Parliamo dell’equivoco generale secondo cui il valore della fantascienza si misura sulla sua capacità di predire il futuro
Ma come, abbiamo passato il 2020 e ancora non ci sono le macchine volanti? Questa è la facezia più gettonata da quelli che vogliono sottolineare come la fantascienza abbia sbagliato tutte le sue previsioni sul futuro dimostrando così la sua inutilità: se non riescono a indovinare come sarà il futuro, che scrivono a fare gli autori di fantascienza? Ma la questione è posta nei termini sbagliati, perché si basa sull’assunto che sia dovere (e interesse!) della fantascienza predire il futuro, quando le cose stanno in tutt’altro modo.
Narrativa scientifica vs fantascienza
Prima di affrontare il problema di fondo facciamo una doverosa premessa. Non è sbagliato associare la fantascienza alle previsioni sul futuro, poiché alle origini della fantascienza si trova il tentativo di alcuni autori e specialisti di immaginare come la tecnologia, la scienza e la società si sarebbero evolute. Questo esercizio speculativo peraltro non è nemmeno stato inventato dalla fantascienza, ma rientra da sempre nel campo di studi di scienziati, inventori, filosofi e intellettuali in genere. Quando però il metodo scientifico è stato codificato e assimilato dalla società occidentale come principale motore del progresso, allora questo tipo di previsioni è diventato uno strumento del sistema stesso, a volte con veri e propri intenti programmatici.
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È quindi dopo la metà del 1800, in pieno spirito positivista, che si diffonde quella che viene a volte definita narrativa scientifica: una forma di racconto che univa all’intrattenimento la divulgazione di nozioni scientifiche e l’immaginazione di possibili scenari futuri, imminenti o remoti. In queste prime opere riconducibili per lo più ad autori inglesi come Herbert George Wells, Arthur Conan Doyle e Olaf Stapledon (ma è ovviamente da includere anche il francese Jules Verne), l’intento dell’autore era principalmente quello di illustrare le possibilità di una certa teoria o tecnologia avveniristica. Era questo l’approccio promosso da Hugo Gernsback, uno dei padri della fantascienza che ha avuto un ruolo chiave nello sviluppo del genere come entità autonoma, in qualità di editore e critico più che di autore (pubblicò meno di dieci racconti nella sua intera carriera). In genere le storie si limitavano appunto a esporre tale elemento, spesso con abbondanza di descrizioni e particolari tecnici, e costruirci intorno una storia che fornisse l’occasione per parlarne o ne mostrasse le possibili applicazioni.
Anche autori successivi e moderni si possono assimilare a questo approccio più “tecnico” alla fantascienza che può in effetti occuparsi di predire scenari futuri. Tra gli esponenti più validi di questo filone, spesso vicino alla cosiddetta hard sci-fi, troviamo per esempio Arthur C. Clarke o Greg Egan. Molte delle loro storie infatti si limitano a proporre un’idea di tipo scientifico-tecnologica ed esporla al lettore. Ma il genere si è evoluto velocemente in forme diverse da quella della narrativa scientifica, e l’efficacia delle previsioni del futuro per la fantascienza ha smesso presto di essere un criterio valido per valutarne la bontà.
Tutte le previsioni sbagliate della fantascienza
Doc e Marty in Ritorno al futuro parte 2 viaggiano nel 2015 degli hoverboard. Blade Runner con i suoi replicanti e pianeti colonizzati è ambientato nel 2019. E dobbiamo davvero parlare di Odissea nello spazio? Questi sono alcuni degli esempi più famosi di cosiddette previsioni del futuro fallite fatte della fantascienza: come hanno fatto gli autori di queste opere a sbagliare così clamorosamente il futuro da loro immaginato? Davvero Stanley Kubrick e Arthur Clarke pensavano che nel 2001 saremmo stati capaci di mandare una missione umana verso Giove? Philip Dick e Ridley Scott erano convinti che nel 2019 avremmo avuto gli androidi umanoidi? E lo stesso tutti gli altri autori, centinaia e centinaia, che hanno previsto che in una certa data il futuro avrebbe avuto un certo aspetto?
Non sarà forse che indicare una data precisa non è mai stato il punto principale della questione? Non è forse vero che le idee e i temi affrontati da una storia come Odissea nello spazio rimangano efficaci sia che la vicenda si svolga nel 2001, nel 20001 o anche mai? Di conseguenza si può facilmente intuire come in generale, ciò che una storia di fantascienza racconta non deve necessariamente predire il futuro, ma mostrare i riflessi e le conseguenze delle sue idee di base, spingere la speculazione ai suoi limiti estremi che spesso, per coerenza narrativa, richiedono di immaginare uno scenario futuro. Ma che quel futuro avvenga davvero o no, e se sarà tra dieci, duecento o ottomila anni, non fa alcuna differenza.
L’esercizio speculativo svolto dalla fantascienza non si esaurisce nella previsione del futuro, anzi in buona parte dei casi non si cura nemmeno di questa possibilità. È evidente che se un autore concepisce un’idea traendola da spunti che vede intorno a sé, e intende portarla in modo credibile ai suoi estremi allora ha bisogno di “dare tempo” a quella situazione: per esempio, una storia sulle conseguenze del cambiamento climatico può essere ragionevolmente proiettata avanti di venti o trent’anni; una storia sulla colonizzazione di un pianeta extasolare di cinquanta o cento anni; una storia sull’evoluzione dell’umanità in una nuova specie un paio di milioni di anni. Ma quand’anche tutte queste stime dei tempi necessari si rivelassero errate, ciò non toglierebbe nessun valore al significato della storia. Il punto è che spesso la fantascienza racconta il futuro ma non parla del futuro.
Raccontare il futuro per predire il presente
Se la funzione della fantascienza fosse davvero predire il futuro allora dovremmo buttare via quasi tutta la produzione degli scrittori da un secolo e mezzo a questa parte. Non serve nemmeno andare a scomodare autori di nicchia e particolarmente ambiziosi: anche fermandosi ai racconti della Fondazione di Asimov che tutti conoscono e apprezzano, si capisce bene come l’intento dell’autore non fosse affatto quello di anticipare quello che sarebbe successo nei diecimila anni successivi, ma piuttosto raccontare di possibili situazioni di crisi e come sarebbe possibile uscirne grazie allo sviluppo di nuovi metodi di pensiero. D’altra parte è noto che lo stesso Asimov si è ispirato per questa serie agli eventi che hanno portato alla caduta dell’Impero Romano, quindi il suo sguardo era rivolto più al passato che al presente…
Ma quindi se non parla del futuro, di cosa dovrebbe parlare la fantascienza? La risposta può apparire controintuitiva ma in realtà risulta abbastanza scontata: la fantascienza solitamente parla del presente. La speculazione scientifica e tecnologica, al di là del gusto suscitato dal gioco di inventare nuove tecnologie e ambientazioni esotiche, è un meccanismo che permette di proiettare tendenze che vediamo nel nostro presente e mostrarne le conseguenze a medio-lungo termine. Quello che fanno gli scrittori di fantascienza nelle loro previsioni del futuro è in realtà isolare un aspetto del mondo che li circonda e riflettere su come esso potrebbe evolversi e a cosa potrebbe portare. Ma questo esercizio non va certo a beneficio di chi in quell’eventuale futuro ci abita davvero, semmai è uno strumento messo a disposizione di chi vive adesso, in quello stesso presente che ha fatto d’ispirazione all’autore.
Quando leggiamo un libro o guardiamo un film di fantascienza, la domanda che dobbiamo porci non è tanto “ma questo succederà davvero?” quanto piuttosto “ma questo potrebbe succedere?”. Le domande e i dubbi sono la parte davvero importante che dobbiamo cogliere dalle storie di fantascienza, non l’ipotetica cronistoria del futuro dell’umanità. Non è utile immaginare quando potrebbe avvenire una tale cosa, basta porsi il problema del se potrebbe avvenire. Non per nulla, la fantascienza è la narrativa del what if, non del what when.
Tutte le previsioni giuste della fantascienza
A onor del vero bisogna anche riconoscere che in molti casi la fantascienza ha davvero previsto il futuro. Sviluppi scientifici e tecnologici come il viaggio spaziale, le missioni sulla Luna, i computer e Internet, l’ingegneria genetica, la realtà virtuale, oppure fenomeni sociali come la pubblicità pervasiva e i reality show, o ancora emergenze naturali come il cambiamento climatico e le epidemie globali… tutti questi sono esempi di futuri che la fantascienza aveva descritto nelle sue previsioni, a volte con decenni di anticipo.
C’è però da fare un’importante considerazione: data una quantità sufficiente di autori che immaginano una quantità sufficiente di futuri possibili, è inevitabile che qualcuno si riveli esatto con il senno di poi. Insomma, anche l’oroscopo prima o poi ci azzecca. Ci sono certamente autori che si dedicano maggiormente a creare proiezioni plausibili e che della previsione rigorosa del futuro fanno un loro punto di forza, come Neal Stephenson o Kim Stanley Robinson. In certi casi intere correnti come il cyberpunk hanno tratteggiato scenari che si sono rivelati perfettamente coerenti, ma lo hanno fatto appunto come estrapolazione di tendenze che erano già rilevabili nel loro presente. Non sono nemmeno rari i casi in cui idee provenienti dalla fantascienza hanno indirizzato la ricerca e la tecnologia, in un sistema di feedback reciproco tra immaginazione e scienza.
Rimane però il fatto che in un mondo in evoluzione rapidissima è sempre più difficile, oggi molto più che nel 1890, comprendere quale direzione prenderà il progresso tecnologico e sociale, per cui anche i più abili futurologi in genere si limitano a descrivere macrotendenze piuttosto che singoli episodi. In questo senso si rivela ancora di più il valore della fantascienza, che più di un cannocchiale può avere la funzione di un microscopio, che porta all’attenzione i dettagli più nascosti che forse non avremmo notato senza la sua lente.