Il terzo capitolo della serie di giochi di skateboard di Roll7, OlliOlli World, è un documento teorico-pratico utilissimo per comprendere al meglio implicazioni che forse diamo troppo per scontate
pesso associamo lo skateboard alla non convenzionalità, alla libertà e a tutta una serie di atti di sovversione e ribellione. Il voler appropriarsi degli spazi urbani, la consapevolezza del mondo attraverso il contatto tra ruote e terreno e la costruzione di un modello di interazione sociale alternativo a quello ipercompetitivo della società occidentale. Romanticamente è questo che pensiamo quando vediamo sfrecciare una persona sul proprio skate; ma è ancora così? Com’è cambiato l’universo dello skate? E perché? Si può ancora provare a intendere questa cultura come strettamente e volontariamente politica? Sorprendentemente la risposta a questi interrogativi, almeno riferendosi al videogioco, è all’interno di OlliOlli World.
Prima di entrare nel merito dell’argomento principale di questo articolo permettetemi una digressione necessaria per spiegare che cos’è OlliOlli World. Sviluppato dallo studio londinese Roll7, il gioco è il terzo capitolo di una serie diventata abbastanza di culto tra le persone legate a un certo immaginario. Il motivo è da trovarsi non soltanto nel cosa – in questo caso lo skateboarding e gli annessi trick comunicati attraverso un gameplay intuitivo ma sfidante – ma anche nel come. In ciascuno dei capitoli precedenti (pubblicati rispettivamente nel 2014 e nel 2015) era infatti percepibile che l’intento di chi ha realizzato i giochi non fosse soltanto portare a chi gioca una sfida piuttosto elevata e continua ma anche comunicare, attraverso questo, qualcos’altro. Balziamo di sette anni nel futuro, arrivando al nostro 2022, ed ecco che tutto diventa più chiaro che mai.
Invertire l’agonismo, riscoprire l’ecologia
In un TedTalk del 2015 la stella dello skateboard Rodney Mullen discute un problema rimasto abbastanza sottotraccia nei dibattiti legati a questo sport e alla cultura a esso connessa: il fatto stesso che la concezione sportiva – e quindi agonistica, competitiva e individuale – abbia sostituito quasi totalmente quella culturale, comunitaria e collettiva. I tempi della riappropriazione rivoluzionaria di Stacey Peralta, Tony Alva e tutti gli altri Z-Boys di Dogtown vengono visti con rimpianto da Mullen. Nel video, viene infatti rinfacciato allo skateboarding l’aver ceduto alle lusinghe di sponsor, tornei e sfida tra individui piuttosto che continuare con una spinta massimalista che ponesse le singole persone allo stesso piano culturale e di intenti a prescindere dalla loro abilità (e se a dirlo è uno degli skater più abili e poliedrici di sempre forse dovremmo dargli retta, ndr.).
Per andare ancora oltre a questo concetto possiamo citare un paper accademico realizzato da Brian Glenney e Steve Mull nel 2018, nel quale i due studiosi pongono un connotato molto preciso all’interno di tutto ciò che riguarda lo skateboard e le persone che lo praticano: la natura ecologista, spesso incendiaria e sovversiva. Pensiamo per esempio al motto “skate and destroy” lanciato al mondo dalla rivista di settore Thrasher che per decenni è stato il punto focale dell’intera cultura: in esso è racchiusa la volontà di riallacciare un contatto con il reale e una presa di posizione politica ben precisa rispetto allo status quo. Questa spinta ecologista e poco incline ai compromessi, per Glenney e Mull, indica una incompatibilità intrinseca dello skateboard con lo sport inteso come struttura di marchi, sponsor e competizioni. Ciò porta a incongruenze di diverso tipo quando si tenta di “sportificare” questo movimento, che sembra sempre fuori posto quando messo all’interno di sfere agonistiche e spesso viene poco compreso da chi si aspetta un approccio sportivo più canonico (vedasi i dubbi avanzati da più parti circa l’annessione di questa disciplina alle olimpiadi).
Come giustamente appuntato da Damiano D’Agostino in un suo articolo proprio su OlliOlli World, il gioco di Roll7 è capace di riportare sul piatto videoludico proprio tutti questi argomenti in un modo così naturale da passare inizialmente quasi inosservato. Se infatti il titolo ha una sua componente competitiva prominente – resa palese dalla evidente natura multiplayer con partite classificate e ranghi da scalare – essa viene controbilanciata da un senso di comunità e personalizzazione dell’esperienza totale. Il gioco è complesso da padroneggiare e porta chi gioca a volersi superare per poter migliorare, ma lo fa restituendo la sensazione di appartenere a qualcosa dove l’abilità è solo una cosa in più e mai un vanto. L’ecologia, poi, viene anch’essa comunicata in modo indiretto per veicolare messaggi che hanno un loro strascico nel reale: Radlandia, ovvero il mondo di gioco, è costellata di dettagli che non solo la connotano come un posto coloratissimo e abitato da ogni genere di stranezza ma anche e soprattutto per analogia e metafora con problemi del mondo in cui noi viviamo.
Le persone, le cose e gli animali che incontriamo in OlliOlli World ci parlano di necessità di connessioni e di comunità. Di creare ponti tra tutto quello che circonda in sintonia e non in opposizione competitiva. Dialoghi e situazioni puntano più volte a comunicare l’urgenza di rilassarsi e di rinunciare alla frenesia di essere in cima a qualcosa, di abbandonare l’agonismo attraverso esso stesso per arrivare a una maggiore risonanza con ciò che abbiamo davanti. Una delle caratteristiche intrinseche, più romantiche, date per scontate ma nella realtà quasi lasciate in secondo piano dello skateboard diventa quindi l’aggancio principale su cui costruire ogni singolo pixel e meccanica del gioco.
Evoluzioni estetiche, naturali progressioni
Altro aspetto, che si collega a quanto detto finora, è contenuto nell’impianto estetico (non solo visivo) di OlliOlli World. La scelta di passare dalla pixel art dei due capitoli precedenti al 2.5 D di questa nuova iterazione contiene dentro di sé moltissimi significati, molti dei quali strettamente connessi alla dichiarazione politica ed ecologista che sta alla base del gioco coniugata in modo metaforico e simbolico. La variazione tra ambienti incontaminati e industriali, tutti connotati con uno stile visivo che strizza l’occhio alla scuola cartoon di Pendleton Ward (Adventure Time, The Midnight Gospel), rende in modo piuttosto palese e inequivocabile ciò che Roll7 vuole far arrivare a chi gioca. Ne sono un esempio, tra tantissimi, il modo in cui gli animali interagiscono e si interfacciano con chi gioca.
L’estetica di OlliOlli World, rispetto al passato, non è poi un’inversione di marcia quanto piuttosto un’evoluzione dettata da principi da portare avanti. Se i primi due giochi trattavano maggiormente l’aspetto strettamente culturale e urbano dello skateboard, World si interessa maggiormente a portare quello stesso approccio in un contesto più esteso e a far fronte con il mondo. Una prosecuzione di quanto già raccontato che viene collocato in relazioni più larghe. Un filo che prosegue, anche attraverso la sempre costante colonna sonora elettronica dallo stile wonky beat che aggiunge ancor più sfumature di colore in un quadro già abbondantemente caratteristico.
In conclusione: Radlandia è il mondo dello skateboard che affronta se stesso per come è cambiato e cambierà. Un faccia a faccia ricco di analogie con il reale che ci riporta alla base di una cultura stratificata che ha forse perso contatto con sé, anche per via di tutta una serie di logiche che hanno slabbrato l’armonia di base. Non c’è tendenza che tenga, non c’è commercializzazione di marchi come Vans, Supreme e Thrasher (sigh, ndr.), non c’è spettacolarizzazione agonistica che ha spezzato il romanticismo (anche se Tony Hawk rimane un punto di svolta fondamentale, anche nel videogioco). OlliOlli World vuole riportare tutto alle persone, per le persone e con le persone in armonia con l’ambiente che le circonda.