Charlotte e il racconto di una necessità

Quella di Charlotte è una storia che racconta di un’urgenza. L’urgenza di esprimersi, di sputare fuori dal proprio corpo la storia intensa di un vissuto strappato via troppo presto. Presentato per la prima volta in assoluto al Toronto International Film Festival, Charlotte è passato anche nella selezione ufficiale della 16esima edizione della Festa del cinema di Roma.

Ci troviamo davanti il percorso di un’intera vita, o forse di più vite messe assieme, che la protagonista che dà il nome al film sente scivolare via dalle mani ogni giorno un po’ di più. “Vita? O teatro?”. Questo è il nome della raccolta di 769 opere delle giovanissima Charlotte Salomon, artista ebrea vissuta nella prima parte dello scorso secolo e uccisa all’età di 26 anni, nel 1943, il giorno della sua deportazione al campo di concentramento di Auschwitz.

Charlotte

L’animazione in armonia con la narrazione

Un lascito dipinto su fogli di carta in un brevissimo lasso di tempo, coincidente con uno dei periodi storici più terribili dell’intera storia dell’umanità, fattosi sin da subito capolavoro. Emozioni esplose dal petto, condensate a colori sotto una forma tangibile. L’esigenza di questo racconto è messa nero su bianco da Erik Rutherford e David Bezmozgis, che di Charlotte curano la sceneggiatura, mentre la regia è affidata a Eric Warin e Tahir Rana.

Sullo schermo c’è poi l’animazione, in un 2D dai contorni netti, dal tratto che avvolge i personaggi e gli ambienti senza ricoprirli di orpelli, senza aggiungere nulla che non sia necessario a delineare la narrazione di una storia che si snocciola nel corso di alcuni, a partire dal 1936.

Da aggiungere, dopotutto, non c’è nulla, perché quella che troviamo dipinta veemente davanti a noi è una vita che è già carica di un dramma personale che sembra permeare il vissuto di Charlotte da sempre. Amori che nascono e poi sfioriscono all’ombra di verità celate, segreti di famiglia mai portati alla luce perché troppo dolorosi da esprimere a parole, lutti improvvisi e separazioni nette. La direzione artistica del film non si configura mai come estensione, bensì si ritrova in armonia con le opere create dalla protagonista.

Charlotte

Un’intera vita tra arte e dolori

Sullo sfondo, la nascita e la lenta crescita dell’orrore di un gruppo di fanatici che dà odiatori diventano partito e poi regime, i nazisti. Nel mezzo scorre però il fil rouge di un desiderio artistico inseguito nel corso del tempo, afferrato e mai lasciato andare durante l’adolescenza e la giovinezza. Berlino, Roma, la Francia sono le quinte di un film che tratta con estremo rispetto tematiche delicate che non sono mai poste direttamente al centro della questione, mai didascaliche, perché permeano l’essenza profonda di una ragazza fattasi donna in fretta.

Charlotte è un film sicuramente melanconico, venato di una tristezza che però non cede mai il passo al ricatto della lacrima facile. Non per questo le tribolazioni della protagonista vengono meno, supportate da un viaggio nelle intimità individuali che nella versione originale può contare sugli illustri doppiaggi di Keira Knightley, Marion Cotillard, Jim Broadbent, Sam Claiflin, Mark Strong.

E l’animazione, alla fine del viaggio, sembra essere davvero l’unica forma possibile d’espressione da assegnare a un’esperienza come quella di Charlotte, la cui vita si è riempita di uno scopo che è quello del raccontare, dove l’arte non fu mai vezzo ma una cruda necessità.

Alessio Zuccari
Laureato in Arti e Scienze dello Spettacolo all'Università Sapienza di Roma, al momento prosegue lo studio accademico del mirabolante mondo del cinema. Nel fare equilibrismo tra film, videogiochi e serie TV, si interessa pure attivamente alla sfera della critica cinematografica facendo da caporedattore per la webzine studentesca DassCinemag e autore all'interno delle redazioni di IGN Italia e StayNerd. Crede in poche cose, una di quelle è la Forza. This is the way.