Gli oggetti nei videogiochi sono strumenti ludici e operatori della comunicazione
Gli oggetti nei videogiochi sono innumerevoli. Impossibili da elencare tutti, improponibili da definire con certezza e precisione. Quello che tenteremo di fare, sarà più allora un breve tuffo nelle profondità dei segni e dei significati, alla ricerca di qualche relitto digitale da utilizzare come testimone di un meccanismo a più livelli espressivi che trova ospitalità in alcune delle più rilevanti produzioni degli ultimi anni. Con la precisa volontà di porre in evidenza i processi di similarità e di “posizionamento” che subiscono questi oggetti nei vari contesti in cui si trovano a esistere e a persistere, nella fondamentale valenza di vettori della comunicazione fra i partecipanti di questo scambio interpretativo senza fine che è il videogioco. D’altra parte, è il contenitore come intenzione di grado zero a fare la differenza e spetta al sistema culturale ridisegnare ciò che in esso è contenuto.
L’inquietante ronzare di una radio a Silent Hill
Iniziamo questo percorso esplorativo fra gli oggetti nei videogiochi, chiamando in causa Silent Hill e la sua ronzante radio. Questo aggeggio semi-funzionante, in effetti, risulta essere contemporaneamente uno dei primi oggetti di gioco che troveremo nel nostro percorso e che da quel momento in poi avremo nel nostro inventario, e anche l’aperitivo ludonarrativo che anticipa di qualche attimo l’incontro con il nostro primo mostro e i pericoli ambulanti che abitano quella maledetta città. La radio, ecco, appare fin da subito nella sua duplice valenza conoscitiva ed esperienziale, essendo uno strumento interno e coerente con il mondo di gioco e con le regole dello stesso, la cui funzione è quella di emettere delle interferenze statiche di diversa intensità e volume in risposta all’avvicinamento di un nemico (in alcuni episodi, anche i nemici sono in grado di captarci udendo il rumore bianco emesso dalla radio), ed è in grado di fornirci una contromisura uditiva all’ignoto che ci circonda e ponendosi come contrappunto singhiozzante alla terrificante colonna sonora a opera di Akira Yamahoka.
Spegnere la radio, allora, non ci sarà di nessun aiuto; anzi, ci renderà ciechi, impedendo al nostro sguardo di giocatore di farsi largo fra gli ambienti scarsamente illuminanti, se non completamente bui; e sordi, oscurando la nostra capacità predittiva di conoscere (per quanto possibile) in anticipo i pericoli incombenti. Da meccanica ludica a strumento narrativo, la radio occupa un ruolo centrale nella tensione emotiva e nella realizzazione della suspense, due degli elementi che contribuiscono a rendere l’atmosfera di Silent Hill quel piccolo grande meraviglioso incubo che tutti conosciamo.
Una macchina fotografica a Rapture
«La macchina fotografica somiglia a quelle che si vedono di sopra. Secondo questo articolo che mi sono procurato può anche ‘analizzare informazioni genetiche’, ‘esaminare strutture biologiche’ e un sacco di altri paroloni» — Atlas
La macchina fotografica, o Macchina di ricerca, presente nel primo Bioshock, come ci suggerisce Atlas, è la versione “rapturiana” dello strumento che tutti noi conosciamo. Solo molto più bizzarro ed esteticamente ricalcato sullo stile dieselpunk-art déco della serie. In aggiunta, si presenta come una chiave necessaria per il proseguimento del nostro percorso e come fonte ludo-performativa che ha un impatto concreto sull’accrescimento delle nostre abilità e, indirettamente, anche sulle conoscenze che abbiamo rispetto al mondo di gioco.
Infatti, a un certo punto dell’avventura verremo incaricati di recuperare quest’oggetto, che dovremo usare per ritrarre una serie di ricombinanti e realizzare una grottesca, quanto inquietante, installazione artistica che altro non è che un inno, neanche troppo simbolico, alla morte e alla follia. Se inizialmente la sua comparsa ci appare come accessoria e limitata al superamento di questa particolare sezione di gioco, scopriremo presto che il suo utilizzo possiede un carattere trasformativo esteso all’intero sistema e quindi molto utile per la nostra sopravvivenza.
La macchina di ricerca, di fatti, va equipaggiata come fosse un’arma: è vero che non fa danni diretti e “spara” pellicole al posto delle munizioni, ma i suoi effetti sono reali e micidiali. Immortalando i ricombinanti, Big Daddy, o i Dispositivi di Sicurezza, permetterà di analizzarne il codice genetico (o elettronico) per scovarne le debolezze e accrescere il nostro bagaglio informativo. Raggiunto un buon grado di conoscenza, si sbloccheranno una serie di importanti ricompense, come un aumento permanente del danno contro il tipo di nemico ricercato (o della salute e dell’EVE nel caso delle Sorelline) o vantaggiosi Tonici Genetici e altri bonus. Insomma, affinare l’occhio per l’arte fotografica è un’attività decisamente remunerativa all’interno di Rapture.
Un po’ narrazione e un po’ educazione: il Codec in Metal Gear Solid
Il Codec è un sistema di comunicazione tecnologicamente avanzato croce e delizia della Metal Gear Solid saga. Utilizzato da Snake (o meglio, dagli Snake di turno) per mettersi in contatto con la squadra di supporto che lo aiuterà nel corso della sua missione, si presenta come uno dei principali strumenti narrativi che, attraverso serrati e verbosi dialoghi, permettono alla storia di procedere e a noi giocatori di ricevere informazioni utili per tenere il filo del discorso e per conoscere la realtà alternativa e virtuale in cui siamo ospiti.
Come affermato da Hideo Kojima, il Codec è un oggetto diegetico privilegiato rispetto al suo mo(n)do di intendere la narrazione: se nel primo Metal Gear Solid 1, infatti, i continui aiuti e suggerimenti che riceviamo attraverso il Codec sono coerenti con la nostra condizione di ignoranza e il relativo livello di addestramento di Snake in quel momento; nel successivo Metal Gear Solid 2, Snake è un veterano e di conseguenza non necessita più del supporto costante di Otacon tramite Codec; un cambio di prospettiva che ha reso necessario l’introduzione di un nuovo personaggio (inesperto) che rendesse nuovamente congruo il suo utilizzo più che massiccio come mezzo per educare i nuovi giocatori (e Raiden) su come interagire con il gioco.
Ma il Codec non è solo un filo che lega il giocatore con il giocato, un filtro mediato mediante il quale assorbire conoscenza e nozione, si rivela essere, nel suo perfetto porsi come sintesi dell’uomo-autore-regista Kojima, anche quel piccone con cui rompere la quarta parete: sia in senso metaludico, ogni qual volta lo usiamo per salvare la partita; sia, metanarrativo, quando, viene usato per comunicare direttamente con il giocatore o per porre in essere una riflessione sul videogioco in sé e sulle sue possibilità.
Scrutare l’orizzonte: il binocolo in Dark Souls
Il Binocolo (e varianti per quanto riguarda Bloodborne), è uno di quegli oggetti presenti nei videogiochi che hanno raggiunto lo status d’icona, effettivamente ben al di là dell’effettivo valore e utilità. Presente come oggetto chiave e anche come dono iniziale da poter scegliere prima di iniziare la partita, ha una sola autoevidente funzione: quella di permetterci di guardare più lontano e un po’ più lontano visto il misero zoom attivabile. In realtà, applicando un po’ di fantasia e di pensiero laterale, si scopre che il binocolo è integrato nelle meccaniche di gioco più di quanto sembri: infatti, può essere usato come in combinazione a incantesimi o a una balestra, per aggirare e ingannare il grezzo e imbambolato sistema di puntamento e ampliare le possibilità che il gioco normalmente offre all’utente.
Ma l’uso principe, previsto e voluto dagli sviluppatori, rimane senz’altro quello di potenziamento della nostra vista come strumento conoscitivo per eccellenza. Non solo per mappare tridimensionalmente la topologia ingarbugliata e intrecciata intorno a noi, che ci ospita e ci possiede; ma anche per individuare trabocchetti, quali inganni e trappole o i numerosi e spesso spaventosi che avversari dovremo affrontare. Ma, soprattutto, per vedere e quindi sapere: per accrescere le nostre competenze e il nostro sapere in merito alle storie depositate dietro la superficie delle cose. Incrostate negli spazi, nelle decorazioni di porte, colonne, edifici; o raccontate da un corpo posizionato con dovizia o dall’accumulo di erbacce infestanti. Se il design dà forma all’esistente, il dettaglio commenta e suggerisce quanto di più silenzioso possa esserci. Quali segreti nascondono e quali verità vogliono comunicare a chi sia in possesso della giusta curiosità attenzionale, o di un semplice binocolo che sembra sostanziarsi come una protesi per meglio vedere in profondità.
Come ti canto l’uranio: la radio in Fallout 4
A conclusione di questo rapido excursus fra alcuni dei più iconici oggetti presenti nei videogiochi, arriva la radio presente in Fallout 4 (e non solo, ovviamente). O, per meglio dire, della radio incastonata all’interno del Pip-boy in nostro possesso, lo strumento immersivo e agentivo per eccellenza di questo mondo post-atomico.
Innanzitutto, questa radio non è una semplice radio, ma possiede alcune caratteristiche interessanti che meglio ne giustificano l’elemento di interesse. Da una parte, infatti, essa si mostra come una sorta di traduttore che comunica con l’esterno; poiché, fungendo da detector di frequenze, ci dona capacità di scovare onde radio trasmesse nell’etere della lande semi-desolate, le quali, dopo averne rintracciata la fonte, ci permettono di ottenere missioni secondarie aggiuntive e, almeno in un caso ben specifico, di risultare determinante per la storia principale. Ci troviamo di fronte, a conti fatti, a un mezzo ludico-espressivo contestualizzato all’interno del gioco, come dispositivo di scoperta semi-causale e di selezione dei progressi di gioco, elementi che in altri contesti avrebbe potuto risultare dissonanti o poco coerenti con il “testo” che stiamo vivendo.
Dall’altra, invece, la radio si comporta da radio. Ovvero, dopo aver selezionato una delle diverse stazioni radio presenti, è possibile ascoltare una serie di brani intervallati da commenti e considerazioni sullo stato delle cose e sugli avvenimenti più recenti accaduti (e, quindi, influenzati più o meno direttamente dalla nostra agency). In particolare, la scelta di legare un sottofondo musicale diegetico al tutto, caratterizza in modo preponderante il significato (o la riflessione) politico che traspare al suo interno: al di là della colonna sonora nella sua totalità, è rilevante sottolineare come alcune delle hit radiofoniche presenti, allegre e disorientanti, sospese come sono nel tempo e posizionate in uno spazio fisico mutato nel profondo, che mescolano swing, blues e il rock ‘n roll, si manifestano proprio intorno alla tematica del nucleare: brani come Uranium Fever e Rocket 69, allora esaltano «ancor di più quanto fosse naif e ottimista il panorama musicale dell’epoca» per operare un ribaltamento che ne metta a nudo le criticità e le assurdità.
Anche qui, l’evidenza è tale da risultare superflua: la radio come oggetto nei videogiochi, si fa e si dona come apparecchio espressivo inscritto nelle regole proprio del genere (nelle sue vesti di raccoglitore di missioni secondarie), ma anche come ulteriore tramite comunicativo fra i messaggi di quello spazio virtuale e il giocatore al di là dello schermo.