Crossed Swords, simbolo di una inconsapevole avanguardia ludica vecchia di 30 anni
Negli anni ’80 e ’90 c’era di tanto in tanto un certo sperimentalismo nel mondo dei videogiochi, tentativi di decostruire i generi classici in maniera originale, ribaltando le prospettive e trovando nuovi modi di sfruttare in maniera innovativa la natura bidimensionale dei videogiochi, quanto la grafica in bitmap e i livelli di parallasse erano l’universo intero con cui uno sviluppatore si poteva esprimere. Un universo che rappresentava sicuramente un limite tecnico, ma non sempre un creativo, ed è il caso di giochi come Punch Out, The Super Spy e Space Harrier.
Di norma, ad ogni genere corrispondeva un certo linguaggio estetico, funzionale al gameplay: i picchiaduro e i platform con una visuale laterale, i racing con una “vista frontale” su tracciato, i GDR con punti di vista isometrici o embrionali formule in prima persona a schermata fissa. Ho sempre trovato però interessanti i progetti che andavano ad ibridare in maniera differente forma e sostanza, innescando in qualche modo seppur estremamente alla lontana, formule che potremmo definire avanguardiste e lungimiranti se si considera come l’avvento dei poligoni avrebbe rivoluzionato il modo di concepire il videogioco solo qualche anno dopo. Uno dei casi che trovo più interessanti (e meno chiacchierati) in tal senso è Crossed Swords del 1991, sviluppato da Alpha Denshi Corporation per la SNK.
Si trattava di un arcade con un setting fantasy veramente interessante, proprio per la capacità di essere piuttosto estroso nel connubio di elementi che oggi diamo per scontati, quasi banali, ma che per l’epoca non lo erano assolutamente. Innanzitutto l’inserimento di una componente GDR con magie, level up e nuovi equipaggiamenti all’interno di una struttura che vede come core ludico una struttura action del combattimento. Certo, c’erano già giochi come Dungeons & Dragons di Capcom che tentavano qualcosa di simile, ma si trattava comunque di una peculiarità rara in un gioco arcade. C’è poi la visuale dalla schiena del protagonista, che potremmo definire quasi in seconda persona, richiamando in qualche modo quella sdoganata da Resident Evil 4, e che più in generale offre quella prospettiva frontale all’azione di gioco che è diventata istituzionale negli adventure di qualunque tipo dell’epoca del 3D.
Un esercizio di stile fine a se stesso? Non proprio dal momento che in Crossed Swords questa “nuova” formula di immedesimazione con il proprio avatar, non è solo un primo timido sguardo sull’ideale semantica estetica che diverrà un vero e proprio punto fermo nel processo creativo di qualunque videogioco moderno, ma apre la strada a meccaniche tanto semplici quanto innovative in quello che ridotto ai minimi termini, potremmo definire un beat-em up a scorrimento medievale fantasy. Intuizioni e iniziative di design notevoli, avute prima che l’avvento dell’ambiente tridimensionale potesse indirettamente ma palesemente suggerire le mille potenzialità interattive e suggestive di un punto di vista diverso.
Meccaniche basate su un concept che si è espresso al meglio solo in epoca contemporanea in innumerevoli videogame basati su incontri cappa e spada (e non solo), ovvero l’attenzione sul proprio posizionamento rispetto al tipo di attacco nemico ricevuto. Se in giochi come Nioh, ad esempio, esso è inteso più in ottica offensiva, il gioco di ADK punta tutto sul versante difensivo, e rende davvero importante percepire se il colpo arriverà dall’alto o dal basso, per posizionale lo scudo nella maniera corretta. Ma non basterà tenere questo spianato ed aspettare il colpo nemico sperando di intercettarlo correttamente. Tutto in Crossed Swords incentiva a mantenere la concentrazione sull’animazione di attacco dell’avversario, e a lavorare sul tempismo, perché solo difendendoci all’ultimo potremmo mantenere una sorta di stamina alta, immobilizzare per un istante il nemico, e colpire con più efficacia e facendo più danno. Vi ricorda qualcosa tutto questo? E se vi dicessi due parole come Parry e Dark Souls?
Sebbene il paragone pare azzardato avere vibes simili di titoli appartenenti ad epoche e concept così distanti è interessante per capire e studiare quanto certe intuizioni siano “antiche” e nate in contesti di mercato e sviluppo estremamente diversi rispetto a quelli che viviamo oggi, ove certe istanze e infrastrutture ludiche sono talmente assodate da risultare convenzionali. Ed è altrettanto curioso che tali convenzioni fossero considerate nei pochi titoli di un trentennio fa che uscivano dagli schemi, quasi “esibizioniste” e barocche nell’andare a sovvertire i cardini con cui si sviluppavano i vari generi del videogioco più in voga. Questo perché tali cardini erano solitamente funzionali all’efficacia totale delle formule di gioco basate su una struttura che doveva prevedere interazioni solo sulla asse della X e della Y. Crossed Swords è un titolo invece che rende l’emancipazione da tali schemi qualcosa di strettamente legato agli obiettivi ludici della propria struttura, ma che deve pagare la sua estrosità con evidenti compromessi invalicabili nonostante le ambizioni.
Per esempio non può esserci deambulazione ed esplorazione in un ambiente 2D in cui cambia la prospettiva e si sfrutta ogni comando direzionale solo per il movimento dedicato all’istanza del combat system, e quindi il gioco procede giocoforza sui binari. O ancora, i limiti tecnici e la memoria del processore a 12 Mhz non permettevano di creare decine di nemici diversi a differenza di un action/platform o un beat-em up a scorrimento tradizionale, perché il gioco prevedeva sprite e animazioni complesse per inserirsi in maniera coerente nell’estetica e nelle meccaniche di gioco (che ricordiamo pretendono nemici “belli grandi” con movimenti chiari in grado di farci capire il tipo di attacco per eseguire di conseguenza la difesa opportuna).
Per coincidenza o per lungimiranza, ancora una volta, in Crossed Swords c’è furbizia anche dietro tali limiti. Ecco quindi che in un titolo in cui è fondamentale imparare il doppio pattern dell’avversario per parare alto o basso, sarebbe stato problematico assimilare a livello mnemonico i movimenti di troppe tipologie di scheletri zombie e demoni assortiti, anche perché pur imparando quelli presenti risulta già ardua l’esecuzione visto che ci sono solo un paio di velocissimi frame che notificano l’imminente attacco. Frame la cui leggibilità è comunque facilitata dal primo piano frontale del contendente dinnanzi a noi.
Se quindi siete interessati a provare un titolo senza dubbio divertente, ma soprattutto interessante da un punto di vista creativo, oggi potete fare un po’ di archeologia videoludica per pochi spicci se avete una Switch. Crossed Swords infatti lo trovate nei meandri meno frequentati del Nintendo Shop. Fatelo vostro se avete voglia di ammirare una scintilla di estrosa e inconsapevole modernità in uno dei classici meno considerati tra i cult game per Neo Geo.