Tokyo Revengers sorprende tutti: successo meritato oppure no?
Si è appena conclusa una delle serie di punta di quest’estate 2021. Tokyo Revengers è stato un vero e proprio fenomeno, sia nella sua incarnazione cartacea che nel suo adattamento animato. In Giappone la seria ha già superato i venti volumi da un pezzo e non sembra accennare a fermarsi. Ma cos’è che attira così tanto di questa serie? Oggi andremo a fare un’analisi senza spoiler di uno degli shounen più popolari di quest’ultimo periodo.
La sinossi di Tokyo Revengers
Innanzitutto, per i meno addetti ai lavori, di cosa parla Tokyo Revengers? Sulla carta, la trama sembra un perfetto mix tra Erased, Re:Zero e i manga con i teppisti – generalmente ruotano intorno al fenomeno dei bōsōzoku, alcuni esempi famosi potrebbero essere Akira e GTO (o, meglio ancora, il suo prequel: Shonan Junai Gumi). Il protagonista è Hanagaki Takemichi, un ventiseienne fallito che passa le sue giornate autocommiserandosi per lo stato pietoso della sua vita: un lavoro mediocre e che non gli piace, zero amici o vita sociale, un bugigattolo sporco come dimora; insomma, un vero perdente. Egli stesso rimembra i suoi unici giorni di gloria, quando era alle medie e faceva parte di una banda di teppisti. La vita di Takemichi viene scossa quando apprende che la sua fidanzatina di quando era giovane è rimasta coinvolta mortalmente in uno scontro tra gang, una delle quali si rivela essere la Tokyo Manji Gang.
Riflettendo su quanto accaduto ad una stazione dei treni, Takemichi viene improvvisamente spinto sulle rotaie. Convinto di essere ormai morto, il protagonista dedica il suo ultimo pensiero alla ragazza a cui si legò in gioventù. Con sua somma sorpresa, però, non muore! Scopre infatti di avere l’abilità di viaggiare indietro nel tempo fino a tornare al periodo in cui andava alle medie quando stringe la mano di una certa persona. Decide quindi di usare questa abilità per cercare di salvare la vita di Hinata, unendosi all’embrionale Tokyo Manji Gang e cambiando le azioni del passato, ma non tutto va come dovrebbe…
I viaggi nel tempo: un’arma a doppio taglio
Il punto di forza che salta immediatamente all’occhio è il viaggio temporale. È un elemento “intrippante”, usato sempre più spesso nelle opere d’intrattenimento moderne. Se usato bene, può elevare moltissimo un’opera, ma quando fa cilecca, il tonfo è fortissimo. E nel caso di Tokyo Revengers? Beh, mezzo e mezzo. Perché se da una parte i viaggi nel tempo sono gestiti in modo apprezzabile, il loro essere presenti così spesso nella narrazione tende a creare un senso di già visto nello spettatore. Non solo, ma i viaggi nel tempo sono intrinsecamente difficili da gestire e se non si è certi di quello che si fa si possono incappare in buchi di trama e discrepanze. Anche con Tokyo Revengers, purtroppo, questa regola viene confermata. Ad onor del vero, però, sono dettagli che non rovinano in maniera irrimediabile l’esperienza.
La coerenza di Tokyo Revengers
Uno degli elementi che fa rispettare maggiormente questa serie è che, nonostante le premesse del viaggio temporale e del perdente adulto che ha una seconda chance nella vita e torna adolescente, rimangono comunque regole ferree da rispettare. C’è, sì, la componente fantascientifica, ma non viene trattata come una bacchetta magica che può “aggiustare” qualsiasi cosa. Takemichi farà avanti e indietro nel tempo esattamente di 12 anni dal giorno in cui aziona il trigger. Questo significa che, superata la data, egli non potrà più tornare indietro nel tempo per porre rimedio a quell’evento, che diventerà quindi scritto nella pietra e immutabile. Non ci sono salvataggi retroattivi, quindi, e le morti che una storia come questa inevitabilmente comporta diventano una possibilità reale e hanno un peso. Non sono usate come pretesto per vedere il protagonista soffrire orribilmente a ripetizione solo per amore della teatralità.
Dove inciampa la struttura di Tokyo Revengers?
Mettendo da parte le ispirazioni palesi a precedenti show di successo, i punti deboli di quest’opera sono da ricercarsi proprio nelle colonne portanti di qualsiasi serie: la trama e i personaggi. La prima, come abbiamo accennato prima, ha un problema evidente di ripetere i propri spunti e twist all’infinito – vuoi per i continui viaggi nel tempo oppure per gli schemi narrativi riutilizzati quasi a copia carbone. Diventa prassi aspettare di veder spuntare fuori una gang nuova di zecca, mai menzionata fino al giorno prima, con personaggi inevitabilmente più forti di quelli visti prima ma comunque con una qualche connessione ai personaggi principali del cast. E, parlando di personaggi, è veramente difficile prendere sul serio l’età dei personaggi. La loro corporatura e mentalità è veramente difficile da accostare a dei ragazzini delle medie e, in generale, in questa opera il fenomeno dei bōsōzoku sembra solo una pallida imitazione.
Dov’è finita la critica sociale dei bōsōzoku?
Per bōsōzoku si intende una sottocultura giovanile giapponese che ha avuto il proprio apice negli anni ’80. Spinti da uno spirito di ribellione e protesta contro l’influenza occidentale post-guerra, migliaia di liceali formavano bande – generalmente motociclistiche – che seminavano terrore sul suolo nipponico con le loro scorribande criminali. Questo tipo di fenomeno è stato largamente rappresentato dal medium del manga con opere come Shonan Junai Gumi, Akira e altri. I protagonisti di queste storie sono ragazzi che non riescono a trovare il proprio posto nel mondo, reietti della società. Lo spirito di questa corrente e, di riflesso, dei prodotti che traggono da essa ispirazione, era uno di ribellione contro un sistema costituito, considerato in difetto.
In Tokyo Revengers, tutta questa lettura viene a mancare. Mancano la critica sociale, i grandi ideali, lo spirito di ribellione. Dei bōsōzoku sono rimaste solamente le scazzottate di massa. Il protagonista da giovane faceva il teppista perché “faceva figo” – nulla di più distante dalla situazione reale dei teppisti in Giappone, che sono vengono tenuti lontani dalle persone “normali”. Senza contare che il manga si ambienta ai giorni nostri nel presente e nel 2005 nel passato, periodo in cui il fenomeno dei bōsōzoku era drasticamente andato scemando.
Nonostante si riesca a capire che alcuni personaggi abbiano avuto un’infanzia molto difficile e vedano nella propria banda una famiglia in tutto tranne che per il sangue, e che sia questo il motivo per cui si battono con così tanto ardore, il resto delle battaglie che si vedono risultano per la maggior parte vuote: dei ragazzini che giocano a fare la guerra. Ricordiamoci infine che si sta parlando di ragazzini delle medie, che fanno risse sanguinose perché non sanno cos’altro fare– sembra – mentre le loro figure genitoriali sono totalmente assenti dalla narrazione. Come se non bastasse, nella timeline del presente la Touman viene sempre mostrata come irrimediabilmente degenerata, quasi sempre trasformata in una vera e propria gang mafiosa.
Hanagaki Takemichi: uno dei protagonisti più divisivi degli ultimi tempi
Il protagonista di un manga, ma nel particolare di uno shounen, dovrebbe incarnare lo spirito della propria serie. Questo si riconferma veritiero anche in Hanagaki Takemichi, che si fa carne e sangue dei lati positivi e negativi di Tokyo Revengers. Hanagaki è affascinante nel suo essere uno dei protagonisti più divisivi degli ultimi tempi. È come se, in One Piece, al posto di Luffy ci fosse Usopp – senza lasciargli però il suo caratteristico slapstick, ingegno e comicità. Takemichi viene continuamente pestato di brutto, finendo per essere sempre ad un passo dalla morte o a mettere in pericolo i compagni che lo aiutano. È un protagonista dalla lacrima facile, inerme davanti ai mostri di potenza che affronta – sia amici che nemici – e se non fosse per la conoscenza degli eventi futuri sembrerebbe non apportare un vero contributo alla Touman.
I mematori anime più incalliti hanno spesso scherzato sulla tendenza di molti protagonisti shounen di “convertire” il nemico al lato del bene più con l’uso della parola che dei pugni. Ecco, proprio il “talk no jutsu” scorre potente in Takemichi. Hanagaki adulto nel corpo di sé stesso adolescente è inesorabilmente inutile in uno scontro fisico. Il punto di forza che lo renderà indispensabile alla Touman è il suo non arrendersi mai, i suoi discorsi “fomentanti” e il continuare a rialzarsi nonostante sia ormai ridotto ad uno straccio. Insomma, è un supporto morale. Che è importante, ma un tantinello inutile quando si tratta di fare la propria parte in una rissa per poi dover fare affidamento sui propri compagni, che devono correre a salvarlo ogni volta.
Takemichi è tutti noi: un protagonista realistico e coerente con le sue premesse
Nonostante i suoi moltissimi detrattori, irritati dalla sua apparente inutilità, Takemichi è un personaggio ben scritto. Nonostante gli venga offerta una seconda possibilità di vivere la propria vita, questo non cancella le esperienze che ha già vissuto, con tutte le conseguenza che comporta. Hanagaki è un perdente, ad un passo dalla depressione clinica, con traumi che vengono continuamente dissotterrati a forza. Nulla e nessuno gli conferiscono la superforza, come magari a Izuku di My Hero Academia, e ad affrontare i suoi problemi rimane, ultimamente, solo: un adulto-bambino con un complesso di inferiorità. Decisamente non un personaggio inquadrato per grandi prestazioni di potenza fisica o discorsi emblematici. Come se non bastasse, ha sulle spalle il peso di evitare delle morti umane navigando su una scacchiera che gli è del tutto nuova, in cui tutto è in cambiamento costante, ma una volta mossi i pezzi non si può tornare indietro.
È una situazione che logora i nervi e causa ansia; non ha nemmeno il tempo di allenarsi – come molti hanno suggerito – perché non indagare vuol dire rischiare di causare la morte di qualcuno, permanentemente. Quindi, nonostante alla lunga il suo essere inerme dal lato fisico sia snervante ed esasperante da guardare, Hanagaki ha i propri motivi. Takemichi fa colpo sulle persone intorno a sé per la tenacia con cui continua ad affrontare le sue sconfitte, nonostante venga sbattuto a terra costantemente, nonostante il continuo panico e lacrime, nonostante non abbia una resistenza fisica che lo metta sullo stesso piano dei suoi compagni. Il protagonista di Tokyo Revengers è una persona qualsiasi che viene travolta da eventi che non riesce a gestire, che vorrebbe, idealmente, fare grandi gesta, come se fosse il protagonista di uno shounen medio; per poi doversi arrendere davanti alla propria umanità e fallacità. È molto facile rivedersi in Takemichi, perché potrebbe essere chiunque di noi, che lo stiamo guardando fallire per l’ennesima volta dall’altra parte di uno schermo.