Se la natura “legal” di Ace Attorney può sembrare solo un pretesto, in realtà un’analisi più approfondita del sistema penale giapponese rivela un gioco fantasioso ma accurato
Se esiste un videogioco che un azzeccagarbugli come il sottoscritto non può evitare di giocare, quel videogioco è senza dubbio Ace Attorney. In un mondo (quello videoludico) tendenzialmente avaro di tribunali e cavilli legali, almeno nella loro declinazione più attiva, la serie ideata da Shu Takumi è una boccata d’aria fresca.
Prima di proseguire e spiegare le mie intenzioni in questo piccolo approfondimento, credo vada spesa qualche parola specifica sulla serie appena menzionata. Nata per Game Boy Advance, poi migrata rapidamente su Nintendo DS ed infine su PC, Switch e PS4, la serie di Ace Attorney ruota intorno alle vicende del giovane avvocato difensivo Phoenix Wright, almeno per la prima trilogia. In seguito, grazie al successo incredibile dei primi titoli, sono stati sviluppati episodi con protagonisti differenti, un crossover con il mitico Professor Layton e addirittura uno speciale dedicato al periodo Meij.
La particolarità di quasi tutti i numerosi titoli della saga risiede nel far vestire al fruitore i panni di un avvocato della difesa, coinvolto sia in macro trame molto coinvolgenti, sia nelle sottotrame proprie dei più classici romanzi gialli. Al giocatore il compito di investigare fuori da tribunale e di gestire la difesa in aula, davanti a giudici barbuti, pubblici ministeri (anzi, “procuratori”, per dirla all’americana) a volte inetti, a volte malvagi, a volte circondati da misteri da risolvere. Un panorama eterogeneo di personaggi, complessi e sfaccettati il giusto, con storie appassionanti ed intricate (a volte sin troppo), il tutto unito dal filo rosso dell’attività difensiva. In Ace Attorney insomma, al netto di un gameplay divertente ma certo mai complicato, quello che risalta maggiormente è l’amore incondizionato per la giustizia ed una resa sguaiata ma appassionante del sistema che vi gravita attorno.
Sistemi giuridici a confronto
Approcciare la serie con troppa rigidità, soprattutto per quegli sfortunati che hanno intrapreso studi giuridici durante l’università, è certamente controproducente. Il senso del gioco, lo dico subito, non è tanto quello di simulare un sistema legale, quanto di parodiarlo: nella ricerca della verità e della giustizia, Phoenix (o chiunque altro negli episodi successivi) trova nel Sistema quasi sempre un ostacolo da superare. Ed è solo grazie ad una certa dose di tenacia, nonché in una fiducia cieca nel “fare la cosa giusta” che l’eroe riesce a spuntarla.
Nonostante questo obiettivo lampante, ritengo divertente scavare in maniera un pochino più tecnica e specifica nel mondo legale di Ace Attorney, per capire quanto ci sia di fondato, quanto di completamente sballato e quanto differisca tra l’altro il nostro apparato giuridico con quello scelto nel videogioco.
Innanzitutto ci tengo a ricordare che, almeno nel primo capitolo, la trama di gioco viene spostata di peso dal Giappone a Los Angeles, attraverso un lavoro esclusivamente di traduzione. Una leggerezza non da poco, considerando che il sistema legale scelto in ogni versione del brand è quello nipponico (diverso sia dal nostro che da quello americano). Il sistema giudiziario giapponese risulta piuttosto particolare agli occhi di un europeo, soprattutto di un italiano, abituato a strutture legislative di civil law. In tal senso il sistema occidentale più vicino a quello di Tokyo è l’americano, la cui matrice è il common law, pur se con differenze sostanziali rispetto a quello anglosassone.
A questo punto dell’articolo il lettore sarà già piuttosto confuso. Facendo rapidamente ordine, si possono distinguere quindi:
– Civil Law: I sistemi dell’Europa continentale, basati in gran parte sulle leggi scritte, in particolare su quelle leggi corpose ed organiche note come “codici” (codice civile, penale, ecc)
– Common Law: I sistemi dei Paesi anglofoni che, pur presentando differenze tra loro, basano gran parte della propria legislazione sul precedente giudiziario (quindi il giudice, nel decidere il caso sulla base delle norme, impone una lettura che ha valore di legge)
Il sistema giapponese è ancora diverso, pur essendo stato influenzato, a partire dal secondo dopoguerra, dal sistema americano, presentando perciò elementi chiaramente risalenti al common law. Di grande importanza nello studio del sistema giapponese è anche l’influenza del confucianesimo giuridico, di cui la Cina ha condiviso per molto tempo concetti simili. Dal punto di vista penale comunque – che è quello che interessa in questo contesto – il Giappone rimane abbastanza vicino al processo statunitense, sempre prendendo questi paragoni nella maniera più elastica possibile.
Ace Attorney sicuramente rispetta un primo, basilare, elemento: l’approccio inquisitorio del sistema giudiziario, che vede il Giudice come interlocutore diretto (dotato di numerosi poteri, a volte molto più invasivi rispetto a quanto abituati in Italia) e il prosecutor come rappresentante dell’accusa. Dettaglio questo non indifferente: il sistema italiano, considerato oggi a prevalenza accusatoria, prevede la presenza di un Pubblico Ministero (che fa parte della Magistratura), il quale si occupa di ricostruire in maniera super partes la verità, per quanto possibile. Chiaramente questa attività spesso combacia con l’accusa, ma da un punto di vista teorico se il lavoro del PM è quello di indagare per far emergere la verità processuale, quello del prosecutor (nei limiti di quanto imposto dalla legge) è quello di accusare l’imputato.
Sempre a scopo di chiarezza massima, quindi, sintetizzo per il lettore i due concetti generali del processo penale sopra riportati:
– Sistema accusatorio: Basato sul giudice super partes, sul contraddittorio tra le parti e su un’accusa che, in quanto organo pubblico, persegue fini di scoperta della verità (è il sistema attualmente in vigore in Italia, pur se con qualche influenza di tipo inquisitorio)
– Sistema inquisitorio: Basato sul giudice inquirente, che sostituisce il P.M. e che dispone di poteri di indagine di gran lunga superiori al sistema accusatorio. Il Giappone sposa un sistema inquisitorio più “leggero”, nel quale vi è sia un prosecutor (che è un avvocato, non un magistrato) che un Giudice.
Lo scanzonato realismo di Ace Attorney, tra parodia e critica
Sempre perdonando un elevato grado di approssimazione, si può già affermare che Ace Attorney segue in maniera fedele i capisaldi della giustizia giapponese: sistema inquisitorio, procuratori agguerriti (la percentuale di casi “colpevoli” è altissima, sia per modalità di calcolo statistico bislacche sia per una certa tendenza dei prosecutor ad accettare solo casi vincenti) ed una storia processuale parecchio movimentata. Così come su schermo infatti, anche il processo penale giapponese può prendere strade tumultuose, con rinvii continui e una cosiddetta formazione della prova graduale e parallela al processo (sempre però permettendo in anticipo la conoscenza della stessa alla controparte). Concetto questo completamente estraneo alla tradizione italiana, che vuole la formazione della prova (ossia il momento in cui vengono annunciati ed ammessi i documenti, i testimoni, le perizie, ecc.) entro il dibattimento, ossia il momento di discussione orale del caso. Certo, esistono eccezioni, lungaggini ed interventi probatori successivi, ma la normalità rimane quella sopra descritta.
Fino ad ora mi sembra evidente che l’alone di assurdità e di irrealismo che viene spesso addossato alla saga risulti in realtà molto meno grave di quanto si pensi, soprattutto alla luce delle enormi differenze giuridiche che un utente italiano (o comunque europeo) fisiologicamente evita di inserire all’interno della valutazione. Si tratta di un automatismo culturale normale, soprattutto all’interno di sistemi ritenuti dai fruitori come assoluti ed immoti, e non si può negare che tra questi sistemi rientri a pieno titolo la Giustizia. L’amministrazione della stessa però cambia in maniera drastica da Paese a Paese – e spero di essere riuscito a rendere quantomeno l’idea.
La struttura giuridica di Ace Attorney, andando a scavare un pochino più a fondo, prende strade divergenti anche rispetto al più simile processo USA, soprattutto per quel che riguarda l’approccio del già menzionato neo-confucianesimo. Come si può notare giocando ad uno qualsiasi dei titoli del brand, il processo nipponico è molto affezionato al concetto di confessione, uno strumento malvisto in Italia – dove si preferisce quasi sempre la ricostruzione fattuale sommata all’interpretazione del magistrato – e molto più tollerato in America. In Giappone però, in maniera simile alla Cina, la confessione ha rappresentato per molto tempo, soprattutto nell’era precedente alle riforme del dopoguerra, lo strumento di conclusione processuale per eccellenza. Si tratta di un concetto fortemente legato alla cultura orientale, secondo la quale l’unica vera certezza per la ricostruzione della verità risiederebbe nell’ammissione di colpa dell’imputato.
Un ragionamento stringente e per certi versi avanti con i metodi piuttosto rozzi del diritto penale europeo, almeno fino al periodo della codificazione ottocentesca. Purtroppo anche l’istituto della confessione, giusto nella forma, ha conosciuto con il tempo deformazioni notevoli, tanto che i magistrati cinesi erano autorizzati all’uso della tortura – mi permetto di consigliare in tal senso la lettura dei romanzi dedicati al Giudice Dee, un’ottimo miscuglio di romanzo storico e crime story, che offre spunti storici di notevole interesse.
In Ace Attorney il peso della confessione grava moltissimo all’interno delle trame e della narrazione globale, con personaggi e dialoghi fortemente improntati alla ricerca della verità ultima solo e soltanto attraverso il racconto del colpevole – in maniera analoga a quanto si vede nei classici prodotti culturali alla Law & Order – ammantando il tutto con una certa sovrastruttura morale, molto cara alle opere nipponiche. Anche questo aspetto comunque trova una certa rispondenza con la realtà, tanto che la Costituzione giapponese vieta di condannare un imputato sulla base della sola confessione. Ragionando a contrario, la necessità di tutelare il presunto colpevole dall’abuso dell’istituto confessorio è una prova di quanto lo stesso sia tenuto in gran conto all’interno del sistema giuridico che stiamo analizzando. E infatti una norma del genere non trova spazio all’interno del diritto penale italiano.
Arrivando alla conclusione dell’articolo, ritengo fondamentale sottolineare che Ace Attorney rimane un prodotto di fantasia, sia nelle trame che nella descrizione del processo e delle indagini. Il gioco è rumoroso, esagerato e scanzonato, non lo si può negare. Ho evitato di sottolineare le numerosissime storture ed approssimazioni che un prodotto del genere deve, per forza di cose, adottare nel cercare di trasporre l’attività legale all’interno di un gioco più orientato verso il racconto che non verso la simulazione. D’altronde il videogioco stesso non fa nulla per mascherare questo eccesso di enfasi, attraverso situazioni talmente fuori dalla realtà da non poter essere confuse, almeno non senza una certa dose di colpa. Rimane però un dato incontrovertibile all’interno di tutto il brand, ossia la critica parodistica, a tratti quasi feroce, di un sistema che, da solo e senza l’aiuto di personaggi virtuosi come Phoenix Wright, non può arrivare automaticamente a soddisfare la Giustizia. Questo spunto di riflessione, per lontananza culturale ed anche per una certa faciloneria negli adattamenti occidentali, potrebbe mancare a chi non cala Ace Attorney nella realtà giuridica a cui appartiene e di cui ritengo che sia un critico tanto goliardico quanto valido.
Bibliografia
- Sul “realismo” di Ace Attorney e la sua rispondenza al sistema penale giapponese: “Objection!: Ace Attorney and the Japanese Criminal Courts”
- Sui problemi del sistema penale giapponese e la sua somiglianza a quello americano: Carlos Ghosn and Japan’s ‘99% Conviction Rate’
- Sull’istituto della confessione ed il suo abuso: Japan crime: Why do innocent people confess?
- Sulle (tante) differenze con la realtà di Ace Attorney: ‘Ace Attorney’ in the real world