Su Netflix arriva Sweet Tooth, serie post-apocalittica tratta dal fumetto di Jeff Lemire
Netflix e Warner Bros Television collaborano insieme per portare sul piccolo schermo Sweet Tooth, serie a metà tra il fiabesco e il dramma post-apocalittico, tratta dal fumetto DC Comics di Jeff Lemire. Allo sviluppo della produzione troviamo il regista americano Jim Mickle, famoso nel mondo indipendente per film come We Are What We Are (2013) e Cold in July (2014).
Sweet Tooth si apre con la storia di una pandemia. La civiltà crolla dopo che un misterioso morbo, altamente letale, si diffonde con facilità per tutto il globo. In contemporanea alla malattia, iniziano a nascere negli ospedali dei neonati non totalmente umani. Si tratta di ibridi: bambini metà umani e metà animali.
Dieci anni dopo, la serie segue le vicende di un bambino in parte cervo che si mette in viaggio con un ex bracconiere per trovare la propria madre, e scoprire così la verità sulle proprie origini. Oltre a questa linea narrativa principale, Sweet Tooth ci mostra anche altri aspetti della vita in questo mondo post-pandemia attraverso gli occhi di altri due personaggi: un medico impegnato in una corsa contro il tempo per cercare una cura, e una donna che decide di creare un rifugio sicuro per tutti gli ibridi in giro per il mondo.
Con Sweet Tooth ci troviamo principalmente davanti a un’allegoria sulla discriminazione. In questi Stati Uniti post-apocalittici infatti, l’esercito caccia e uccide attivamente gli ibridi, poiché sono ritenuti fautori della fine della civiltà. Questi bambini vengono discriminati non solo perché appartenenti a una razza diversa, ma soprattutto perché rappresentano il prossimo stadio evolutivo, il prossimo passo in avanti della natura. E gli ultimi umani rimasti sulla Terra si sentono minacciati, hanno paura di scomparire come i dinosauri fecero prima di loro. Ed è quindi palese il tema dello scontro generazionale: il binomio bambini/futuro contro adulti/passato che alimenta il conflitto di ogni scena del racconto tratto dal fumetto di Lemire.
Dal punto di vista tematico non c’è solo questo. Alla base di tutto è presente un forte discorso ambientalista sulla difesa della natura, che riesce anche a mettersi intelligentemente in discussione nella rivelazione finale sull’origine del morbo e degli ibridi (che ovviamente non riveleremo).
Un’apocalisse per l’infanzia
Ma Sweet Tooth punta a essere innanzitutto un prodotto per giovani grazie agli ibridi, che vivono di una componente fiabesca che li contraddistingue. Bambini metà cervi, capre, gufi e scimmie: nel mondo narrativo di Sweet Tooth c’è spazio per un’invenzione visiva potenzialmente senza limiti. Peccato però che la serie non spinga troppo l’acceleratore su questi elementi, e anzi si limiti a seguire da vicino solo un paio di personaggi dotati di queste caratteristiche da libro delle favole.
Anche tutta la dinamica sulla pandemia e dell’avvento degli ibridi, che dà il via al crollo dell’umanità, è messa in scena in modo spezzettato e confusionario. Non si riesce a respirare a pieno il senso di pericolo dovuto a queste misteriose avvenute, che nei primi episodi vengono esplorate velocemente per esser poi riprese e sviluppate più a fondo solo nel finale. Una scelta narrativa che di per sé non sarebbe da condannare, se non fosse che anche nelle ultime battute non si raggiunge una piena soddisfazione sulla risoluzione del mistero. Il finale appare mozzato, tagliato di tronco per lasciare spazio alla prevedibile seconda stagione (se Netflix non la cancella prima s’intende).
Stilisticamente non esistono troppe invenzioni visive. La macchina da presa di Mickle (che dirige cinque episodi su otto) non è particolarmente ispirata, ed è messa a servizio di una narrazione pressoché semplice e lineare. Sweet Tooth si lascia seguire senza problemi, ma non propone mai scene o sequenze di particolare impatto visivo. Anche se invece un impatto emotivo c’è, ed è merito principalmente per il cast di attori. Il giovanissimo Christian Convery che interpreta Gus, il bambino-cervo protagonista dell’intera serie, dimostra all’età di 11 anni di possedere già un grande talento recitativo. Insieme a lui è da citare anche Nonso Anozie, attore britannico che nei panni del simil padre-surrogato per Gus porta in scena quello che è forse il personaggio più incisivo dell’intera produzione.
Con Sweet Tooth Netflix propone quindi un prodotto che difficilmente deluderà i più giovani, ma che potrebbe lasciare con l’amaro in bocca chi è già abituato a questi tipi di narrazione che sfruttano il contesto post-apocalittico per proporre un’allegoria sociale e ambientalista. La visione si dimostra comunque più che piacevole, e un minimo di curiosità sullo svolgimento futuro della storia potrebbe convincere a rimanere anche per un secondo giro. La serie sviluppata da Jim Mickle rimane dunque confinato nel suo, senza sviluppare troppo i suoi aspetti più interessanti ma portando comunque in scena delle prove attoriali non da poco. Rimane la speranza che un’eventuale seconda stagione prenda più rischi e sia in grado di innovarsi e distinguersi in maniera decisamente più incisiva.