FAR: Changing Tides ci racconta di un rapporto con la tecnica oramai perduto
Quella che viviamo è a tutti gli effetti l’Era delle Cose. Gli oggetti oggi dominano gli spazi fisici e mentali che ci circondando, finendo per sostituire la natura. Pensate a dove viviamo: piccoli respiri di verde sono di solito soffocati tra le grinfie del cemento e dell’acciaio, e il loro rantolo sa di Lucky Strike e benzina. Nel corso della Storia, gli oggetti sono stati ciò che ci ha permesso, tramite la tecnica, di evolverci e migliorare: il fuoco, o quantomeno la tecnica necessaria per accenderlo, è solo uno degli esempi possibili di questa strana simbiosi. Quel tipo di rapporto, oggi, oramai è perduto: la maggior parte degli oggetti non ci servono più per la loro funzione, ma per ciò che simboleggiano. Ognuno di noi vede qualcosa dentro queste cianfrusaglie che ci circondano, ma non le capisce quasi mai: tutto è talmente specializzato e ottimizzato che molta della tecnica che ci circonda (nella forma di oggetto) altro non è che magia, ai nostri occhi. Ci siamo inondati di oggetti privi di vera funzione, e abbiamo voluto farlo sempre di più: dimenticandoci il loro scopo, abbiamo pensato solo a ciò che simboleggiano. FAR: Changing Tides ci parla del mondo che rimane dopo che gli oggetti, divenuti troppi e troppo invadenti, hanno distrutto il pianeta. In breve, ci parla della Terra, e di coloro che quegli oggetti li hanno creati, tanti piccoli Icaro convinti di toccare il Sole, e finiti invece inghiottiti dalle onde.
Non aspettatevi però le prolisse storie di morte e dolore che caratterizzano i racconti post-apocapolittici. Non vi è alcun intento moralizzatore in FAR: Changing Tides, ma solo la presa di coscienza, forse per qualcuno dolorosa, che dopo di noi ci sarà dell’altro a sostituirci. Forse qualcosa di nuovo, forse degli esseri vecchi quanto il mondo, e in semplice attesa che questo prurito velenoso se ne vada. Al contrario di tanti racconti simili, FAR non afferma però che il problema sia l’umanità, anzi: in ciò che ci mostra, e in quel che emerge dalle sue meccaniche, si può scorgere ben altro. La sua storia non si situa agli estremi dicotomici rappresentati dal rifiuto totale e assoluto della tecnica, o dell’esaltazione massima della stessa in quanto trionfo dell’umanità sulla natura. FAR: Changing Tides ci racconta invece della loro capacità di coesistere, fin quando la tecnica è messa al servizio della creazione di strumenti che ci permettono di vivere con e nella natura, senza invaderne il dominio, rischiando di danneggiarla.
In effetti, le meccaniche disponibili nel gioco sono lo specchio del limite che l’umano deve affrontare per poter vivere, e sopravvivere, in un mondo come quello descritto da FAR. Gli oggetti che ci circondano sono tutti estremamente funzionali: vele, motori, energia, strumenti meccanici e di manutenzione. Ed è metaforicamente molto efficace il fatto che ogni tipo di elemento superfluo che incontriamo finisca nell’inceneritore, come puro carburante della macchina, vera e propria cooprotagonista dell’intera esperienza. In un mondo funzionale, l’unico possibile dopo l’apocalisse dell’Era delle Cose, quegli oggetti un tempo così simbolici si trasformano nell’unico significato che possono davvero rappresentare: spazzatura. Troviamo decine di “decorazioni”, che possiamo temporaneamente usare per “abbellire” la nostra macchina, ma che nel tempo preferiremo donare al Sacro Fuoco della tecnica, per poterci muovere con maggiore velocità e serenità.
A proposito di serenità: in quello che a prima vista può sembrare un survival, ci troviamo invece a costruire un rapporto continuato con la macchina, che grazie alla lenta e costante ripetizione diventa via via sempre più semplice e chiaro, esattamente come accade nel rapporto dell’umanità con uno strumento reale. Attiva le fiamme; accendi il motore; aumenta i giri; spiega le vele; monitora il radar: il perfezionamento conduce alla monotonia, ma non quella alienante della fabbrica, che distacca il pensiero e l’emozione dal prodotto che crea, ma quella delicata e umana che lega noi e il mondo, cultura e natura. FAR può essere letto come survival solo da una prospettiva che pretende il nostro dominio su ciò che ci circonda, ma in realtà racconta di una viaggio vissuto nella consapevolezza di essere solo una parte del tutto. A corroborare questa lettura sono le decine di momenti in cui i contorni narrativi impongono la presenza di altre vite, altre esistenze, che nuotano e corrono intorno a noi, senza degnarci di uno sguardo: siamo noi le rovine di questo nuovo mondo.
Questi contorni narrativi rimangono “solo” questo: aggiunta descrittiva per dare un contesto più corposo a quel che le meccaniche ci permettono di mettere in scena. Esattamente come con FAR: Lone Sails, il capitolo precedente di questa peculiare saga, ogni altra lettura ha il sapore della pretenziosità: decisamente poco chiara la “narrativa emergente” esposta nel corso del gioco, che si affida a qualche statua e un paio di mosaici per suggerire chissà quale retroscena più complesso, ma che risulta talmente labile da essere mero rumore di fondo al rapporto tripartitico che si instaura tra macchina, soggetto e natura.
Dato che la ripetizione è l’essenza stessa dell’esperienza, è impossibile tracciare alcun parallelo anche con quel genere che, a prima vista, potrebbe essere associato a FAR: Changing Tides, il limbolike. Le due filosofie si basano su approcci essenzialmente opposti: il genere, oggi identificato con la tradizione Playdead ma in realtà già diffusosi e poi dimenticato con il cinematic 2D, si basa su principi squisitamente narratologici. L’esperienza è spesso divisa in atti, con meccaniche sempre nuove per rispecchiare il mutare degli eventi, le situazioni diverse nelle quali il protagonista si trova: un flusso costante ed emozionante, che tende a piegare le meccaniche alle urgenze del racconto. Per FAR: Changing Tides, il team Okomotive fa l’esatto opposto: ha elaborato una cadenza perfetta tra evento e quotidianità, viaggio e ristoro, non in funzione del progredire degli eventi ma per permettere sempre maggiore rapporto tra macchina e soggetto.
Con FAR: Changing Tides, Okomotive riesce dunque a plasmare un’esperienza che si adegua a tutte le indicazioni formali imposte dalla norma, costruendo un percorso che narrativamente e meccanicamente permette la nascita di un discorso efficace tra tutte le parti di cui è composto. Al contempo, questo discorso si dimostra indipendente non in quanto a budget o retorica pubblicitaria, ma in virtù del suo distanziarsi sia da banali volontà moralizzatrici (diverse da quelle più marcatamente politiche), sia da cupe visioni nichilistiche della decadenza umana, che di solito implicano una visione antropocentrica della realtà.