il vago alone di magia che queste hanno all’interno del mondo di gioco, corredata da nomi buffi e molto efficaci grazie anche a un ottimo lavoro di traduzione e adattamento, è efficace perché il giocatore completa le informazioni mancanti, ugualmente il non spiegare quali sono le idee che muovono le tribù nelle loro lotte non funziona perché non basta che una tribù sia vestita in armature giapponesi e un’altra con divise da football per sviluppare un effettivo discorso sull’imperialismo del Giappone o sull’American Way of Life.
Certo, alcuni elementi mi hanno portato a mettere in raccordo l’abbigliamento a un ipotetico messaggio e un’ipotetica caratterizzazione delle tribù in questione, ma anche in questo caso la sensazione è quella di una suggestione perché le tribù non interagiscono, non le approfondiamo mai, rimangono solo spunti.
Quello che invece funziona bene, come già accennato, è la realizzazione del mondo di gioco. Oltre all’aspetto tecnico, certamente un po’ altalenante ma comunque in grado di colpire per una messa in scena che non ci saremmo aspettati da uno studio di dimensioni limitate, il mondo riesce a raccontare qualcosa della civiltà che ha preceduto l’epoca in cui si svolte Biomutant. Le centrali nucleari abbandonate, le cittadine spoglie, i veicoli sulle superstrade crollate e i vagoni del treno deragliati, il mondo è piacevole da esplorare e tratteggiato con perizia. Capita spessissimo di vedere edifici in lontananza e di voler deviare dal percorso per esplorarli, spesso trovando poco se non un po’ di loot e qualche elemento bloccato perché legato a una missione, ma il senso di scoperta e meraviglia che il mondo di gioco riesce a restituire è probabilmente il suo punto di forza principale.
Menare le zampe: combattimento e gameplay di Biomutant
Purtroppo i problemi di Biomutant si estendono anche a diverse meccaniche di gameplay. Nonostante il gioco cerchi di rinnovarsi continuamente, proponendo ad esempio dei veicoli nelle boss fight principali che risultano tra i momenti più ispirati della produzione, tutto il resto è piuttosto piatto e ripetitivo.
Prendiamo ad esempio il sistema di combattimento, che sembrava essere uno dei punti forti della produzione. L’ispirazione è quella di Batman Arkham, di cui però manca la fluidità e la precisione. I nemici si affrontano in arene utilizzando armi corpo a corpo e armi a distanza, il lock on è automatico ed è possibile schivare e effettuare parry per aprire la guardia del nemico e contrattaccare con una serie di colpi imparabili. Le armi bianche sono un po’ troppo simili tra loro, e le armi a distanza hanno il problema che con la giusta pazienza è possibile vincere praticamente qualsiasi scontro, tenendo la giusta distanza. Il sistema di lock on poi funziona un po’ come vuole lui, senza permettere di scegliere agevolmente il nemico in fase di combattimento corpo a corpo e senza garantire una buona mira in fase di combattimento a distanza.
Il sistema di combo è abbastanza povero, e non c’è molto da fare se non chiudere una serie con un attacco più potente, schivare o parare e ricominciare da capo. Il tutto è però estremamente scenografico, con fasi al rallentatore nei momenti finali degli scontri o quando si esegue una parata perfetta. C’è poi la possibilità di utilizzare poteri, che mi è però sembrata non così impattante nel quadro generale del sistema di combattimento – ma c’è da dire che ho giocato a Biomutant con un personaggio orientato verso la forza fisica.
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L’altro perno del sistema di combattimento è poi il sistema di crafting, devo dire ben costruito e piacevole da studiare: seguendo il concept del mondo post apocalittico in Biomutant troveremo più spesso componenti che armi finite, e tutti questi componenti possono essere combinati tra loro per creare nuove armi. Nelle fasi più avanzate del gioco è molto divertente cercare di ottimizzare i frammenti di arma in proprio possesso per massimizzare il risultato finale.
Se il sistema di combattimento non è granché non lo sono neanche le fasi di conquista dei forti avversari, nonostante l’evidente sforzo degli sviluppatori di non fare una serie di arene in cui combattere orde di avversari fino ad arrivare al boss finale dell’area. Purtroppo le soluzioni messe in campo per variare risultato essere un po’ sempliciotte e poco ispirate, oltre che eccessivamente ripetute. Le fasi di conquista sono generalmente piuttosto brevi, e in molti casi possono essere risolte con la diplomazia e senza passare per le armi.
L’intuizione è ottima, purtroppo all’atto pratico ci troviamo di fronte a momenti di gioco ripetitivi e banalotti, anche per via della scarsa empatia che si riesce a costruire con le tribù che andremo a conquistare e le loro motivazioni, come già visto qualche riga fa.
Fortunatamente ci sono gli animali
Quello che veramente funziona bene in Biomutant è invece tutto l’impianto estetico. Nonostante qualche texture non proprio all’ultimo grido, complessivamente la resa visiva è eccezionale. I diversi biomi sono bellissimi da vedere e riescono a mantenere una certa coerenza nel complesso del mondo di gioco, variando però spesso lo scenario che non risulta mai ripetitivo, né statico. Le piante si agitano tutte al vento e l’erba alta fa da tappeto ad ogni spostamento del nostro piccolo mutante, rendendo un piacere muoversi sia a piedi che a cavallo. Il mondo in rovina poi riserva diverse sorprese che è difficile non voler esplorare, tra gallerie, bunker e sistemi fognari, ma anche alti edifici e stazioni radio. Si riescono a percepire le vestigia della civiltà che ha preceduto quella degli animali mutanti tanto nei resti abbandonati di un vecchio supermercato o di una vecchia pompa di benzina quanto in una centrale nucleare che perde scorie radioattive a cui è difficile avvicinarsi senza prima aver trovato la giusta tuta.
L’impianto visivo è ottimo sia sotto il profilo tecnico che sotto quello artistico, grazie a scelte cromatiche sempre azzeccate e efficaci ma anche a un interessante (ri)utilizzo di ispirazioni estetiche della nostra società cucite in un contesto improbabile. Il design delle creature è anche curatissimo e in molti momenti si fa eccezionale – come nel caso di alcuni Mangiamondo – riuscendo a dare una sfumatura cartoon decisamente ben pesata all’interno di un contesto decisamente grave, aiutato anche da un adattamento dei testi veramente di prim’ordine accompagnato da un doppiaggio italiano ottimo.
Andando a stringere però, il problema di Biomutant è semplice: c’è troppa, troppa carne al fuoco. Il gioco è molto grande ed è pieno di meccaniche, molte di più di quante non ve ne abbia raccontate. La quasi totalità di queste meccaniche non funziona pienamente e soprattutto non riesce ad amalgamarsi con le altre. Ci sono problemi col sistema di combattimento, ma anche con i dialoghi e le missioni secondarie.
Come spesso accade viene da pensare cosa sarebbe potuto essere Biomutant se fosse stato più piccolo, con meno cose messe però più a fuoco. Probabilmente sarebbe stato eccezionale. Quello che appare chiaro è però che gli sviluppatori abbiano talento e potrebbero dare molto di più: l’estensione di Biomutant è un piccolo miracolo se rapportata alla dimensioni del team. Nonostante Biomutant non sia un prodotto che posso definire riuscito, ho comunque aspettative per il futuro di Experiment 101.
- Potete trovare Biomutant in versione console su Amazon o in versione PC su Steam