Tre film in tre settimane: con Fear Street Netflix porta sul piccolo schermo una trilogia horror dal tono postmoderno
Wes Craven è stato il regista che il cinema slasher l’aveva un po’ inventato, e successivamente parecchio decostruito. Dieci anni dopo il successo di Nightmare, il cineasta tornava al sottogenere con Scream, saga cult che cercava di smontare, e riassemblare in salsa postmoderna, tutte quelle componenti che erano andate a definire il cinema horror degli ultimi vent’anni. Più nello specifico, la decostruzione avveniva del sottogenere “slasher”, ovvero quella particolare storia dell’orrore che vede un assassino (spesso mascherato) uccidere in fila una serie di persone (spesso adolescenti peccaminosi).
Con Fear Street Netflix sembra voler sondare ancora una volta quel territorio fatto di aspettative tradite e ribaltamenti del genere, quando in realtà finisce per conservare solo l’estetica della decostruzione di Craven.
Fear Street è stata pubblicizzata da Netflix come una “trilogia evento”: un nuovo modo per la piattaforma di sperimentare un tipo di distribuzione cinematografica. Invece di montare un’unica serie tv da rilasciare in un giorno solo, Netflix ha deciso di presentare tre distinte opere che vanno a creare un unico arco narrativo da quasi sei ore. Fear Street Parte 1: 1994, Parte 2: 1978 e Parte 3: 1666.
Tutti e tre i film sono diretti, e parzialmente scritti, dalla giovane regista Leigh Janiak; e sono tratti dall’omonima serie di romanzi scritta da R. L. Stine.
Due cittadine contigue, Sunnyvale e Shadyside, sono da secoli in competizione tra loro. I due centri abitati si distinguono per parecchi aspetti: la prima prospera da tempo e ha costruito un’ambiente borghese classico del sogno americano, mentre la seconda vive nel pregiudizio e nell’ombra di una misteriosa maledizione. Shadyside ha infatti un grosso problema: ogni tot anni, un abitante impazzisce e compie un massacro uccidendo dozzine di innocenti. La morte è entrata a far parte della storia e delle membra della cittadina, ma leggende metropolitane dicono che sia in realtà colpa di Sarah Fier, una strega vissuta secoli prima che ancora oggi dichiara vendetta verso la comunità che l’ha condannata al rogo.
La trilogia di Fear Street è quindi ambientata in tre periodi differenti. Nel 1994, quello che è il presente della narrazione, un gruppo di giovani incappa in un nuovo giro di persecuzioni da parte della strega. Nella seconda parte, 1978, andiamo invece a scoprire come il tipo di violenza a cui abbiamo assistito faccia in realtà parte di un ciclo di ripetizioni apparentemente senza fine. Nell’ultimo capitolo scopriamo finalmente le origini di tutti mali della comunità di Shadyside, con un colpo di scena e una risoluzione non troppo scontati.
Il tema principale è quindi quello della ciclicità del male; di come la storia si ripeti di continuo nel pieno della sua fredda violenza. Ma questo discorso non è chiaro sin dall’inizio. Alla fine di Fear Street Parte 1 (che rimane a mani basse il migliore della trilogia Netflix), si ha beatamente l’impressione di aver assistito ad un’opera compiuta che non ha bisogno di prosecuzioni. I due sequel sono di conseguenza alquanto deboli, poiché – coerentemente col tema dell’opera – si limitano a ripetere lo stesso identico tipo di situazione, semplicemente spostata in un diverso periodo storico. Assistiamo quindi a tre diverse comunità, tutte caratterizzate in maniera negativa da tratti come bullismo, omofobia e misoginia; tre diversi gruppi di giovani che prendono droghe, fanno l’amore e si comportano in maniera ribelle; e tre diverse persecuzioni in classico stile slasher. Certo è brutto tirare fuori la classica frase “visto uno, visti tutti”, ma nel caso di Fear Street si tratta di un luogo comune tristemente azzeccato.
Il film che si distingue maggiormente anche a livello stilistico rimane ad ogni caso il primo capitolo: un’opera che strizza di continuo l’occhiolino a qualsiasi fan dell’horror con continui rimandi ai classici del genere. Citazioni della cultura pop a non finire fanno pensare subito al collegamento con la saga di Wes Craven. L’assassino del primo film è infatti vestito anche in maniera pressoché identica al Ghostface di Scream. Ma la forza della saga di Craven non è stata solo quella di decostruire il cinema di genere attraverso una storia di genere, ma anche quella di andare a modellare dei sequel che fossero coscienti del loro ruolo all’interno dell’economia di una serie cinematografica. E per portare a termine questo discorso sono stati necessari quasi quindici anni di sedimentazione all’interno della storia del cinema. Fear Street è invece impaziente, e vuole fare il percorso di Scream in un mese solo. Il risultato sono dei film simpatici ma pressoché ripetitivi, che esauriscono in fretta quello che hanno da dire e che vivono di una ciclicità di situazioni ormai date per assodate.
La regista Leigh Janiak sembra voler però, se non modernizzare, almeno rendere contemporaneo il genere slasher. Ecco che quindi i nostri protagonisti, nonostante il loro contesto storico che li dovrebbe rendere dei millenial, mostrano in realtà i tratti classici della generazione z. Molta enfasi è data alla tematica LGBTQ+, con le protagoniste amanti che cercano di combattere, oltre ai serial killer, il bigottismo della propria comunità. E questo rimane forse il lato più positivo e autoriale dell’intera serie. Un’esplorazione tematica che non sembra dipendere da fonti esterne, ma che nasce invece dal contesto socio-culturale del 2021.
In conclusione, con Fear Street Netflix non raggiunge l’obiettivo sperato dalla campagna di marketing. Si tratta di una “trilogia evento” che non si distacca troppo da una mediocre serie tv, nonostante i genuini tentativi di trattare tematiche contemporanee. Un’opera che purtroppo fallisce nel cercare di proseguire l’eredità di Craven e che, in poche parole, verrà presto sorpassata e infine dimenticata.