Oltre alla katana c’è di più: 10 armi giapponesi per chi non vuole impugnare una spada
Mettiamola così: quando si parla di armi tradizionali giapponesi tutti noi pensiamo alla katana. Non c’è nulla di strano: è l’arma che vediamo più spesso in anime e manga, quella divenuta l’icona della guerra nel Sol Levante. Non che questo sia del tutto corretto. Forse traviati dalla produzione in massa di queste armi avvenuta nella Seconda Guerra Mondiale, molti di noi si sono fatti l’idea che la katana fosse l’arma per eccellenza degli eserciti di daimyo e shogun.
Al contrario, è bene sottolinearlo, le lame d’arte giapponesi costituivano solo il simbolo dell’élite guerriera. E in guerra il grosso degli eserciti era costituito dai “pezzenti”, dagli uomini mandati a morire come carne da cannone. A questo si deve aggiungere la rappresentazione romanzata della figura del samurai. Il nobile guerriero era spesso in realtà una maschera per un uomo privilegiato, che sarebbe stato disposto a tutto pur di mantenere i propri privilegi. Anche a vessare la popolazione civile che, difficilmente, avrebbe potuto permettersi un’arma di metallo forgiato.
Peccato che i civili non avessero alcuna intenzione di farsi vessare, rispondendo al fuoco col fuoco. Ecco quindi fiorire una gran quantità di armi che richiedevano quantità inferiori di minerale. Oppure che non ne richiedevano affatto, modellate basandosi su oggetti di utilizzo quotidiano, dalle roncole alle pipe per tabacco. No, sul serio: pipe per tabacco! Il Giappone antico è stato un fiorire di armi di ogni genere, ben al di là delle spade, delle mazze e delle lance. Armi per samurai e armi per pezzenti, per continuare una lotta che prosegue dall’alba dei tempi.
Ci siamo quindi permessi di sceglierne dieci per voi, in modo da facilitarvi la ricerca dello strumento di morte adatto alle vostre esigenze. L’arma con cui potrete far vedere ai contadini chi comanda, con cui potrete andare in battaglia contro i samurai del daimyo confinante, oppure vendicarvi di quello sfrontato guerriero che vi ha offeso e fargli ingoiare la sua perfidia.
1 – Armi giapponesi da “pezzenti”: bō
Cominciamo dalla base delle basi: siete stati attaccati da un samurai che vuole prendersi il vostro kasa per puro sfregio mentre facevate una passeggiata. Certo, magari non avete granché voglia di farvi massacrare. Ma la cattiva notizia è che non avete alcuna arma con voi, lo shogun le ha proibite. Quella buona è che potete contare sul vostro fido bastone da passeggio. E tanto basta.
Definire il bō un’arma giapponese forse è riduttivo, considerato che ci troviamo di fronte alla diffusione del bastone come oggetto contundente in tutto il mondo conosciuto. In Asia, in particolar modo, le culture cinesi, coreane e ovviamente giapponesi, sembrano legate all’uso del bastone di legno, divenuto oggetto cardine dell’arte marziale del Bōjutsu.
Possiamo definire il bō come l’arma principe tra quelle utilizzate dalla gente povera. La sua storia tradizionale ne colloca un primo utilizzo massiccio nel secondo XV, sull’isola di Okinawa, dovuta a motivi che potremmo definire legali. L’Imperatore Sho Shin prima e il potente clan degli Shimazu di Satsuma poi imposero un bando delle armi per sottomettere la popolazione, che reagì iniziando a utilizzare come armi oggetti di uso comune. Tra cui, per l’appunto… i bastoni.
Semplice ed efficace, il bō non richiede forgiature e può essere tratto da qualsiasi genere di legno. E, se siete particolarmente fortunati, magari è un bastone magico in grado di allungarsi, come quello di Son Goku.
2 – Armi giapponesi da samurai: tetsubō
Magari vi piace stare dalla parte del più forte e siete fieri della vostra appartenenza alla casta dei samurai. Ecco quindi che potreste trovare di vostro gradimento l’idea di utilizzare una versione più sofisticata del bastone, il tetsubō. Le sue origini sono probabilmente antiche quasi quanto il suo corrispettivo da contadino. Soprattutto in Giappone, considerato che sono l’arma tradizionale degli oni, i mostruosi orchi della mitologia del Sol Levante.
Detto anche kanabō, o konsaibo o ararebo (chi più ne ha, più ne metta) è probabilmente l’arma che ogni otaku vorrebbe nel bel mezzo di un’apocalisse zombie. Si tratta di una mazza di legno massiccio su cui sono state innestate borchie, chiodi o spuntoni di metallo, che rendono questo oggetto un’arma da impatto letale. Non vorrete essere dal lato sbagliato della battuta, fidatevi.
Come detto l’arma in questione era la prediletta dagli oni nella mitologia: nessuna sorpresa quindi che Kaido, il comandante dei Pirati delle Cento Bestie in One Piece, la utilizzi nel corso delle sue battaglie per spezzare lo spirito (e le ossa…) dei suoi avversari. Arte che ha tramandato anche a sua figlia, Yamato.
3 – Eku
Nel proseguimento della nostra battaglia tra nobili e popolani, l’isola di Okinawa ci propone un altro oggetto interessante, un remo adattato per divenire un’arma contundente capace di spezzare le ossa e lacerare anche tendini e muscoli degli avversari. Ecco a voi l’Eku, l’arma di difesa dei pescatori.
Quando pensiamo alla pirateria pensiamo per lo più ai Caraibi, ma va detto che le scorrerie via mare di predoni di ogni sorta si trovano un po’ ovunque nella storia. Il Mar del Giappone non fa differenza. Impossibile quindi collocare una data precisa per l’utilizzo del remo come arma contundente, anche se certo il periodo di occupazione di Okinawa, di cui avevamo precedentemente parlato, ha contribuito a codificare un’arte marziale attorno a questo oggetto.
C’è da dire che questa arma non è stata utilizzata solo dai pescatori: anche alcuni samurai ne fecero uso. Miyamoto Musashi fece uso di un remo per abbattere il suo avversario Sasaki Kojirō nel celebre duello sull’isola di Ganryū-jima, sfruttando l’acqua per nascondere la reale lunghezza dell’arma. Il duello si sarebbe concluso con un solo potente colpo sferrato al volto di Sasaki, immortalando la leggenda di Musashi.
Negli anime troviamo un esempio di questa arte marziale ne I Cavalieri dello Zodiaco, dove il barcaiolo infernale Caronte utilizza il suo remo per colpire Pegasus e Andromeda.
4 – Naginata
Proseguiamo con la contrapposizione tra “versione ricca” e “versione povera” delle armi. Se i poveri impararono a combattere col remo era perché i ricchi sapevano già da tempo combattere col falcione. Le origini del naginata non sono di facile identificazione. Solo nel Secolo XII abbiamo le prime testimonianze dell’utilizzo di questo incrocio tra una spada e una lancia, ma non è difficile credere che fosse già fortemente sfruttato prima di allora.
Possiamo ipotizzare che la sua nascita abbia seguito motivazioni del tutto pratiche, per arginare il grande aumento della cavalleria durante la Guerra Genpei, magari sulla scia delle armi da fante in uso nell’esercito cinese. Vista l’efficacia in battaglia, qualcuno forse pensò di creare una versione più ricca di quest’arma, destinata a diventare oggetto di studio di una vera arte marziale, e perciò ne abbia migliorato le caratteristiche per farne un’arma ancor più letale.
Il periodo di diffusione e utilizzo del naginata comunque durò relativamente poco: già durante il Periodo degli Stati Belligeranti il suo utilizzo iniziò a contrarsi, fino a sparire con l’egemonia del Clan Tokugawa. Il naginata divenne un’arma quasi cerimoniale, destinata alla difesa delle case dei samurai. Proprio per questo essa divenne l’arma rappresentativa delle buke, le donne della classe egemone, con la quale si addestravano per poter essere in prima fila nella difesa della propria dimora, anche se nell’immaginario comune ci ricordiamo il naginata come arma del guardiano di Impel Down Hannyabal, in One Piece.
5 – Kusarigama
Il conflitto tra nobili e popolani alle volte può ispirare una parte a migliorare l’arma creata dagli avversari. E non è da escludere che un samurai, vedendo un contadino dare una lezione a qualche bullo con il kama, abbia pensato di migliorarla per creare il kusarigama. Probabilmente è l’arma più particolare del Giappone, quella brandita da TenTen in Naruto, Kohaku in Inuyasha e da Demon ne I Cinque Samurai.
Le sue origini sono probabilmente legate al Periodo Muromachi, nate grazie alla fusione di diversi attrezzi agricoli o sfruttati nell’allevamento dei cavalli. Il suo utilizzo sui campi di battaglia è tuttavia scarsamente testimoniato. Per la sua natura doveva trattarsi di un’arma ad ampio raggio: roteare la catena sopra la testa quando si era schierati in file compatte di soldati costituiva un rischio non da poco per i propri compagni.
Nonostante questo inconveniente il kusarigama è un’arma letale nell’uno contro uno. Un abile guerriero può impedire agli utilizzatori di armi in asta o di lame di avvicinarsi a lui grazie alla catena e bloccare con essa gli strumenti del nemico, le sue braccia e le sue gambe, per poi colpire con il falcetto. Il funzionamento, insomma, non è troppo differente dal mazzafrusto usato nell’Europa Medievale, che serviva a privare l’avversario di armi e scudo.
6 – Kiseru
Siete di nuovo in difficoltà a causa di un decreto dello shogun che vi impedisce di usare armi? Niente paura: nessuno può impedirvi di fumare! Anche una pipa da tabacco può diventare un’arma nelle mani giuste. Una kiseru non è altro che una normale pipa tradizionale, la stessa con cui Gamabunta in Naruto faceva la sua spettacolare entrata in scena.
Anche in questo caso la kiseru nasce con finalità del tutto diverse, quando i portoghesi introdussero il tabacco nel Secolo XVI, per poi diventare un’arma per le classi meno agiate, costrette dagli editti del Periodo Edo a non portare lame o altri strumenti di guerra. La kiseru rispetto alle pipe occidentali era più lunga e con inserti in metallo che ne permettevano un uso efficace in caso di necessità. Nel tempo si distinsero tre diversi tipi di kiseru, a seconda delle caratteristiche.
Una kenka kiseru era la versione più comune, pesante e con fornello e la parte per aspirare in metallo, e poteva diventare una sorta di randello. C’era poi la buyokiseru, che poteva essere realizzata interamente in ferro, diventando quindi efficace anche per contrastare katane e altre lame (ma a quel punto è legittimo chiedersi se potesse ancora essere usata per il fumo…). Infine la shikomi kiseru, meno raffinata, ma più letale, con un pugnale da penetrazione nascosto nel fornello.
Al pari di altre armi tradizionali giapponesi l’uso di una kiseru stimolava l’inventiva. Un utilizzatore abbastanza bravo poteva diventare abile quanto bastava per gettare le braci del tabacco negli occhi del suo avversario. Poco leale, molto efficace.
7 – Ōtsuchi
Immagino che a questo punto lo scontro tra le due parti sia giunto anche al saccheggio delle case, ma è più probabile che il vostro avversario, nel caso siate dei samurai, abiti in una capanna di sterpi facile da distruggere. Nel caso vogliate invece approfittare della confusione per farla pagare a un altro samurai e vi serva sfondare una porta per entrare in casa sua, ecco che vi verrà in soccorso l’Ōtsuchi.
Per la verità abbiamo poche prove iconografiche di quest’arma da samurai, che tuttavia doveva servire più a spezzare barricate e ostacoli negli assedi che a una vera e propria arte marziale. Si trattava di un pesante maglio di legno indurito che, nelle giuste mani, poteva senza dubbio spaccare qualche osso.
Non la migliore delle armi giapponesi se avete fretta, perciò potrebbe essere più interessante passare oltre se cercate la velocità e la trasportabilità. Qualcuno di voi forse riconoscerà quest’arma per essere stata impugnata da Suzuno Kamazuki in Hataraku maō-sama!
8 – Sai
Se il vostro primo pensiero è stato “Raffaello” avete avuto un’infanzia meravigliosa. Ma in questo momento state affrontando una lotta per la sopravvivenza e dovete scegliere la vostra arma. La buona notizia è che il sai potete usarlo indipendentemente dalla fazione scelta, essendo un’arma utilizzata sia dalla classe dei samurai che dai poveracci. Quella cattiva è che, forse, dovrete avere un certo grado di abilità e addestramento per usarlo a dovere.
Anche questa volte possiamo ringraziare l’isola di Okinawa per aver introdotto in Giappone quest’arma, utilizzata presto dalla polizia per la sua utilità nel bloccare gli arti degli avversari. Di origine forse sino-indiana, arrivò nell’arcipelago giapponese in un periodo imprecisato. Tuttavia si sa per certo che già alla fine del Secolo XVII si era formalizzata un’arte marziale per il suo utilizzo.
Una coppia di sai concede di pugnalare l’avversario in rapida successione, permettendo di infliggere molti danni. La sua forma si adatta anche a un gran numero di tecniche difensive, per far scivolare le lame avversarie e di bloccare le mani dell’avversario.
9 – Jitte
Pur non parlando di katane in questo pezzo non potevamo non scomodare anche Masamune, il leggendario maestro forgiatore del Sol Levante. E proprio lui, secondo alcune tradizioni, avrebbe concepito la forma del jitte, un’evoluzione del sai che ben presto si impose come simbolo delle guardie di palazzo.
Che sia vero o meno non è realmente importante. Tuttavia una simile attribuzione fa capire il valore simbolico dell’arma. Se possiamo attestare che essa sia nata già nel Secolo XIII sarà solo quattro secoli più tardi, nel periodo Edo, che diverrà il simbolo delle guardie dello shogunato. Come noto portare lame alla corte dello shogun era un crimine punibile con la morte. Il piccolo problema è che la cosa si estendeva anche ai soldati di palazzo. Un guaio se devi difendere da un aggressione l’uomo più potente del Giappone. Il jitte fu così concepito proprio per l’assenza di lama. La sua forma ne faceva un oggetto capace di bloccare le lame e, in alcuni casi, poteva nascondere uno stiletto con cui concludere l’opera.
La sua forma così particolare spicca tra le altre armi e si è imposta anche negli anime giapponesi. Possiamo vederlo in One Piece (c’è qualche arma che Oda non abbia usato?), in Gintama e nelle avventure di Lupin III, dove un jitte appartenuto ad Heiji Zenigata è custodito dal suo discendente, l’ispettore Koichi, acerrimo rivale del protagonista.
10 – Tanegashima-teppō
Gli scontri sono andati un po’ per le lunghe e le guardie dello shogun si sono stancate. Sono quindi intervenute a sedare la rivolta per dire alle due parti di smetterla. E quale modo migliore di farlo se non con dei Tanegashima-teppō, gli archibugi tradizionali del Giappone?
Quando pensiamo alle tradizioni giapponesi raramente ci ricordiamo delle armi da fuoco. Importate dai portoghesi ben presto divennero parte integrante dell’esercito del Sol Levante. Oda Nobunaga fu tra i primi a farne una base del suo esercito, ma la produzione in massa aveva ben poco a che vedere con l’eccellenza che alcuni maestri armaioli riuscirono a ottenere nel corso dei secoli. Armi pregiate, destinate a un’èlite guerriera, come sempre.
I Tanegashima sono fucili dal design compatto, studiati per far sì che le polveri non potessero bagnarsi e con la capacità di mantenere linee di tiro pulite, una rarità per l’epoca. Ben presto quest’arma divenne il tratto distintivo di alcune milizie specializzate, gli ashigaru, e parte di una nuova arte marziale, lo hōjutsu.
Il loro utilizzo è legato soprattutto al clan degli Shimazu, come abbiamo visto in Drifters, manga di Kōta Hirano, ma è stato visto anche in Demon Slayer, nelle mani di Genya Shinazugawa.