I bei vecchi tempi andati
embrano ormai un ricordo lontano i tempi in cui si dovevano cercare gli episodi di un anime su quei forum di fansub coloratissimi e strapieni di pubblicità. Megavideo è per molti di noi padre di Netflix e nonno di Crunchyroll, in quanto diffusissimo mezzo su cui caricare gli episodi di quegli anime che mai potevamo pensare sarebbero giunti in Italia. Troppo fanservice e sconcerie, troppa violenza e sangue, troppe differenze culturali da aggiustare alla bell’e meglio, a cominciare dai nomi propri un po’ americani un po’ italiani che sostituivano quelli giapponesi (i primi che mi balzano in mente sono quelli del trio Johnny, Tinetta e Sabrina…). Poco meno di vent’anni dopo, invece, per il mercato anime e manga la situazione è tutta un’altra cosa e abbiamo solo l’imbarazzo della scelta su quale piattaforma streaming utilizzare. Perché, per quanto esistano servizi specializzati come Crunchyroll, ormai anche Netfix e Prime Video – per citare i più grossi – si sono lanciati nel mondo dell’animazione, quella giapponese in primis, rispettandone quantomeno le origini e gli intenti e senza dunque ricorrere a censure.
In breve tempo, anime e manga sono diventati un fenomeno di massa di portata ormai mondiale e se da una parte ciò può portare dei risvolti positivi per i fan di lunga data e per i neofiti che vi si approcciano ora e si avvicineranno negli anni a venire, dall’altra comporta anche aspetti non ignorabili, sia per i consumatori che per i produttori.
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Nuovi orizzonti di rapida crescita
Il mercato di anime e manga tocca numeri da capogiro: solo per quanto riguarda l’animazione, sono girati miliardi di euro, tra produzioni e investimenti nella distribuzione mondiale. Secondo la NHK (il servizio pubblico radiotelevisivo giapponese), 9 miliardi di dollari già nel 2018 venivano da spettatori stranieri e in generale all’inizio della pandemia per l’intera industria veniva stimato un valore di quasi 20 miliardi di dollari. Sicuramente piattaforme come Netflix e Crunchyroll hanno giocato un ruolo fondamentale, tanto da spingere anche altre concorrenti a gettarsi a capofitto nell’enorme piscina degli anime: Disney+, su tutti, ha rivelato a ridosso della fine dell’anno scorso la volontà di mettersi in gioco, annunciando la distribuzione di anime, tra cui quello di Summer Time Rendering e quello di Twisted Wonderland.
E se questi pochi ma significativi dati riguardano gli anime in tutto il mondo, basterebbe guardare anche solo in casa nostra per accorgerci della crescente e apparentemente inarrestabile “febbre giapponese”: gli incassi registrati dalla Associazione nazionale degli editori giapponesi, la AJPEA, nel 2020 non si allontanavano di molto da quelli dell’animazione e questo trend si può riscontrare anche nel Belpaese, dove il fumetto ha letteralmente triplicato le vendite. A dimostrazione di ciò, sono sicura avrete notato come si stiano ampliando sempre di più gli spazi dedicati ai manga nelle librerie delle grandi catene e perfino nelle biblioteche comunali.
Come se tutto ciò non bastasse, la pandemia ha dato una spinta in più anche al fumetto in digitale: in pieno lockdown, sono nate innumerevoli iniziative di distribuzione gratuita o dai prezzi molto contenuti di opere a fumetti in digitale, condivise dagli editori stessi o disponibili attraverso app come Yep Comics! o Jundo (senza contare i contributi di singoli autori e disegnatori sulle loro pagine personali).
Insomma, apparentemente si prospetta un periodo florido per manga e anime in egual misura. No?
Il mercato anime e manga è saturo e deve cambiare
Ormai si sa, nel mondo di anime e manga giapponesi ci sono diversi problemi e nessuno di questi è risolvibile nel giro di poco tempo, specialmente quando il medium stesso e i suoi canali di distribuzione si diversificano e si evolvono ogni giorno che passa. Il tema più noto a tutti gli appassionati del settore sono le condizioni di lavoro critiche in cui versano non solo i mangaka ma anche gli animatori delle case produttrici più attive.
Qualcuno avrà sentito lo scandalo del dipendente di Madhouse ricoverato a causa delle troppe ore di lavoro e degli straordinari non pagati da parte della casa. Il salario degli animatori freelance che disegnano ogni singola parte dell’animazione è di meno di 2 dollari l’ora, che possono comporre 650 dollari appena al mese: una cifra così irrisoria che a volte li mette in condizioni di sostanziale povertà, secondo la soglia stabilita in Giappone. E se pensate che questo avvenga solo in Giappone, naturalmente vi sbagliate di grosso. La maggioranza dei fumettisti nostrani difficilmente può dire di riuscire a campare solo grazie a questo lavoro, non superando i 15 mila euro annuali. Fare il fumettista, o un lavoro ricollegabile alla nona arte, si tratta sostanzialmente di un mestiere sottovalutato e sottopagato.
Eppure la domanda del pubblico c’è, le piattaforme streaming in primis se ne stanno accorgendo, e per questo si auspica una scrematura della marea di opere che il Giappone produce ogni anno (più di 200), per dare spazio alle più meritevoli in un panorama già piuttosto saturo ancora prima degli ultimi due o tre anni. C’è una concreta possibilità, però, che ciò venga fatto con criterio? Considerando i numeri di cui sopra, è possibile che per rispondere all’enorme richiesta da parte soprattutto del pubblico occidentale non ci si farà troppi scrupoli su cosa valga la pena importare.
D’altronde anche i produttori giapponesi riconoscono di star creando serie animate destinate a spettatori fuori dal Giappone, perciò sarebbero necessarie ulteriori misure che prevedano un vero e proprio riposizionamento del medium: il target, per quanto riguarda il nostro Paese, non sono più esclusivamente bambini e preadolescenti come una volta, grazie alle piattaforme streaming inseritesi in questo circolo produttivo che possono garantire assenza di censure e proposte per ogni età. Sono queste, ora, a stabilire quanto un prodotto ha avuto successo e dunque a determinarne il proseguimento stesso. Il potere decisionale, insomma, è sempre più in mano al pubblico, che però non è più composto solo da appassionati di vecchia data.
È in vista una maggior digitalizzazione?
Infine, non bisogna dimenticare la situazione degli ultimi tempi legata alla mancanza di materie prime: in Giappone i capitoli settimanali, prima ancora di esser raccolti in tankobon, sonno pubblicati su riviste fatte sostanzialmente di carta straccia. Il pubblico italiano, bisogna ammetterlo, è invece abituato da qualche anno a ottime edizioni, curate nei dettagli e dotate perfino di più di una variant cover per un singolo volumetto. Su queste uscite e altri eventi speciali le case editrici fanno intere campagne per esaltare il prodotto finito e aumentare le vendite. I risvolti negativi sono ovviamente l’acquisto massiccio delle copie di queste variant, rivendute poi a prezzi esorbitanti un po’ come accade per i biglietti dei concerti.
Ma se la scarsità di carta al momento sta provocando “soltanto” un ritardo più o meno ampio su diverse uscite, questo potrebbe essere uno stimolo a portare alcuni titoli anche in digitale? D’altronde, una conseguenza delle pubblicazioni rimandate potrebbe essere un aumento ancora maggiore della distribuzione di scan illegali, altro fenomeno che nasce tuttavia proprio a causa dei costi sempre più alti delle varie edizioni della serie di successo del momento.
Il Giappone ha provato a mettere una pezza creando Manga Plus, la piattaforma manga online di Shueisha, che prevede l’uscita dei capitoli in contemporanea col Giappone ma attualmente non prevede la lingua italiana nemmeno per i titoli di punta come One Piece o Jujutsu Kaisen.
Il sorpasso del digitale quindi non è esattamente dietro l’angolo, anche perché i collezionisti chiederanno sempre la versione cartacea del loro manga preferito, tuttavia le potenzialità della lettura in digitale non sono da trascurare.
La situazione però si sta evolvendo in modo del tutto imprevedibile ed è ancora presto per dare giudizi assoluti su quali risultati porterà. Certamente chi si trova all’interno del mercato anime e manga avrà parecchio lavoro da fare per cercare di non scontentare nessuno, e non sarà facile.