Analisi e discussione su Snowpiercer, la serie Netflix post-apocalittica tratta dall’omonimo fumetto francese
Prima cambiò il clima, e con esso il mondo intero. In futuro non troppo lontano, per combattere l’incombente minaccia del riscaldamento globale, l’umanità lancia dei missili nell’atmosfera con la speranza di raffreddare il pianeta. Il risultato non è stato quello sperato: l’operazione ha completamente ghiacciato il pianeta e fatto estinguere la quasi totalità delle specie viventi. I pochi sopravvissuti della Terra si sono tutti imbarcati sullo Snowpiercer, treno a moto perpetuo progettato dal visionario Joseph Wilford. A bordo del treno si trova tutto quello che è necessario per sopravvivere e anche più: carrozze dedicate all’agricoltura, l’allevamento, l’artigianato. Ma anche parchi giochi, ristoranti di lusso e night club. Tutto quello che rimane della civiltà occidentale è stato concentrato all’interno di un microcosmo da 1001 vagoni.
Non tutti però vivono l’apocalisse immersi nel benessere. La prima e la seconda classe sono riservate alle persone più ricche del mondo, che hanno finanziato il progetto e acquistato un biglietto per il treno per centinaia di milioni di dollari. La terza classe è invece dedicata alla classe operaia, che “ripaga” il suo posto a bordo giorno dopo giorno fornendo forza lavoro al treno: metalmeccanici, operai, calzolai, poliziotti. Questo era l’ecosistema progettato da Wilford: un mondo diviso in classi precise e dove ognuno ha un suo ruolo, che sia questo quello di lavorare costantemente o di godersi i benefici della propria ricchezza.
Quello che nessuno aveva previsto è stato l’arrivo di una quarta classe di clandestini, che il giorno della partenza hanno assaltato lo Snowpiercer e occupato il fondo del treno pur di sopravvivere all’apocalisse climatica. I fondisti (così vengono chiamati quelli appartenenti alla coda) vivono in condizioni pessime. Ammassati, al buio, senza servizi igienici e nutriti solamente con acqua razionata e barrette energetiche. Sono una classe disprezzata dagli altri passeggeri e maltrattata dal “governo” dispotico che guida il treno, visto che portano caos nel perfetto sistema progettato dal suo capomacchinista.
È questa la realtà politica e sociale in cui ci tuffiamo all’inizio di Snowpiercer, serie televisiva in Italia distribuita da Netflix. Tratta dall’omonimo fumetto francese, si tratta in realtà della seconda trasposizione live action dell’opera. La prima fu firmata per il grande schermo nel 2013 dal regista coreano Bong Joon-ho, che qui figura come produttore esecutivo insieme anche al collega compatriota Park Chan-wook. Si è appena conclusa la terza stagione, ma una quarta è già stata annunciata per l’anno prossimo.
Nella sua prima stagione, la serie segue le storie di vari passeggeri del treno e della loro posizione all’interno dell’inevitabile rivoluzione che partirà dal fondo per arrivare fino in testa. Il tema della storia non potrebbe essere più chiaro di così: Snowpiercer parla di coscienza e lotta di classe. Il treno rappresenta una piramide orizzontale, dove i più ricchi non vivono sopra agli altri ma avanti, sia nello spazio che nel tempo, essendo i primi a raggiungere le varie destinazioni in giro per il mondo. Mentre in testa non hanno mai smesso di vivere nel privilegio, tra un massaggio alla spa e un taglio di capelli, in fondo si lotta per sopravvivere ogni giorno. La rivoluzione, quando accade, è una battaglia orizzontale che procede in linea retta e si riprende i propri spazi.
A cercare di mantenere lo status quo è l’ospitalità, ovvero le hostess e i dipendenti che lavorano per Wilford. Pur trovandoci alla fine del mondo, quest’ultimi trattano il treno ancora come se fosse un’azienda. Si svegliano ogni mattina per indossare la divisa, soddisfare i bisogni dei passeggeri benestanti e far rispettare le rigide leggi aziendali. Lo Snowpiercer non viene quindi governato come se fosse l’ultima nazione del mondo, bensì l’unica azienda rimanente che ha assunto il ruolo di capo dell’umanità. Questo è reso possibile dal grande mito della persona che ruota intorno al personaggio di Joseph Wilford, introdotto nella seconda stagione della serie.
La cultura popolare ha sempre amato raccontarci le narrative con protagonisti grandi geni multimiliardari, imprenditori visionari che conosco la strada per il successo. Dalla formica di Esopo all’idolatria nei confronti di Steve Jobs ed Elon Musk: siamo abituati a sentirci comunicare che queste figure hanno successo perché individualmente hanno lavorato e progettato un’idea di futuro che nessun altro ha concepito.
Snowpiercer cerca di mostrarci un nuovo tipo di narrazione, dove queste figure altro non sono che tiranni narcisistici ed egocentrici. Nella seconda stagione vengono infatti messi in scena i tentativi di Wilford di manipolare “la massa”. I suoi sudditi vivono la sua figura come se fosse una religione, un Dio che gli ha salvati dal gelo grazie alla sua benevolenza. La realtà dei fatti è che il treno, essendo un ecosistema chiuso, è anche adattabile a vero proprio regno dove solo Wilford può essere re. Ecco il perché della sua società classista, così accuratamente progettata. Ed ecco il perché della sua rabbia, quando quest’ultima viene brutalmente disfatta dai rivoluzionari del fondo.
La prima e seconda stagione di Snowpiercer sono pregni di significati e di spunti di riflessione sulla nostra società. Tratta esplicitamente temi che giorno dopo giorno diventano sempre più fondati sulla realtà, visto che è stato dimostrato che durante la pandemia (e quindi una crisi globale non troppo dissimile dal gelo della serie), i più ricchi del mondo sono diventati ancora più ricchi. Peccato che l’allegoria sociale si vada a perdere nella terza stagione della serie, andata in onda negli ultimi mesi (attenzione, per non ricevere spoiler non proseguire con la lettura).
Il commento allegorico lascia spazio a una narrativa più incentrata sull’avventura, ma che finisce ben presto i suoi pochi contenuti convincenti. La lotta di classe viene adombrata dal tema del Nuovo Eden, ovvero la speranza che fuori dal treno esista nuovamente un mondo abitabile. Il protagonista, Andre Layton, già figura centrale nella rivoluzione della prima stagione e della lotta di potere nella seconda, mente al suo popolo riguardo all’esistenza di terra fertile all’esterno. È una bugia a fine di bene, perché pensa davvero di trovare un futuro per la propria gente oltre al gelo, ma è anche e soprattutto una manipolazione mentale e politica. Questo è un tema che è tornato più volte nel corso della serie. Pensiamo al grande segreto che custodiva la seconda protagonista dello show, Melanie Cavill, che nascondeva la mancanza di Wilford sul treno ai passeggeri della prima stagione. Si tratta di un inganno ottenuto tramite la retorica e la propaganda: strumenti che tutti i leader dello Snowpiercer, in un modo o nell’altro, hanno dovuto imparare a utilizzare. Che sia questo per riuscire a convincere i propri compagni a fare la rivoluzione o creare un culto basato sulla figura del grande imprenditore.
Il problema di questa terza stagione è che il tema (sicuramente interessante ma già visto come abbiamo detto) si esaurisce in fretta. La serie inizia a mostrare il fianco a ripetizioni, allungamenti e in generale a una vera e propria mancanza di direzione. Dal punto di vista formale Snowpiercer non è mai stata di altissimo livello; si tratta di un prodotto che trova il suo valore maggiore sui propri personaggi, sulle loro scelte e i commenti politici che ne derivano. Come spesso accade in contesti produttivi del genere, quando una serie va bene si cerca di trovare i motivi più stupidi per poterne proseguire la narrazione, finendo per annacquare il contenuto originale con deviazioni che non vanno da nessuna parte. Questo si vede anche con le dinamiche tra i vari personaggi, che continuano a cambiare senza un apparante motivo dietro: personaggi che tradiscono la causa in una stagione sono amanti in un’altra; o ancora figure presentate come antagonistiche diventano alleati e viceversa. Più nello specifico il personaggio di Asha sembra essere un’aggiunta più che superflua, vista la sua rapida introduzione a inizio stagione, e la sua altrettanto sbrigativa dipartita poco prima del finale. Lo spostamento di dinamiche avviene anche nei ruoli di potere, ma dopo aver assistito alla stessa scelta narrativa già parecchie volte, la cosa perde tutto il suo effetto drammatico e diventa un riciclo infinito delle stesse situazioni.
Una delle peggiori puntate della stagione si intitola “Uroboro”. È un episodio onirico dove il protagonista si immagina la vita sullo Snowpiercer nel futuro, e nota come certe dinamiche continuino a ritornare a bordo del treno. L’uroboro è il simbolo del serpente che si morde la coda, rappresentante della ciclicità della vita. La serie sembra infatti essere bloccata in questo stato, dove ciclicamente vengono riproposte allo spettatore sempre le stesse situazioni, ma con facce diverse. E quindi le rivoluzioni dello Snowpiercer non sono quelle che compie una volta all’anno facendo il giro completo del globo. Sono anche i numerosi colpi di stato che accadono senza che ci sia una costruzione drammatica dietro; senza la stessa potenza emotiva che contraddistingueva l’intelligente prima stagione. Adesso, visti gli avvenimenti dell’ultima puntata, le carte in tavola potrebbero cambiare. Lo status quo è stato spezzato e il rischio di ripetersi dovrebbe essere, almeno sulla carta, scongiurato. L’augurio è che la quarta stagione riesca a ritrovare la giusta rotta, per non deragliare clamorosamente tra il brusio generale del resto delle produzioni televisive.