Su Netflix è arrivato Yara, il film sulla triste vicenda dell’omicidio della giovane Yara Gambirasio, diretto da Marco Tullio Giordana. Ma è un vero disastro
Realizzare un film su un caso di cronaca nera divenuto immediatamente mediatico e che, dopo ad oltre 10 anni dalla tragedia, dopo 8 anni tra indagini e processi e a distanza di 3 dalla sentenza di Cassazione, è ancora nel ciclone di polemiche e focus di alcuni talk show televisivi, è un’idea tanto ambiziosa quanto teoricamente impossibile.
O almeno sembra impossibile far bene, sia nell’atto esclusivamente cinematografico sia nei termini di una narrazione chiarificatrice, vista la complessità di una vicenda dai mille risvolti, che di certo un semplice film difficilmente può essere in grado di gestire.
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Volendo riavvolgere il nastro per i pochi che, in Italia, siano ancora all’oscuro di questo terribile caso, la storia è quella della tredicenne Yara Gambirasio, una ragazzina della provincia del bergamasco che una sera del novembre 2010, mentre tornava dalla palestra scomparve nel nulla. Nonostante l’immediatezza delle ricerche, il corpo senza vita della piccola Yara venne trovato esattamente tre mesi dopo in un campo che, peraltro, era già stato battuto.
Indagini complesse portano dopo circa 4 anni a identificare finalmente un colpevole, un muratore di Mapello e padre di famiglia con tre figli, Massimo Giuseppe Bossetti, incensurato e che si dichiara da subito innocente (e continua a farlo, pure dopo la Cassazione).
Un film frettoloso e inconcludente
Chiaramente non è nostro compito giudicare innocenza o colpevolezza di nessuno, e in questa sede non facciamo altro che attenerci alla sentenza, come è giusto che sia, ma proprio per questo sembra assai sterile trovarsi a guardare e poi commentare Yara, il film Netflix di Marco Tullio Giordana, un calderone di un’ora e trenta minuti in cui emerge tutto e nulla. Soprattutto nulla.
Le indagini, elemento nevralgico della storia e potenzialmente del film, vengono narrate grossolanamente, per non parlare del processo, ovvero il momento più interessante all’interno di un contesto di cui conosciamo perfettamente vittime, colpevoli ed epilogo della vicenda, a cui invece vengono dedicati pochi e confusi minuti senza soffermarsi mai sul punto di vista dell’accusa o del Bossetti stesso, qui interpretato da Roberto Zibetti. E non per entrare in dinamiche sciocche di divisione tra colpevolisti e innocentisti, di cui ne abbiamo piene le scatole, ma proprio per avere una visione globale del racconto.
Alcuni passaggi complessi che in sede di processo e nelle seguenti trasmissioni televisive hanno occupato tempo e spazio, come le tesi della difesa sul furgone o sulle operazioni di montaggio del video ad esso collegato, finiscono imbottigliate in una rapida e caotica carrellata di indicazioni che il film prova a darci, senza restituirci in realtà nulla, se non appunto più confusione di prima.
Ad esempio, soltanto nei titoli di coda viene sottolineato come per la difesa permangono questioni “aperte” come la mai concessa ripetizione dell’accertamento sul Dna, che questi avrebbero invece voluto proprio per fugare ogni dubbio, e che quindi pongono gli assistiti di Bossetti dinanzi all’ipotesi di rivolgersi alla Corte di giustizia europea per i diritti dell’uomo. Se, come detto in apertura, è fondamentale considerare la sentenza come un dato di fatto, con una condanna avvenuta oltre ogni ragionevole dubbio, possiamo altresì asserire che in un film del genere sarebbe stato interessante snocciolare alcuni di quei dubbi che invece la difesa continua ad avere e che, a distanza di tutto questo tempo sono ancora oggetto di discussione nelle trasmissioni televisive.
Elementi scomodi, senza dubbio, ma come è scomoda di per sé la realizzazione di una pellicola così.
E torniamo dunque al punto di partenza: era necessario?
Per Netflix sicuramente sì, dato che coi favori dei pronostici, Yara è primo nella top 10 dei più visti della piattaforma, poiché se suscitano interesse talk show che dopo oltre dieci anni parlano ancora della vicenda, giocoforza può donarne un film. Film che peraltro ha generato un mare di polemiche dal momento che l’avvocato dei Gambirasio ha fatto sapere che la famiglia non era d’accordo sull’idea della realizzazione di questa pellicola.
E anche volendosi soffermare su un’analisi prettamente cinematografica, il film è un disastro quasi da ogni punto di vista. Diventa persino futile parlare degli attori, poiché anche una brava interprete come Isabella Ragonese può incidere poco in uno script così arruffone e superficiale.
Si dovrebbe avere l’accortezza di capire che alcuni temi o si trattano per bene, o forse è meglio non trattarli affatto.
Yara di Marco Tullio Giordana prova a scegliere la prima strada, ma il risultato è un prodotto freddo, didascalico eppure paradossalmente confusionario e frettoloso, che nonostante la forte solidarietà ed empatia che l’intera nazione ha provato verso la famiglia della giovane ragazza, non fa scaturire neanche un velo di emozione.