Dario Argento torna dopo dieci anni al cinema con Occhiali neri. Il film, però, è totalmente scollegato dalla realtà cinematografica di oggi. E forse il regista non lo sa
el 2018 esce nelle sale cinematografiche il Suspiria di Luca Guadagnino, prima di finire sulla piattaforma di Amazon Prime che lo ha prodotto. Un’ispirazione, non un omaggio. Streghe e danza che rimangono alla base del racconto preso dal classico di Dario Argento, tra le pellicole preferite del regista di Chiamami col tuo nome, ma che vengono completamente trasformate sia nel contenuto, che nella fabbricazione. L’opera di Guadagnino pone una considerevole distanza dal suo punto originario, dichiarando fin da subito che quello che vuole fare è prendere l’anima maligna ed elegante del maestro dell’orrore e riproporla sotto una versione che fosse totalmente unica e individuale.
Quello del 2018 è perciò un film che avrebbe potuto avere qualsiasi altro nome, ma apporgli quello di Suspiria contribuisce a risaltarne le influenze che lo condizionano e che veicolano un chiaro intento artistico al proprio interno. Ma è al contempo anche una pellicola personalissima appartenente a un corpus coerente e magnetico composto dal suo autore, che tra la borghesia della trilogia del desiderio e le turbe degli amori giovanili sia al cinema che in televisione ha inserito anche la politica di ballerine-streghe che, all’occorrenza, si tramutano in fate.
Il Suspiria di Luca Guadagnino, presentato in anteprima mondiale in occasione della 75esima edizione della Mostra di Venezia, venne accusato di snaturare un’opera come quella argentiniana del 1977 che traeva la propria fonte di realizzazione dalla narrazione dal romanzo Suspiria De Profundis di Thomas de Quincey. Il film venne amato e odiato, fischiato durante le prime proiezioni dedicategli al Lido, ma nel corso del tempo è stato destinato a un bacino di accoglienza man mano sempre più caloroso che ha attribuito all’opera lo status di gioiello cult della sua generazione.
Suspiria: tra il 1977 e gli anni Duemila
Guadagnino infatti sia nel voler intenzionalmente dedicarsi ad un film che trae spunto da una delle sue passioni più grandi, sia nell’essere un artista estremamente classico pur inserito in profondità nel panorama di cui fa parte, riesce ad introdursi in un filone di operazioni orrorifiche che ricalcano gli stilemi del cinema horror contemporaneo.
Quello capitanato da Ari Aster e Robert Eggers, a cui si è aggiunto David Lowery con il suo The Green Knight, un insieme di titoli e personalità che abbracciano l’autorialità del proprio tempo e la riversano nei propri lavori, chi restando più nella nicchia con i suoi piccoli film, chi esplodendo andando dal cinema indipendente a quello da grande incasso come Jordan Peele.
Quello che molti detrattori del Suspiria di Luca Guadagnino non compresero – e forse continuano a non farlo – è che ogni opera ha il proprio spazio e il proprio tempo, e a meno che non si tratti di un capolavoro che per tematiche e contenuto travalica i decenni (vedasi il West Side Story di Steven Spielberg) allora è bene rimaneggiarla e saperla rendere attinente alla sua realtà.
Se il Suspiria degli anni Settanta di Dario Argento era perfetto per il finire di quell’epoca, quello di Guadagnino è l’opzione adatta a mostrare uno scorcio su come viene rappresentato il cinema horror dell’oggi e i metodi con cui viene portato in sala – al di là, ahimè, del risultato al botteghino. Cosa che fu oscura anche al maestro stesso, che pur lodando la grazia del collega ne stroncò il risultato finale, “meno feroce” del suo Suspiria e secondo la sua visione privo di quello spavento che invece lui aveva saputo dargli.
Ma che gli anni sono passati e che i film dell’orrore possono esprimere l’inquietudine in maniera anche diversa, nonché ben più sottaciuta, Dario Argento non sembra essersene accorto. Come non si è accorto che il modo in cui era abituato a girare i film, adesso, non esiste più.
Occhiali neri e il ritorno dopo dieci anni di Dario Argento
È con Occhiali neri che il maestro del brivido torna dietro alla macchina da presa per dare forma a un thriller/crime che mescola alle tinte del giallo la truculenta gestualità dei serial killer dell’orrore. Ed è esattamente con la pellicola presentata fuori concorso a Berlino che l’autore dimostra quanto ormai il suo cinema sia staccato dalla modernità e fatichi a farne parte.
Gli ultimi lavori trascorsi di Argento non avevano certo giovato ad una carriera che, ripresa soprattutto grazie alla rivalutazione dei B movie da parte di Quentin Tarantino, aveva riservato delle perle rare nella sua filmografia nel cuore degli anni Sessanta e Settanta, spingendosi fino ad alcune opere imprescindibili del decennio Ottanta e iniziando dal Duemila un tracollo che lo ha portato ad interrompersi nel 2012. Almeno fino ad ora.
Con Occhiali neri Dario Argento tenta di riaffermare la propria autorialità utilizzando gli stilemi usati al tempo, che mostrano quanto non siano assolutamente in sincrono con gli anni che sono avanzati e in cui un determinato tipo di cinema fatica ormai ad esistere. E non è certo colpa del pubblico o delle riforme artistiche interne del panorama cinematografico. È un passaggio che, come per qualsiasi altra cosa, trasforma ciò che c’era di conosciuto, dettando nuovi dogmi e inedite formule che cercano di creare opere da poter inserire nel proprio tempo. E, ciò, avviene anche nel cinema.
La pellicola con protagonista Ilenia Pastorelli, a cui Dario Argento ha lavorato anche alla sceneggiatura, dimostra una finzionalità talmente pronunciata da non poter passare per voluta o intenzionale, ma che dà allo spettatore proprio la sensazione di un’amatorialità per una mano che non è abituata all’industria dello spettacolo di oggi e, per questo, ne risulta distante e in contraddizione. Le espressività sottolineate, l’indugiare su determinati momenti o il marcare certe frasi degli attori sono soluzioni artistiche che colpivano per l’enfasi posta dal cinema anni Settanta e che riproposte da Argento con serietà sembrano soltanto destinate a rendere incredibilmente finta l’atmosfera del film.
La conseguenza è quella del distaccare così lo spettatore e renderlo insofferente a qualsiasi smascheramento di un’arte che può essere ancora fortemente artigianale, ma che deve comunque risultare altresì credibile affinché l’illusione possa funzionare.
Dove rimangono gli autori?
Il problema di Dario Argento con Occhiali neri è proprio l’applicare determinate soluzioni che, se nei ’60 e ’70 erano non solo la prassi, ma manifestazioni della sua stessa creatività messe in atto con l’aiuto di altrettante lodevoli maestranze, nella contemporaneità sembrano soltanto la riproposta di un cinema che non si fa più in Italia, in quanto non più possibile da realizzare. Non attendibile pur nelle sue versioni finzionali e di uno stampo talmente vecchio che invece di continuare a riportare le glorie del passato finisce per ridicolizzarsi.
L’omaggio è omaggio quando il cinema sa benissimo cosa vuole e può fare, guardando indietro per riportare stili ormai andati sotto una lente da poter applicare al presente. Occhiali neri, dal proprio canto, crede ancora fedelmente – e diremmo, ciecamente – a un cinema che appartiene sicuramente al suo autore, ma non al pubblico e al panorama contemporaneo.
Se le grandi firme restano tali per sempre, se il loro operato non viene screditato anche dopo svariati insuccessi, è perché tendiamo a volerli proteggere da loro stessi ricordandone i capolavori che ci hanno regalato, invece che le brutture che li hanno visti inciampare. Ed è impossibile non notare come tantissimi maestri del cinema mondiale hanno subìto la stessa battuta di arresto di Dario Argento, soprattutto quando l’autorialità si fa riflesso del periodo in cui le pellicole vengono prodotte e distribuite.
C’è chi come Steven Spielberg e Martin Scorsese, entrambi re di universi trasversali, ha saputo surfare sulle onde del tempo e cavalcarne ognuna abbinandole di volta in ogni volta la propria visione. E ci sono poi quegli autori, quel manipolo in particolare degli anni della rivoluzione cinematografica, che alla loro epoca dei lustri sono rimasti saldamente attaccati. Così Brian De Palma ci riprova con Domino e Dario Argento con Occhiali neri. A noi non resta che perdonarli, ricordandoli per quello che ci hanno dato.