Resident Evil: Welcome to Raccoon City cerca di accontentare i fan dei videogiochi ma scontenta quelli del buon cinema
Johannes Roberts è un regista che a mio umile parere, ha diretto film abbastanza dimenticabili, ma quanto meno, conosce un po’ il genere horror, avendoci avuto a che fare per tutta la sua carriera, inoltre ama la serie. Motivi per i quali, mi sono approcciato al suo nuovo film, Resident Evil: Welcome to Raccoon City, senza aspettative, ma con un barlume di speranza che quanto meno si potesse fare di meglio rispetto alla saga di Anderson per sfruttare le potenzialità dell’universo orrorifico creato da Capcom. Non ci voleva molto in fin dei conti. E in effetti Roberts con Resident Evil: Welcome to Raccoon City, in uscita nelle sale italiane il 25 novembre, pare gridare a squarcia gola proprio: “non farò quella roba lì, io conosco il materiale originale, io so cosa vuoi tu fan!”
E cosa vuole il fan di Re? Non era forse semplice determinarlo, complice fraintendimento che la stessa saga videoludica ha incentivato nel corso degli anni, oscillando costantemente tra racconto dell’orrore ispirato ad autori l’orrore lo gestiva con determinati crismi e un mood ben preciso come Romero e cafonata divertita con azione e testosterone. È vero che in ambito ludico i migliori capitoli sono quelli che hanno trovato il migliore ibrido tra questi due spiriti (perché in fondo i videogiochi hanno il loro linguaggio e funzionano diversamente dal cinema) ma non c’ è dubbio che i primi due capitoli sono ancorati più di qualunque altro, esclusa la settima iterazione ambientata in casa Baker, a quella dimensione compassata del genere fatta di tensione, costruzione del senso di pericolosità e gran atmosfere.
Certo, il tutto filtrato attraverso una scrittura di grana grossa da b-movie piuttosto evidente che buttava nel calderone elementi kitsh e un po’ camp, perché così piace ai giapponesi talvolta, ma il punto è che se pensiamo a Resident Evil, e in particolare al primo e al secondo, con tutto il relativo background legato alla Umbrella, è innegabile che questi fornivano due setting estremamente intriganti e densi da cui si poteva tirare fuori parecchia sostanza in termini di suggestioni e racconto pur rimanendo assolutamente nei crismi di un film di genere.
In questo il film di Johannes Roberts non è totalmente fallimentare, ma direi più che altro estremamente superficiale e il risultato finale è inesorabilmente deludente. Il soggetto in realtà non è malvagio le libertà prese per riassumere la storia dei primi 2 resident evil ci stanno. Anche il fatto di rendere la vicenda più personale collegando in qualche modo l’infanzia di Chris e Claire alla Umbrella e a Birkin rende più intrigante il coinvolgimento dei due protagonisti nelle vicende, può funzionare in un’ottica di reinterpretazione di un immaginario derivativo. Il problema è che sono tutti accorgimenti di sceneggiatura per tener legate con lo scotch le fondamenta di un’idea di soggetto che non funziona, che magari sulla carta sembrava buona ma nella prova dei fatti crolla su sé stessa. Ovvero l’idea di raccontare in UN film gli eventi di villa Spencer e quelli di Raccoon City e in particolare del dipartimento di Polizia. Perché sono ambientazioni che non vengono sfruttate minimamente. E la messa in scena è pure ingannevole pure per chi i videogiochi non li conosce, perché in effetti le presenta entrambe suggerendoti magniloquenza, facendoti pregustare tutte le potenzialità di location cosi inquietanti. E invece poi non vengono esplorate minimamente.
Questo accade perché non c’è il tempo di farlo nel minutaggio del film, e quindi la loro valenza scenografica ma anche narrativa viene totalmente depotenziata. Qualche blanda scaramuccia con degli zombie, di cui c’è solo un momento vagamente ispirato che gioca sull’oscurità, due stanzette con 3 elementi in croce per strizzare l’occhiolino ai fan, come la stanza del pianoforte con relativo passaggio segreto, e nulla più. Niente misteri da scoprire, niente tensione, niente tridimensionalità nell’atmosfera. Un palcoscenico che richiama il videogioco ma sembra una sagoma di cartone dietro la quale non c’è nulla e non serve a costruire nulla. E questo da una parte era abbastanza scontato perché come detto, non dai il tempo di respirare all’atmosfera né di maturare al dramma. E un horror invece di questi tempi ne ha bisogno. Ma perché quindi non concentrarsi esclusivamente sugli eventi di villa Spencer o su quelli del dipartimento e Raccoon City? Questo bisogno bulimico di inserire più elementi possibili da quello che è sicuramente l’arco narrativo più iconografico della serie, ha generato un pastrocchio. Si genera quindi un netto contrasto tra l’attenzione che si dedica al dettagli, alla fedeltà con l’immaginario videoludico, e il modo grossolano in cui si afferra per nulla la sostanza che tale immaginario poteva prestare a un buon film horror.
Quindi la tonnellata di fan service, pur simpatico nella maggioranza dei casi, risulta fine a sé stesso, buttato lì perché sì, a volte in maniera poco elegante o fraintendibile (c’è una citazione addirittura a Code Veronica che inserita in quel modo genera solo confusione). E in generale il film si rivela come un action horror movie poco coeso, in cui per lo più succedono cose solo per innescare momenti che ricordano i videogiochi ma sono solo legati da dinamiche inconsistenti e talvolta pure incoerenti proprio per esigenze di stringere la trama. Con una regia non pessima ma quasi sempre priva di personalità, che non sa costruire nessun momento di reale pericolosità, nessun momento che ti lasci con il fiato corto, nessun momento in cui si percepisce lo sforzo di sopravvivenza dei protagonisti. Gli zombie stupidi e lenti, già nel 2021 sono materia difficile da trattare senza risultare insipidi e noiosi, se poi me li usi all’interno di dinamiche concepite in maniera svogliata e banale, il tedio è moltiplicato. Per non parlare degli altri (pochi) mostri che non ci fanno figura molto migliore, un po’ per la computer grafica sotto gli standard (che però giustificherei se compensata da fotografia e messa in scena degna) un po’ perché mostri sacri nel pantheon dei villain di Resident Evil come il Dottor Birkin e forse la creatura più inquietante dell’intera saga, Lisa Travor, subiscono davvero un trattamento imbarazzante in questa pellicola… Ancora una volta, potenzialità sprecatissime.
E dire che all’inizio il film sembrava cominciare con il piede giusto tutto sommato, si prende il tempo adeguato per raccontare l’infezione e l’aura marcescente di Raccoon City, che forse è un po’ proprio la cosa che funziona meglio del film, nonostante sia una città quasi totalmente deserta (condizione giustificata all’interno del film). Pareva costruire qualcosa di vagamente valido ma poi ti rendi conto che 40 minuti sono passati e hai ancora da sviscerare due due diramazioni della storia e un pletora di personaggi che manco a dirlo, fanno la fine di tutto il resto, ovvero sono trattati con superficialità; qualcuno funziona, molti no. La caparbia Claire interpretata da Kaya Scodelario è il personaggio migliore, e non a caso quello più presente in scena. Chris tutto sommato pure ci può stare se proprio vogliamo vedere il bicchiere mezzo pieno, in fondo assomiglia abbastanza alla controparte videoludica che non è certo un esempio di complessità ed espressività, il classico agente sicuro di sé e coraggioso, nulla più. Vedete voi se è un bene o un male.
Leon S. Kennedy è un caso un po’ particolare. Nei giochi che lo vedono protagonista si evince una personalità brillante e sagace che però nasconde un certo spirito libero, una certa propensione a fare un po’ il piacione ogni tanto, in maniera molto implicita diciamo. Nel film il personaggio che di faccia secondo me funziona nonostante non assomiglia troppo al modello originale, spinge molto, troppo probabilmente, l’accento sul suo essere inesperto, impacciato e e dall’indole un po’ lasciva. Questo lo allontana molto dal ben più sottile lavoro di caratterizzazione del personaggio originale. Anche se effettivamente nel background di Resident Evil 2 era un novellino e arrivava tardi al lavoro, era un personaggio di tutt’altra pasta. Questo è innegabile. Ma devo dire che paradossalmente nell’economia del film, non è necessariamente un lato negativo in quanto così si differenzia in maniera netta dagli altri personaggi tutti ben più stoici rispetto a Leon. Ma parlando di stoicismo e tornado ai lati rovinosi del film, purtroppo va detto che per il resto del cast principale non ci sono da spendere buone parole con un Wesker totalmente stravolto (in peggio) e Jill non pervenuta (se non c’era era uguale). Incredibilmente il comandante Irons del dipartimento di Polizia (personaggio totalmente di second’ordine nei videogiochi) lascia un’impronta maggiore e ben più consistente nel film.
Insomma che vi devo dire, io sono un fan di Resident Evil e un gran fan del cinema horror, ma mi sono annoiato. Purtroppo la verità è questa, se vi basta il fan-service probabilmente vi divertirete e troverete il film ricco da questo punto di vista (c’è pure l’orfanotrofio introdotto nel Remake del 2). Ma se ci volete dietro anche un film valido, pur considerando con quanta forza questo film si volesse distanziare dalla serie di Anderson con Mila Jovovich, il paradosso, la maledizione, e anche un po’ il colmo, è che a livello qualitativo più o meno finiamo da quelle parti. Lì c’era un po’ di personalità, qui c’è lo sforzo di essere fedeli alla fonte di ispirazione, in entrambi i casi però, i pochi meriti non riescono a compensare l’imperante mediocrità del risultato.