Su Prime Video arriva l’adattamento seriale di Nine Perfect Strangers (Nove perfetti sconosciuti), con i primi tre episodi non proprio all’altezza delle aspettative
Lo showrunner e sceneggiatore televisivo David E. Kelley arriva su Amazon Prime Video con Nine Perfect Strangers, terza collaborazione con la star Nicole Kidman dopo le serie Big Littles Lies e The Undoing di HBO.
La serie è prodotta e distribuita negli Stati Uniti da HULU ed è l’adattamento del romanzo dallo stesso nome della scrittrice australiana Liane Moriarty.
La storia è quella di un gruppo di persone che viene selezionata per partecipare per dieci giorni a un ritiro in un centro benessere prestigioso avvolto nel mistero: il Tranquillum House. Ci sono una donna appena divorziata, una famiglia alle prese con un lutto, una giovane coppia in crisi, un misterioso affarista riservato, una scrittrice in crisi artistica e un ex atleta dal passato burrascoso. Quella che può sembrare una selezione casuale di persone nasconde in realtà più di quel che sembra, poiché nulla è dato per scontato sotto gli occhi vigili della direttrice Masha Dmitrichenko.
A interpretare quest’ultima enigmatica figura è proprio Nicole Kidman, organo principale dell’intera serie. Intorno a lei troviamo un vasto cast corale tra cui spuntano i volti noti di Melissa McCarthy (Le amiche della sposa); Michael Shannon (Man of Steel); Luke Evans (Lo Hobbit); Bobby Cannavale (Mr. Robot) e Manny Jacinto (The Good Place).
Per adesso, su Prime Video sono arrivati solamente i primi tre episodi Nine Perfect Strangers. I restanti cinque verranno distribuiti settimanalmente fino alla fine di settembre, ma al momento possiamo già farci un’idea dell’andamento generale della miniserie. I personaggi sono stati presentati e le varie dinamiche di potere stabilite, ma l’aura di mistero intorno a Tranquillum e i piani per il benessere della direttrice Marsha sono già svaniti nel nulla alla fine del primo episodio.
Non un inizio promettente per una serie che, se privata dell’elemento sorpresa, diventa un classico dramma “in bottiglia” tra persone con traumi tra i più disparati.
Durante l’episodio pilota veniamo introdotti alle ferree regole del centro benessere: le attività proposte sono tutte obbligatorie, i cellulari sono confiscati e le stanze dei residenti vengono ispezionate quotidianamente. Tutto non senza le fragorose contestazioni dei protagonisti, a cui viene però costantemente assicurato che tutto viene fatto “solo per il loro bene”.
Già al terzo episodio però, lo staff perde quell’intrigante aurea da antagonista enigmatico, e i personaggi iniziano a diventare una caricatura fastidiosa di sé stessi. Tra un centrifugato di curcuma e una seduta di agopuntura, i membri dello staff si mostrano validi solo ad elencare le proprietà antiossidanti dei cibi serviti a tavola, e a provocare (involontariamente) la rabbia di chi guarda e di chi è presente in scena con loro.
La macchina da presa di Nine Perfect Strangers è affidata al regista statunitense Jonathan Levine, che vede nel suo curriculum commedie come Warm Bodies e Non succede, ma se succede…
La regia di Levine è alquanto ordinaria: non stupisce mai con interessanti trovate visive e il più delle volte si limita a rimanere sullo sfondo, inosservata. Pure la direzione degli attori non è sempre impeccabile, anche se alle saltuarie cadute di stile sono contrapposte delle performance di alto rilievo che, per il momento, sono arrivate principalmente dai personaggi di Bobby Cannavale e Michael Shannon. La presenza in scena di Nicole Kidman, che per molti spettatori potrebbe rappresentare il selling point della serie, è per adesso alquanto indifferente. L’attrice Premio Oscar non ha ancora mostrato tutte le sue possibilità , e speriamo vivamente che questo fattore cambi negli episodi delle prossime settimane.
Nine Perfect Strangers è stata girata totalmente in un una sola location. Non solo per motivi narrativi, ma anche di sicurezza dovuta alla pandemia da Covid-19. Avere una troupe e un cast “confinati” nello stesso luogo per più di un mese aiuta la produzione per quanto riguarda la logistica sulle nuove norme di sicurezza, e rappresenta inoltre anche un vantaggio economico non da poco. Questo limite produttivo può essere però anche debilitante dal punto di vista creativo. Come riportato da un recente articolo de Il Post, lo stesso Levine si è trovato davanti a una vera sfida per quanto riguarda la regia della serie: «È una cosa che ti spinge a dover cercare nuovi modi e nuovi angoli per girare le tue scene, nuovi approcci per raccontare la tua storia». E ancora: «dopo 30 giorni a girare nella stessa maledetta stanza, sei così annoiato che finisci giocoforza per provare a fare qualcosa di diverso».
Nonostante la “confessione” del regista, la nuova serie Prime presenta ad ogni modo una messinscena noiosa, ma anche annoiata. Viene dato poco respiro alla location, non permettendo allo spettatore di creare una piantina mentale di Tranquillum; gli attori sono raramente al meglio delle loro capacità e la trama in generale ha già perso dai primi episodi molto di quell’alone di mistero iniziale attorno alla direttrice Marsha e il vero obiettivo del centro benessere. Ma queste sono solo speculazioni e prime impressioni verso un prodotto che non è neanche arrivato a metà stagione. Il cliffhanger finale dell’ultima puntata può bastare per farci aspettare con curiosità la prossima puntata, ma il tono generale della serie si deve sicuramente alzare prima di poter catturare a pieno la nostra l’attenzione.