Su Netflix arriva Solo mia, un thriller ispirato ad una storia vera di abusi e stalking
Il catalogo thriller di Netflix si arricchisce quotidianamente di nuovi film e serie TV, e molti di essi parlano di abusi e stalking, in modo più o meno dignitoso, ad esempio You (fresco di rinnovo per una quarta stagione), ma più di frequente in maniera inadeguata, facendo il pieno di stereotipi e banalità, come i vari Secret Obsession o, peggio ancora, 365 giorni.
Per questi motivi approcciarsi a un nuovo film sulla piattaforma, come nel caso del recente Solo mia (Only Mine), porta con sé una inevitabile dose di scoramento e scarse aspettative.
Eppure il regista Michael Civille riesce in qualche modo a catturare la nostra curiosità, almeno all’inizio.
Si tratta infatti di un film ispirato ad una storia vera, con un lieto fine, ma ciò che ci sorprende è la scelta di proporre un’opera metà tra thriller e pseudo-documentary, alternando alla narrazione le interviste ai protagonisti della vicenda, ma nella controparte filmica, quindi agli attori che vestono i loro panni.
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La storia a cui fa riferimento Solo mia è quella di Laura Kucera, una giovane americana che nel 1995 viene rapita, colpita alla testa e lasciata quasi morire, ma incredibilmente riesce a sopravvivere. Molto spesso queste storie finiscono in tragedia, come sottolinea anche il sergente John Miller (Walter Fauntleroy), eppure non stavolta.
Michael Civille cambia il nome dei suoi protagonisti, e Laura qui diventa Julie Dillon (Amber Midthunder), una ragazza che fa la cameriera a Crestwater Hills e che, trattandosi di una piccola comunità, è conosciuta da tutti. Il suo passato non viene scavato a sufficienza, ma i primi sviluppi della narrazione ci fanno capire che ha avuto alcuni problemi nelle relazioni precedenti, che inficeranno poi anche in termini di credibilità nella storia col suo stalker.
Lo stalker, appunto, è David Barragan (Brett Zimmerman), ufficiale di polizia col volto e i modi da bravo ragazzo che inizialmente sembra provare sentimenti puri e di attenzioni verso Julie, che ricambia, prendendosi una vera e propria cotta per lui.
Uscire dai cliché
Come spesso accade in situazioni di abusi però, al primo imprevisto scattano i campanelli di allarme con l’uomo che mostra il suo lato oscuro. E in Solo mia questi campanelli suonano presto, dato che il tempo a disposizione non è molto, circa un’ora e 25 minuti. Che non è un male, perché fondamentalmente conosciamo già l’epilogo della storia e chi è il cattivo, dato che le prime sequenze anticipano in parte gli sviluppi finali, ma soprattutto perché data la ripetitività delle tematiche siamo di fronte ad un film asciutto e con un ritmo serrato.
Solo mia è totalmente distante dall’idea di grande cinema, però ha il grande pregio di mostrarci nitidamente i contorni della gabbia in cui il carnefice riesce a immobilizzare la vittima, che non è in grado di fare un passo fuori dalla porta di casa senza il terrore di trovarsi di fronte il suo stalker, il quale oltretutto è abile a soggiogare l’intera comunità, facendo credere a tutti che è lei la persona strana ed ossessionata.
Dinamiche che purtroppo si presentano spesso in situazioni del genere, ma che non sempre vengono esaminate nel modo giusto da film o serie TV che trattano questi argomenti.
Per il resto, purtroppo, c’è ben poco da analizzare in Solo mia, al di là di qualche incursione in storie Navajo, solamente abbozzate, e il già citato espediente delle finte interviste, che lascia un po’ interdetti ma sembra funzionare.
Un film che va dritto al punto ed ha uno scopo, ovvero onorare la memoria di tutte le vittime di abusi nel mondo e anche quella della sfortunata Laura, che nonostante sia scampata al suo assalitore, ha trovato la morte solo un anno dopo in un incidente automobilistico.
Tra i numerosi prodotti che ogni mese rinfoltiscono il catalogo Netflix, Solo mia non è certamente uno dei peggiori in assoluto, e quantomeno riesce a stare alla larga da stupidi cliché.
Solo mia (Only mine) è su Netflix.