Da Mercury 13 a The Calculating Stars, storia delle connessioni tra realtà e fantasia che porteranno (quanto prima, speriamo) la prima donna sulla luna
Un piccolo passo per una donna, un grande passo per l’umanità. Con questa frase, mai pronunciata dalla prima donna a toccare il suolo lunare – perché ancora nessuna donna ha avuto il privilegio di allunare – si apre il documentario Netflix del 2018 Mercury 13, che racconta la storia di quella volta che le donne statunitensi andarono quasi nello spazio. Se infatti è risaputo che la prima donna a raggiungere l’orbita terrestre è stata la sovietica Valentina Tereškova nel 1963, meno nota è la storia delle 13 pilote che completarono gli stessi test somministrati ai primi astronauti della storia americana – i Mercury 7.
È il 1960 e l’ex chirurgo di volo William Randolph Lovelace II è curioso di sperimentare i test da lui sviluppati per gli astronauti su un gruppo di donne, al fine di scoprire eventuali divergenze nei risultati; la NASA non è altrettanto entusiasta della proposta, ma questo non ferma il dottore dal suo progetto. Dopo aver esaminato – con l’aiuto della pilota Geraldyn “Jerrie” Cobb – i registri di oltre settecento pilote con non meno di mille ore di volo, molte delle quali appartenenti all’International Organization of Women Pilots (The 99s), Lovelace delinea il gruppo delle First Lady Astronaut Trainees (FLAT), disposte ad affrontare quegli stessi test che avevano permesso a piloti meno esperti di loro di aspirare allo spazio.
Saranno tredici le donne a superare i test della fase I sviluppati dalla Fondazione Lovelace per il processo di selezione degli astronauti della NASA: acqua ghiacciata versata nelle orecchie per testare la resistenza alle vertigini, scosse elettriche per valutare i riflessi del nervo ulnare negli avambracci, stress test con cyclette per la respirazione, le Mercury 13 (nome che venne dato al gruppo solo a posteriori) si dimostrarono tanto idonee quanto John Glenn e Alan Shepard a varcare l’orbita terrestre, tuttavia, tra la fase II e la fase III dei test la NASA si rifiutò di richiedere il permesso per utilizzare le strutture della Marina Militare Statunitense e il progetto si arenò.
Davanti a questi ostacoli Jerrie Cobb e Janey Hart – con i suoi 41 anni la più anziana delle candidate, famosa per aver risposto “con otto figli, vorresti andare sulla luna anche tu” a una domanda sulla sua motivazione a diventare un’astronauta – cercarono di instaurare un dialogo con il presidente Kennedy e con il vicepresidente Johnson, finendo per testimoniare alla Commissione della Camera d’ascolto sulla discriminazione sessuale il 17 e 18 luglio 1962. Affossate dalle dichiarazioni discriminatorie della collega pilota Jacqueline Cochran – all’epoca troppo avanti con l’età per poter sperare di prendere parte a qualsiasi missione – e ostacolate dal divieto fatto alle donne di guidare jet militari – sebbene con all’attivo molte più ore di volo di gran parte degli uomini delle missioni Mercury – le due pilote uscirono sconfitte dall’audizione e a mettere la parola fine al progetto delle Lady Astronaut fu un memorandum di Lyndon B. Johnson che recitava “Let’s stop this now!”.
La conclusione di questa storia è molto amara (come l’amaro in bocca che lasciò a Janey Hart la sua esclusione dal mondo dell’esplorazione spaziale e che la spinse, nell’ottobre del 1966, a contribuire alla fondazione della National Organization for Women): due anni dopo la chiusura del Programma Mercury 13 sarà l’Unione Sovietica a mandare la prima donna nello spazio e quello degli astronauti statunitensi resterà un circolo esclusivamente maschile fino al 1978, anno in cui la NASA appronta il primo corso per astronauti aperto anche alle donne che porterà, nel 1983, la prima donna statunitense – la terza al mondo dopo le cosmonaute Tereškova e Svetlana Evgen’evna Savickaja nel 1982 – nello spazio, a bordo dello Space Shuttle Challenger.
Sally Ride è la prima donna statunitense in orbita – e anche la prima (e unica, da quel che sappiamo) persona nello spazio ad appartenere alla comunità LGBT+ – ma questi primati non sono certo lusinghieri per gli Stati Uniti, che avrebbero potuto vincere la corsa femminile allo spazio se solo avessero ascoltato le parole di Jerrie Cobb al congresso, quel suo discorso in cui parlava a nome delle FLAT affermando che “noi donne pilote […] non stiamo provando a scatenare una battaglia dei sessi… Cerchiamo soltanto un posto nel futuro dello spazio senza discriminazioni”. L’esplorazione spaziale statunitense, per le donne, inizia con vent’anni di ritardo rispetto ai colleghi uomini ma Ride non dimentica che per la sua possibilità di andare nello spazio deve ringraziare quelle tredici pioniere che l’hanno ispirata e hanno lottato anche per lei; per questo motivo una parte del gruppo delle FLAT viene invitato dall’astronauta ad assistere al lancio dello Shuttle su cui viaggerà.
Questa è la storia fin qui nel nostro universo, in questa linea temporale, ma a scrivere un diverso finale – o un nuovo inizio – per le astronaute statunitensi ci ha pensato l’autrice Premio Hugo e Nebula Mary Robinette Kowal con The Calculating Stars, primo di due volumi della serie Lady Astronaut, appena arrivato in Italia con traduzione di Stefano Giorgianni per Mondadori nella collana Oscar Fantastica. L’ucronia di Kowal prevede una serie di piccole modifiche della storia americana (come la vittoria di Dewey su Truman alle elezioni del 1948 e la concessione di una maggiore libertà a Wernher Von Braun nel mettere in pratica le sue teorie sui razzi appena sbarcato in America) capaci di anticipare l’esplorazione spaziale di una decina d’anni rispetto alla tabella di marcia del nostro universo. A questi piccoli cambiamenti farà seguito – vero motore della storia della Dottoressa Elma York – la caduta di un meteorite in grado di cancellare dalle mappe buona parte della costa orientale statunitense, Washington compresa.
Su questa catastrofica premessa l’autrice costruisce una storia alternativa che racconta il percorso di un’esplorazione spaziale non più finalizzata alla mera ricerca scientifica, ma alla sopravvivenza dell’umanità, minacciata da cambiamenti climatici in grado di rendere il pianeta Terra inabitabile per le successive generazioni (vi sembra di averla già sentita, questa storia?). The Calculating Stars è la storia di uno ieri che non è accaduto e che, allo stesso tempo, avrebbe potuto accadere: Mary Robinette Kowal restituisce alle donne del Mercury 13 la speranza di andare sulla luna, di vedere le stelle dall’orbita terrestre, di essere trattate da pari sul posto di lavoro, dà la possibilità agli Stati Uniti, alla NASA, di fare un piccolo passo avanti per tutta l’umanità.
Mary Robinette Kowal non inventa un mondo in cui le donne sono astronaute, ma restituisce a quelle donne la possibilità che è stata loro negata, racconta le storie delle donne nere a cui è stato impedito di partecipare ai test di Lovelace e offre un finale diverso, un finale più giusto. Nella stesura di The Calculating Stars l’autrice non inventa niente, ma rielabora il passato e il presente – negazionismo climatico e domande stupide dei giornalisti alle conferenze stampa inclusi – per lasciarci intravedere come sarebbe il mondo se – almeno ogni tanto – l’uguaglianza tra i sessi non fosse solo un bel discorso di facciata tirato su da aziende ed enti per mostrarsi al passo con i tempi, ma un reale progetto di inclusione delle donne nel mondo del lavoro.
The Calculating Stars è anche un tributo alle nostre signore delle stelle, o a quelle che avrebbero potuto esserlo; un what if ispirante in cui sogno di Jerrie Cobb, Janey Hart e delle altre pilote si realizza e, mentre nella nostra linea temporale non abbiamo in mano niente più di una promessa legata alle future missioni Artemis, almeno durante la lettura di questo romanzo possiamo immaginare che la prima donna sulla luna non sia poi così lontana.