John Coffey. Come la bevanda, ma scritto in modo diverso
ra il 1999, e nelle sale cinematografiche usciva Il Miglio Verde, la pellicola di Frank Darabont basata sul romanzo omonimo di Stephen King. È ambientato nel carcere di Cold Mountain, precisamente nel braccio della morte chiamato miglio verde. Questo perché il pavimento su cui sono disposte le diverse celle che ospitano i condannati è verde. Un colore che dovrebbe indicare la speranza in un luogo in cui, in realtà, questa non è mai entrata.
Il protagonista è Paul Edgecome, interpretato da Tom Hanks, un uomo estremamente buono che fa la guardia carceraria nel miglio verde insieme ad altri colleghi. La loro routine consiste nel controllare i carcerati – che, in realtà, sono incredibilmente rispettosi – e moderare Percy (Doug Hutchison), un giovane presuntuoso e malvagio che, ahimè, è l’ultima guardia arrivata, e deve essere anche trattato con i guanti. È a tutti gli effetti un raccomandato, perciò si sente tanto forte nella sua posizione da permettersi comportamenti disumani con i detenuti.
C’è un brutale stupro e omicidio di due bambine, sorelle. Sul luogo del delitto viene trovato un uomo, quindi condannato e portato nel miglio. È gigantesco, afroamericano, con vestiti malmessi e senza scarpe. Quando entra nel braccio, tutti rimangono colpiti dalla sua imponenza. È così che il miglio verde conosce un “miracolo vivente”, John Coffey – interpretato dal compianto Michael Clarke Duncan.
Paul tende a mantenere sempre un certo distacco dai condannati, nonostante sia dotato di forte empatia, ma John Coffey è diverso. È come se fosse un bambino nel corpo di un colosso, dolce e tranquillo. Ha un solo bisogno: avere una luce accesa quando va a dormire. Nel miglio viene spontaneo pensare che sia un ritardato: ma ciò non giustifica il male che ha fatto a quelle bambine.
Solo che John non ha commesso alcun delitto. È solo stato trovato vicino ai loro piccoli corpi, e piangeva disperato. “Non ho potuto fare nulla”, diceva. Nessuno si prende l’incarico di analizzare quelle parole, i fatti parlano da soli. E invece sono fondamentali. Durante il film ci sono diversi episodi che coinvolgono John come guaritore: fa passare a Paul una tremenda infezione alle vie urinarie, fa riprendere vita al topolino di un detenuto, cura dal cancro la moglie del direttore del braccio della morte. Il Male è rappresentato come uno sciame d’insetti che John, tramite un contatto fisico, riesce a tirar fuori dalle persone. Si prende carico del Male e lo espelle, liberando gli altri. E lui avrebbe voluto aiutare le bambine, ma era troppo tardi.
Quelli di John sono dei veri e propri miracoli. O meglio, noi li intendiamo così perché abituati a pensare che, tanto tempo fa, ci fu un uomo che faceva camminare gli storpi, sentire i sordi e vedere i ciechi. Guarda caso, le sue iniziali coincidono col personaggio de Il Miglio Verde: Jesus Christ, John Coffey. Ma le corrispondenze tra le due figure non si fermano a queste azioni soprannaturali.
John, prima di tutto, è una persona di grande bontà. E quel suo modo di fare infantile lo rende ancora più tenero. È innocente, non solo per quanto riguarda la fedina penale: lui non conosce il Male. Detto in modo cristiano, non ha peccato. Ma ciò non significa che non lo senta intorno a sé. Lo sa riconoscere, e vuole rimediare alle malvagità. Che sia Percy a uccidere un topo o che sia un male incurabile a colpire una donna, John si immola per il Bene.
Spesso piange, quando sente il Male riempire l’aria. Non riesce a sopportarlo, lo fa soffrire. Quando il proprietario del topolino, Delacroix – Michael Jeter, è sulla sedia elettrica, e non è stata bagnata – volontariamente – da Percy la spugna che ha sulla testa, John sente di morire con lui. Ogni volta che lui viene a contatto con il dolore diventa stanco, come se la sofferenza altrui la sentisse dentro la propria carne. Sa anche ciò che è successo davvero alle bambine, e quasi costringe Paul a vederlo: Wild Bill, l’ultimo detenuto arrivato nel miglio, interpretato da Sam Rockwell, gli ha toccato il braccio, e lui ha visto dentro il suo cuore. A Paul dice che “le ha uccise con il loro amore”.
Dopo aver visto quello che John Coffey può fare, tutte le guardie del miglio si affezionano a lui. Vogliono difenderlo, risparmiargli la sedia elettrica. È un dono di Dio, non possono permettere che venga ucciso per qualcosa che non ha fatto. Ma John ha qualcosa da dire.
“Io voglio farla finita, una volta per tutte. Davvero. Sono stanco, capo. Stanco di andare sempre in giro solo come un passero nella pioggia. Stanco di non poter mai avere un amico con me che mi dica dove andiamo, da dove veniamo e perché. Sono stanco soprattutto del male che gli uomini fanno a tutti gli altri uomini.”
Quel miracolo vivente non può più sopportare il fardello di essere un miracolo vivente. Nonostante le sue capacità divine, è un umano come tutti. Enorme e possente, ma pur sempre umano. Quelle spalle immense non ce la fanno più, e decide di andare incontro alla sua morte. Anche se innocente, anche se tutti, nella sala della sedia elettrica, lo ritengono colpevole, lui accoglie la fine della sua vita canticchiando Cheek to Cheek. Come se il suo fosse stato un sacrificio fatto per l’umanità, per far finire tutto quel Male.
La storia di John Coffey ricorda molto quella di George Stinney, la persona più giovane a essere giustiziata sulla sedia elettrica. Accusato di aver stuprato e ucciso due bambine, afroamericano, con un processo ridicolo e con una giuria di soli bianchi, una condanna immediata ha posto fine alla sua vita a soli quattordici anni. Il processo è stato riesaminato settant’anni dopo, e George è stato dichiarato innocente.
Si dice che Stephen King abbia preso ispirazione da questa vicenda per Il Miglio Verde. Non è confermato, ma se così fosse il piccolo George è diventato grande, gigantesco, e ha salvato gli uomini dal Male con la sua purezza.