Diretto da Cedric Nicolas-Troyan, Kate è la nuova proposta action del catalogo Netflix
Dal 10 settembre su Netflix troverete una locandina accattivante, accesa da neon rosa e dal sapore vagamente (neanche troppo vagamente) girl power. Si tratta di Kate, action movie diretto dall’esperto di visual effects Cedric Nicolas-Troyan con Mary Elizabeth Winstead come protagonista e l’onnipresente Woody Harrelson. Insieme a questi due volti riconoscibili dal pubblico occidentale, anche la giovanissima Miku Martineau e Michiel Huisman, che ne Il trono di Spade interpretava Daario, l’ex fiamma di Daenerys Targaryen.
Vi potrebbero interessare anche anche:
- I migliori film di arti marziali su Amazon Prime Video
- Le migliori uscite Netflix – Ottobre 2021
- I migliori film Netflix
- Menare e volare con la 87Eleven di Leitch e Stahelski
Kate su Netflix: non si sfugge al proprio destino
La sequenza iniziale del film presenta la protagonista come una sicaria infallibile, addestrata da quello che sembra essere il suo unico punto di riferimento e affetto, V. (Harrelson). La sua natura onorevole emerge immediatamente, con un afflato di umanità non previsto dal suo spietato mestiere. Questa incrinatura porterà Kate, alcuni mesi dopo l’introduzione, a compiere una decisione rivoluzionaria. Abbandonerà le armi e andrà alla ricerca di una vita migliore; ma glielo permetteranno?
Il cinema non è nuovo a questo tipo di personaggi, killer redenti che vorrebbero tornare sulla retta via (o, perlomeno, su una via non omicida) a cui, però, questo non è concesso. Beatrix Kiddow, aka la Sposa di Quentin Tarantino ne è l’esempio più famoso, e la Kate di Nicolas-Troyan in fondo non è troppo diversa. La storia che il regista costruisce, però, pone degli ostacoli che si svelano man mano, rendendo la vendetta di Kate un vero e proprio percorso a ostacoli.
Una killer distrutta
L’evento principale del film è l’avvelenamento di Kate con del Plutonio-204, una sostanza che non lascia alcuno scampo. Questo avviene poco prima dell’ultima missione della sicaria, quella che le avrebbe concesso la libertà. Ovviamente, non poteva andare tutto liscio, è il pubblico che lo chiede. Con una diagnosi definitiva di un’aspettativa di sole 24 ore di vita, Kate decide di chiudere la sua esistenza facendo quello che le riesce meglio: uccidere. L’obiettivo sarà quello iniziale, quello della sua ultima missione, indicato come mandante dell’avvelenamento. Il problema è che si tratta di un introvabile boss della Yakuza, il cui fratello era già stato fatto fuori da Kate durante la sequenza iniziale.
Inizia dunque una corsa contro il tempo, e contro un corpo – quello della protagonista – che va rapidamente decomponendosi a causa delle radiazioni. Nel percorso verso la vendetta, Kate dovrà stringere un sodalizio (dopo un rapimento andato male) con la nipote del boss, l’adolescente Ani. Ani racchiude tutto quello che è l’immaginario delle Idol nipponiche: abiti kawaii, orecchie da unicorno, smartphone sempre in mano e così via. Insomma, Kate e Ani non potrebbero essere più diverse di così. Eppure…
Kate una proposta gradevole su Netflix
Inutile girarci attorno: Kate su Netflix non è nulla di eccezionale. Letteralmente. Si tratta di un’operazione che aggiunge qualche variante interessante a un copione già visto più volte al cinema. Queste donne che vengono rapite in giovane età per essere trasformate in macchine assassine, che però conservano un cuore profondo e generoso, sono pari pari le Vedove Nere della Marvel. Questo sfruttamento da parte degli uomini, che le usano finché servono ma che non ci pensano due volte prima di buttarle via è un meccanismo narrativo non particolarmente sconvolgente.
Tuttavia non si può negare che l’esperienza (quasi da Oscar) di Nicolas-Troyan nel campo dei visual effect regali al film un’estetica accattivante, che pesca a piene mani in quello che è il Giappone contemporaneo. Un misto di plastica per ragazzini, antiche tradizioni e malavita organizzata: i cliché di sempre, con uno sguardo particolarmente fancy. Questo rende Kate niente più che un film piacevole, il cui interesse però si esaurisce nell’arco dei quasi 100 minuti di durata. Anche quelli che sono i colpi di scena, non aiutano a risollevare le sorti di un film che è – come moltissimi di questo genere – una cornice-base per una serie di scontri e inseguimenti.
Mary Elizabeth Winstead: a star is (not) born
Forse uno dei problemi di Kate è proprio la sua protagonista. Un film di genere si basa tutto sul carisma e sulla capacità del lead role. Mary Elizabeth Winstead, che abbiamo già visto come Huntress in Birds of Prey, è una discreta attrice action, ma non buca abbastanza lo schermo da rendere il film persistente e memorabile. Pecca dello stesso difetto di molti colleghi maschi (che hanno costruito intere carriere nonostante questo), ovvero quello di possedere una limitata gamma di espressioni. Inoltre, la regia delle scene d’azione non sempre è abbastanza avvincente: insomma, “film action” non è un dispregiativo, ma una sfida. Una trama banale va sviluppata in maniera formalmente ineccepibile, altrimenti il film non funzionerà più di tanto.
Più simpatici sono i personaggi secondari, per quanto tutti impersonino a loro volta altri stereotipi. Se Kate è l’antieroina tutta d’un pezzo (anche la sua evoluzione è piuttosto telefonata), Ani è l’adolescente frivola e superficiale. Per il resto, i giapponesi cattivi sono cattivi – carne da macello per mettere alla prova l’abilità della protagonista – e l’anziano saggio è il depositario dei valori occidentali, in opposizione alla crudeltà dell’occidente. Nulla di nuovo sotto il sol (levante).
Kate è su Netflix dal 10 settembre 2021.