Con The House scopriamo che non siamo più al sicuro. Il terrore si nasconde sotto il letto
nimazione stop-motion. Ambientazioni gotiche con richiami al passato. Il focolare domestico che viene privato della sua stabilità e della sicurezza. La casa che crolla sin dalle proprie fondamenta, martellate dalle criticità familiari.
Non stiamo parlando di Morte malinconica del bambino ostrica, ma dell’ultima, originale e destabilizzante creatura di Netflix: il film antologico The House, di Emma de Swaef, Marc James Roels. Una narrazione tanto innovativa, quanto inquietante, che mette a nudo uno degli elementi cardine della narrazione orrorifica.
Qui ripercorriamo, frame dopo frame, la ciclicità del male e l’ineluttabile deperimento dell’umanità, attraverso un’opera che ci mostra in tutta la sua crudezza che l’orrore più grande non arriva dall’esterno, ma dalla marcescenza della quotidianità domestica.
I corpi dei protagonisti giacciono in un quieto vivere finché non vengono privati di certezze, sicurezze, affetti e sentimenti. Il tutto, però, non è figlio di demoni o vampiri che risucchiano la loro forza vitale, ma dei loro stessi, reconditi, desideri. Le famiglie di The House sono inquieti visitatori di in un’esistenza che non afferrano e per questo, tramite il turbino della vita che li tempesta di avvenimenti basilari, decidono di fuggire in una realtà che finisce con il consumarli.
L’orrore, in questo caso, è ciclico, non c’è un medium capace di narrare linearmente lo svilupparsi degli eventi, ma è la casa il deus ex machina che attiva la concatenazione di eventi che caratterizzano la fine della serenità.
La frammentazione della casa
La casa.
Le mura domestiche.
La vita quiete che scorre.
Tutto questo, anziché rassicurarle, aliena le figure che si stagliano sullo schermo, fino a consumarle della propria umanità. Accade nei viaggi di Ari Aster, nei mostruosi incontri di Carpenter, nei bagni di sangue degli Slasher Movie, nelle bestiali intrusioni degli Home Invasion.
Ma cosa accade quando l’orrore non è alieno? Quando il male si ripresenta alla porta bussando dall’interno? The House ce lo evidenzia in queste storie, dove ci è impossibile non provare un profondo senso di disagio e di oscura inquietudine.
Quello che ci viene narrato è un mostro che cresce nel grembo della casa, sul divano e davanti i propri cari. Un male ciclico che si ripresenta per ogni famiglia, indipendentemente dal legame che le contraddistingue. Un raccordo macabro costituito da lame invisibili che sfilacciano la corda che unisce le vite di questi poveri astanti.
La casa.
I mobili.
I sogni che si frantumano.
The House costruisce una trama lineare che si ripete nelle stesse fabule. Intrecci quotidiani che mostrano la cupidigia dei singoli e la vacuità delle parole. Un orrore che viene alimentato da sentimenti e pensieri che divorano le bocche chiuse di umani (o, in alcuni casi, animali) che non sono più in grado di comunicare.
Le paure della quotidianità generano i mostri che ci divorano. L’infelicità che si mischia al desiderio. L’inappetenza emotiva che voracemente consuma la mente e non le parole.
La casa non è più sicura e la paura si nasconde sotto il divano, tra gli scaffali della libreria, sui ripiani della cucina e nei piatti durante le cene.
In un’epoca dove, forzatamente, ci si rifugge tra le mura domestiche, alla ricerca di una pace interiore impossibile da trovare fuori, con questa grottesca visione, le famiglie bruciano, i rapporti marciscono e finiamo con il perderci in selve della mente sperdute. Stanze del sogno che trasudano di incubi. Il fortino si apre, non c’è più sicurezza, e il male, ghermendoci da dentro, fa sì che riesca a insinuarsi anche da fuori, tendendo la mano a quei mostri che credevamo di aver dimenticato.
L’orrore si cela sapientemente, fino a mostrarsi negli attimi di debolezza. Si ripresenta ciclicamente dopo poco tempo, più e più volte. Lede la sanità mentale, consuma le fondamenta, minaccia il sonno.
Un nuovo lavoro, una nuova abitazione, l’accrescimento dello stato sociale, l’odio verso i vicini, i risentimenti verso i propri cari. L’orrore è una spirale ciclica che ritorna ogni giorno nel luogo dove l’avevamo lasciato. Nel pozzo del cuore, nell’anticamera dei ricordi, nella regia dei pensieri. Non c’è sicurezza, le storture della quotidianità non ci salvano. Il deperimento è costante, la paura soffia sul fuoco e tutto si distrugge, come una vecchia sedia che viene lanciata nel camino.
The House narra un orrore subdolo e incomprensibile, dove gli spettri lasciano il passo ai sentimenti
Come spezzare un così turbolento ciclo di eventi distruttivi? Silenziose serpi che sibilano sotto i nostri piedi? I legami umani, gli affetti, il dialogo sincero, la volontà di riavvicinarsi. In The House l’unico modo per poter evitare di cedere sotto i dilanianti colpi che battono sempre sullo stesso dente, è riuscire a far sopravvivere i sentimenti a fronte di un deterioramento costante.
Perché forse, in un mondo dove la casa nasce non più dove si vive, ma con chi ci si trova, i legami e i gli affetti contano ben più dei semplici desideri.