Mondocane di Alessandro Celli è arrivato su Sky, e ci porta in una Taranto post apocalittica dove l’acciaieria ha divorato la città e in cui serpeggiano il degrado e la criminalità
ella favela nata all’ombra dell’acciaieria, i figli dell’abbandono sopravvivono senza legge. Dimenticati nella città simbolo di un paese segnato dal degrado ambientale“.
Una Taranto di un futuro prossimo, in un’ambientazione post apocalittica dove l’acciaieria si è letteralmente mangiata la città, con le bande che fanno il bello e il cattivo tempo: questo è il luogo ideale per la narrazione multistrato di Alessandro Celli, al primo lungometraggio da regista in un’opera che, neanche a dirlo, è prodotta ancora una volta dalla Groenlandia di Matteo Rovere & co.
C’è tanto, ma ben articolato in Mondocane, che si riferisce al soprannome protagonista, il piccolo Dennis Protopapa, uno dei tanti orfani di questa nuova e brutale realtà tarantina, dove molti cercano rifugio nel Formicaio, ovvero una potente e radicata banda che vede al comando Testacalda (Alessandro Borghi), che cresce e addestra le formiche, cioè i piccoli orfani che prende sotto la sua ala.
In un mondo del genere non è facile additare ed etichettare buoni e cattivi, e non lo fa nemmeno Celli, mostrandoci i due lati di Testacalda, quello amorevole che gioca coi bambini e si preoccupa per loro, della loro salute, delle loro preoccupazioni, dei loro problemi, ma al contempo non ci pensa troppo a farli fuori quando viene tradito.
Lavorare mettendo insieme una squadra di adulti e bambini non è per nulla semplice, ma Celli sa farlo, grazie a un background in cui spiccano Braccialetti rossi, Lola & Virginia, Jams: tutti prodotti per o con giovani e giovanissimi. E si vede, perché dà vita ad una alchimia palpabile sullo schermo, in cui le formiche procedono senza sosta. Quasi tutte, perlomeno, perché tra chi per la dedizione alla causa è persino disposto a gettarsi da una finestra dopo esser stato preso dalla polizia, e chi confessa e collabora, c’è chi invece è afflitto da mille titubanze, da cosa sia giusto e cosa sia sbagliato.
Valori come l’amicizia e la lealtà finiscono avviluppati e alterati da una realtà che li contamina e dove il confine tra buono e cattivo o giusto e sbagliato è sempre più labile, ma dove i sentimenti resistono al di là delle privazioni a cui questo nuovo mondo sembra costringere i suoi nuovi abitanti.
Oltre l’acciaieria: la Taranto Nuova
Oltre l’acciaieria, oltre il formicaio, oltre i Tamburi, oltre il cimitero e tutti i luoghi squisitamente proto-cyberpunk, emerge con forza la Taranto Nuova, quella dove i colori sabbiosi, le creste, i capelli biondo platino, i vestiti strappati, le armi, la criminalità e la fame lasciano il posto alle sfavillanti cromie di una borghesia rinnovata, fatta – come prima e più di prima – di classismo e di benessere, in cui gli orfani che non sono passati al lato oscuro vivono con un braccialetto al polso e devono sottostare a rigide regole, per poi un domani – forse – essere integrati nella società.
Oltre alla oculata fotografia di Giuseppe Maio, colpiscono in questo le attente scenografie di Fabrizio D’Arpino, che disegnano luoghi abbandonati come perfetti sigilli di un mondo post apocalittico.
Ma è davvero così lontano dal nostro? Di certo, dalla visione catastrofica del racconto di Mondocane, la nostra realtà appare anni luce distante, eppure è lo stesso regista (nonché autore del soggetto e dello script) a dichiarare che nella storia ha inevitabilmente influito la quasi quotidiana narrazione dei problemi ambientali con cui sono costretti a convivere i tarantini.
“È un racconto di fantasia, ma si ispira alla realtà, a quella delle industrie di Taranto e dei suoi abitanti. La regressione è frutto di un fallimento sociale”, dichiarò Alessandro Celli durante la conferenza stampa di Venezia 78, quando venne presentato il film.
Ma è ovvio che al netto della scelta di utilizzare Taranto come base per il racconto, il tema ambientale coinvolge tutta l’Italia, l’Europa, il Mondo ed è probabilmente anche a questo che ammicca il titolo Mondocane, dispregiativo che raffigura una realtà ormai profondamente diversa da quella che abitavamo e conoscevamo anni fa, e a cui ci stiamo tristemente abituando come sembrano fare i ragazzi del film di Celli, per cui un piatto di pasta e dei panzerotti in riva al mare nella Taranto Nuova rappresentano una piccola parentesi prima di tornare alle rinunce e alle sofferenze della quotidianità.