Nuovo capitolo della saga iniziata da James Wan, The Conjuring – Per ordine del diavolo è un’indecente operazione di riscrittura della realtà
Terzo capitolo della saga ideata da James Wan nel 2013, The Conjuring – Per ordine del diavolo porta in scena un altro caso ispirato alla vita dei coniugi Ed e Lorraine Warren, ricercatori sul paranormale attivi durante gli anni ’70 e ’80. Quello che è forse il padrino dell’horror americano contemporaneo, James Wan, a questo giro passa il testimone, e dietro la macchina da presa troviamo Michael Chaves, regista già famoso per aver diretto nel 2019 il film dell’orrore La Llorona – Le lacrime del male.
Siamo nel 1981 e il giovane Arne Johnson viene ritrovato in mezzo alla strada ricoperto di sangue. Ha ucciso una persona a pugnalate ma non se lo ricorda, non ha idea di cosa sia successo. Il motivo è semplice quanto macabro: era posseduto dal demonio.
I fatti di The Conjuring – Per ordine del diavolo si ispirano al caso giudiziario realmente accaduto di un giovane del Connecticut che usò la giustificazione della possessione come attenuante nel suo caso di omicidio, provocando così il primo precedente nella storia giudiziaria americana di difesa legale basata «sull’influenzamento psicologico dovuta ad una possessione demoniaca al momento del reato contestato.» L’autore di una ripubblicazione di un libro basato sul caso, Carl Glatzel Jr., dichiarò che «la storia della possessione demoniaca era un’invenzione dai coniugi Warren per pubblicizzare la loro attività, sfruttando la disabilità mentale di Johnson e la debolezza emotiva della famiglia dovuta alla situazione dell’epoca.»
Quest’ultima affermazione è probabilmente vera, ma ciononostante il film di Chaves la ignora beatamente e sviluppa la propria narrazione “basata su una storia vera” con la speranza che il proprio pubblico creda realmente a ciò che sta vedendo.
I coniugi Warren erano personalità televisive ed editoriali che facevano parte della cerchia degli psichici, curatori di fede e medium, gente che riscuote un grosso successo tra le fasce di popolazione più suggestionabili e malleabili. Se volete approfondire come queste persone siano in realtà un grosso pericolo pubblico, vi lasciamo a un video ricco di contenuti sull’argomento fatto dallo youtuber Super Eyepatch Wolf (clicca qui).
Ma torniamo al cinema. Pur se ignoriamo tutte le questioni d’ordine etico e morale che si celano alla base del film, in The Conjuring – Per ordine del diavolo non troviamo molto che valga la pena salvare. Quello del caso giudiziario legato alla possessione demoniaca poteva essere un soggetto interessante (tra l’altro già sviluppato in passato dall’eccellente The Exorcism of Emily Rose), ma il film decide invece di ignorare quasi totalmente il dramma legale per concentrarsi sull’indagine demoniaca dei Warren. Scelta molto saggia, visto che la corte all’epoca finì ad ogni modo per condannare Arne Johnson ai 10/20 anni di prigionia per omicidio colposo (ne scontò soltanto cinque).
Essendo almeno questa parte di racconto ancorata a una storia realmente accaduta, fa strano vedere come il film cerchi in tutti i modi di mostrare Johnson come una povera vittima del diavolo. Non c’è la minima ombra del dubbio: la tesi dell’opera di Chaves è che il demonio esiste e ha si è impossessato dell’imputato durante l’omicidio. Questa nota controversa diventa ancora più dolente quando osserviamo il titolo originale della pellicola, ovvero “the devil made me do it”. Questa frase viene spesso usata da persone affette da malattie psichiatriche come movente per le loro azioni, e il fatto che venga riportata come sottotitolo nel contesto di un film che crede realmente al demonio, fa molto riflettere sull’integrità morale di cha scritto, prodotto e distribuito un prodotto del genere.
Stilisticamente questo terzo capitolo di The Conjuring si distacca molto dalla qualità cinematografica dei film di Wan. Dimenticatevi i delicati movimenti di macchina e la curata fotografia: in questo sequel si fa fatica letteralmente a vedere lo schermo. Tranne per qualche piccola eccezione, tutte le scene sono sottoesposte, oscure o riprese in una penombra ingiustificata. Una scelta che non aiuta a convogliare la tensione delle scene dell’orrore, basate esclusivamente su un continuo riciclo di cliché in grado di stufare anche lo spettatore meno pretenzioso.
Ma con The Conjuring – Per ordine del diavolo ci troviamo davanti a un’operazione che non solo è brutta dal punto di vista cinematografico, ma è anche dannosa dal punto di vista morale e sociale. Fin quando film di questo genere basati su storie vere rimangono nel loro piccolo intento di provocare qualche saltuario spauracchio, il problema non sussiste. Ma nel momento in cui si cerca di riscrivere la realtà e di far credere che il demonio possa essere davvero un complice di un delitto, allora si sta sfociando in un tipo di narrazione tossica di cui non abbiamo sicuramente bisogno.
Le persone che pensano di essere possedute dal demonio e commettono atti imperdonabili, non andrebbero assecondante o giustificate come fatto dai coniugi Warren. Andrebbero aiutate e sostenute medicalmente, e le cause sociali che le hanno portate in questa direzione andrebbero indagate e curate al più presto, visto che molto spesso i protagonisti di queste vicende sono persone che vengono da un contesto fatto di povertà, scarsità culturale e a volte di vera e propria malattia o debolezza emotiva.
Adesso è improbabile che una persona esca dalla sala dopo aver visto questo film e inizi a pensare che il demonio esiste e corra subito a cercare un esorcista, ma non per questo si dovrebbero giustificare o avvallare prodotti che sostengono, anche ingenuamente, queste pericolose figure che nel corso degli anni si sono approfittare delle fasce di popolazione più fragili della nostra società.