La Ruota del Tempo: la mastodontica rivoluzione fantasy di Robert Jordan
Parlare della Ruota del Tempo, celebre saga fantasy iniziata da Robert Jordan, potrebbe non essere compito facile. Semplicemente perché, a conti fatti, quella creata dallo scrittore di Charleston è probabilmente la più vasta e imponente saga mai creata da un autore fantasy nella storia del genere, qualcosa che ha pochi paragoni.
Dimenticate le trilogie, le quadrilogie e le saghe di sette volumi: la Ruota del Tempo compie il suo ciclo all’interno di quindici volumi; quattordici romanzi principali e un prequel che costringono i lettori appassionati a creare un’intera sezione nelle proprie librerie, croce e delizia dei collezionisti che hanno tentato di completare la lettura di un’opera che, senza mezzi termini, possiamo definire mastodontica.
Ma sarebbe sbagliato dare credito a The Wheel of Time solo per la sua vasta composizione. L’opera, al suo interno, contiene anche numerosi spunti interessanti, che rendono quanto realizzato da Jordan una piccola (si fa per dire) gemma del fantastico. Amata, discussa, criticata e apprezzata che sia, l’opera ha costituito uno spartiacque nella letteratura. Parafrasando le parole dette da George R.R. Martin, dobbiamo parlare di un prima e dopo la saga di Robert Jordan.
Ma perché? Proviamo a ripercorrere la strada che ha concesso a questa ruota di arrivare fino a noi, resistendo all’urto del tempo e della critica. E, già che ci siamo, proviamo a fare un piccolo confronto tra i libri di Robert Jordan e la serie da poco arrivata sul catalogo di Amazon Prime Video.
La Ruota e il Vietnam: il fantasy secondo Robert Jordan
Nel 1984 un giovane autore di trentasei anni propose a Tor Book di realizzare per loro un ciclo epic fantasy. Qualcosa di ampio respiro, sul modello de Il Signore degli Anelli di Tolkien, che gli permettesse di sfruttare alcune proprie idee originali per creare il suo mondo. L’editor di Tor, sapendo che quel giovane con una laurea in fisica e un passato da soldato decorato in Vietnam aveva la tendenza ad andare per le lunghe, propose un contratto per sei libri, immediatamente accettato.
La storia di come Robert Jordan arrivò a proporre il primo libro de La ruota del Tempo al suo editore, non sembra poi così strana. Una normale storia di pubblicazione come tante altre nei paesi anglosassoni. La differenza sta proprio nel particolare soggetto dietro alla macchina da scrivere: Robert Jordan non era certo nuovo al fantastico o alle pubblicazioni. Prima di quel 1984 era infatti stato autore di alcuni libri sul personaggio di Conan il Barbaro e di alcuni romanzi storici. Ma quella che proponeva alla sua casa editrice era un’idea decisamente nuova e, forse, mai tentata prima: raccontare la storia di un uomo che solo in età matura avrebbe saputo di essere il prescelto.
L’idea era intrigante, ma prevedeva anche un lungo racconto alle spalle che avrebbe dovuto coprire la vita di quel protagonista prima di arrivare alla rivelazione finale. Un percorso tortuoso, forse troppo lungo persino per l’autore stesso che, arrivato a circa metà del suo lavoro, si rese conto che non poteva funzionare. Fu così che Jordan cambiò idea, se possibile complicando ulteriormente le prospettive del suo lavoro. Il racconto avrebbe ancora riguardato un prescelto, che avrebbe ottenuto il titolo di Drago Rinato, ma sarebbe cambiata l’età del protagonista, reso molto più giovane. E, soprattutto, il progetto avrebbe abbracciato molti più anni nella vita del personaggio, seguendone la crescita in maniera lenta e costante.
Non è cosa da poco. Oggi pensiamo a Harry Potter o alla Cronache del Ghiaccio e del Fuoco, dove è normale seguire la crescita dei personaggi lungo un arco di tempo decisamente lungo, ma per l’epoca i precedenti erano quasi nulli. In Earthsea vedevamo sì Ged crescere, ma solo attraverso diversi salti temporali e conoscendolo in momenti diversi della sua vita. E il trascorrere del tempo per la famiglia Ohmsford di Shannara si consumava nel passaggio da un libro all’altro della saga, abbandonando tuttavia il personaggio in questione a favore di nuovi volti. Ciò che si proponeva di fare Jordan in sostanza non aveva precedenti, innovazione e grandezza dimostrata anche dalle dimensioni enormi della saga. Inizialmente concepita per sei volumi passò presto a dodici, con l’ultimo di questi che fu terminato da Brandon Sanderson per la scomparsa prematura di Robert Jordan. Volume, questo, che fu a sua volta spezzato in tre parti, andando a costituire quelle che è oggi la più lunga e complessa delle saghe fantasy.
Oriente, occidente
Uno degli aspetti che colpisce maggiormente nel Ciclo de La Ruota del Tempo è la dovizia dei particolari del mondo. Jordan cura le società del suo continente senza nome minuziosamente, accertandosi di offrire la massima immersione al suo lettore. Non lo fa introducendo una singola ambientazione, ma decine. Città, regni, regioni, villaggi: tutto contribuisce a rendere l’ambientazione dei romanzi qualcosa di vivo e vitale.
E questo è vero soprattutto per le descrizioni della società del mondo in cui si muovono i personaggi de La Ruota del Tempo. Il mondo di Jordan ha ricominciato a vivere dopo una catastrofe; ha perso molto, ma nel mentre sembra aver guadagnato qualcosa dal punto di vista sociale e umano. L’autore di Charleston fu uno dei primi a descrivere un mondo dove uomini e donne sembrano godere di una vera e perfetta parità di diritti. Questo aspetto rende ancora oggi la Ruota un testo di riferimento per autori e lettori.
La partecipazione delle Aes Sedai ai giochi di potere sul continente anticipa di diversi anni le figure femminili di Martin, altrettanto influenti nel gioco del trono. Le idee di Jordan si consumano però su scala globale, abbracciando regni e culture molto diverse, alcune delle quali cercano anche di imporre una forma di patriarcato come reazione al prestigio dell’ordine di Incanalatrici.
L’accenno alla magia in Jordan ci concede di introdurre uno dei forti motivi di fascino nella saga: le influenze orientali. In un periodo storico dove nel fantasy dominavano i riferimenti alla mitologia norrena, Jordan scelse di basarsi anche sulle filosofie orientali. Forse fu influenzato in Vietnam, in qualche momento di pace tra le battaglie. Entrato in contatto con la cultura del posto, riuscì ad apprezzarne la visione del mondo al punto di farla propria nella mitopoiesi del suo romanzo.
Ne potrebbe essere un esempio la concezione dell’Unico Potere del mondo ricalca a modo suo quella del taoismo. Esso possiede una parte femminile (saidar) e una maschile (saidin) che lavorano in contrapposizione tra loro e che in armonia spingono la Ruota creando il moto del tempo e delle ere. Jordan elenca anche cinque elementi a cui un incanalatore può accedere, contrariamente alla tradizione occidentale, derivata dalla filosofia ellenica, che ne presenta quattro. Un altro esempio è il ciclo delle reincarnazioni. Esso sembra aver poco a che vedere con la tradizione delle metempsicosi del mondo classico, strizzando invece l’occhio a quella della religione buddhista.
Una, dieci, cento, mille vite
Nel mondo creato da Jordan tutto verte attorno alla Ruota del Tempo, un concetto che pare incarnare in sé elementi astratti e materiali allo stesso tempo. La Ruota crea l’esistenza intrecciando tra sé i fili delle vite umane, tessendo l’arazzo del mondo era dopo era. Il Creatore di questo concetto, al principio dei tempi, imprigionò un’entità a lui contrapposta, nota come Shai’tan, il Tenebroso. Un’essere di puro caos che, nel corso delle ere, ha tentato di interferire con i cicli della Ruota in maniera più o meno diretta. Le vittorie e le sconfitte sono tuttavia poca cosa per Shai’tan. Il Tenebroso è infatti imprigionato all’interno del ciclo infinito della Ruota, costretto a ripetere all’infinito gli eventi.
Contrapposto a Shai’tan troviamo un campione della Luce, il Drago, un potente incanalatore maschio che ha in sé abbastanza potere da abbattere il Tenebroso e rinchiuderlo ancora una volta nella sua prigione. Questo non sembra va come dovrebbe: nella sua precedente incarnazione il Drago ha dovuto sigillare Shai’tan, causando la frattura del mondo e la sua rovina. Proprio per questo, la nuova rinascita del Campione della Luce, è accolta con un certo timore da alcuni. A questo si aggiunge il fatto che Prima di essere sigillato nel corso dell’ultima era il Tenebroso è riuscito a contaminare la parte maschile dell’Unico Potere. Essa è ancora pura, ma contaminata da una sorta di superficie maligna che rende impossibile per ogni incanalatore maschio sfruttarla senza impazzire.
Quando inizia il racconto di Jordan l’avvento del Drago appare ormai prossimo. Proprio per questo Moraine Sedai dell’Ajah Azzurra, accompagnata dal fido custode al’Lan Mandragoran, si dirige nella regione dei Fiumi Gemelli. Sarà qui che incontrerà Rand al’Thor, un giovane dai tratti esotici che, nel corso dei romanzi, si rivelerà essere il Drago da lei cercato. La storia di Rand non è molto usuale per un prescelto fantasy. In primo luogo copre gran parte della sua vita, non solo il momento della presenta maturazione e compimento della profezia che lo vede protagonista. Il suo percorso è fatto di vittorie e sconfitte, che nel tempo il giovane imparerà a conoscere come parte di un ciclo infinito all’interno della Ruota.
La maturazione di Rand passa anche attraverso questa presa di coscienza: realizzare il suo compito come Drago nel ruotare delle ere e nel cambiamento delle epoche. Un ciclo di reincarnazioni che nemmeno il prescelto sembra poter spezzare. Parte del compito di Rand sarà quella di addestrare una nuova generazione di Incanalatori in vista dell’ultima battaglia contro il Tenebroso, il momento in cui le sorti del mondo si decideranno e in cui l’eterno ritorno della ruota sarà messo in discussione.
Le due Ruote
Per i lettori di Robert Jordan è ovviamente impossibile non fare i conti con quanto ci sta mostrando la versione Amazon de La Ruota del Tempo. La serie sceneggiata da Rafe Judkins ci mostra alcune sostanziali differenze rispetto al ciclo originale di romanzi. L’impressione, da parte di molti lettori (ora spettatori) è che si sia tentato di rendere meno prevedibile una parte consistente dello spettacolo.
Arrivati al giro di boa della prima stagione dello show possiamo porci una domanda: questo Wheel of Time sta funzionando? Sfortuna vuole che non sia una questione facile da risolvere. La serie, da un lato, mostra i difetti di uno show ancora agli inizi. Fatte salve alcune scelte di fotografia, che si traducono spesso in una saturazione dei colori poco realistica, il mondo ispirato ai romanzi di Jordan mostra alcune criticità. In particolare la società rappresentata, in molti casi, sembra distante da quella descritta da Jordan.
Soprattutto sembrano mancare (o, semplicemente, non sono ancora emersi) i riferimenti al mondo prima della Frattura, quando la società era così progredita grazie all’uso dell’Unico Potere da diventare un’utopia quasi fantascientifica. Il nome di Lews Therin Telamon non sembra ancora essere stato pronunciato e pochi o nulli sono i riferimenti ai Reietti e agli adepti dell’Ombra.
Insomma, potremmo quasi pensare che lo show, essendo solo all’inizio, non abbia ancora avuto modo di mostrarsi. Eppure qualche elemento da giudicare esiste. Tempo fa, parlando di American Gods, sostenemmo come la serie fosse vicina alla narrazione e allo spirito della sua controparte cartacea, pur non seguendone gli eventi. Ed è in un certo senso quello che vediamo manifestarsi in questi primi episodi di The Wheel of Time. La trama mostra alcune divergenze, ma il ricamo mostra un’intessitura che si avvicina a quella del ciclo di Jordan, rispettandone le scelte.
Insomma lo spirito c’è: sarà da vedere se il corpo sarà abbastanza forte da mantenere in piedi l’intera produzione fino alla trasposizione del quattordicesimo volume.