Jesse Plemons si sta pian piano prendendo la scena, meritatamente
l potere del cane è stato un successo incredibile, sia di pubblico che di critica, sancendo la prima candidatura agli Oscar per Jesse Plemons e anche per la compagna Kirsten Dunst.
Le cose poi non sono andate come in molti si aspettavamo, ma resta un traguardo importante per entrambi, e soprattutto per lui è il degno coronamento di un percorso iniziato ad Hollywood molti anni fa, a dispetto della giovane età.
Jesse Plemons si è reso noto al grande pubblico per il suo ruolo nella serie di successo Breaking Bad, che gli valse anche un particolare soprannome: Meth Damon; frutto di mix dato da una certa somiglianza con l’attore del Massachusetts e dalla “sostanza” protagonista dello show.
Volto squadrato e mascellone, pelle chiara e lentigginosa, l’espressione da “buono”, ma un viso dalle innumerevoli sfumature che si presta ad ogni tipo di ruolo: non sorprende allora che un attore classe 1988 abbia già lavorato con Martin Scorsese, Paul Thomas Anderson, e ben due volte con Steven Spielberg.
A soli dieci anni Jesse Plemons già era presente sul grande schermo, ottenendo un ruolo nel film Finding North di Tanya Wexler ed era chiaro che il cinema e la televisione avrebbero fatto parte in maniera preponderante della sua vita. Nel 2002, a 14 anni, ha già preso parte a quattro film, seppur con piccole parti, ma arriva il primo ruolo mediamente importante in Children on Their Birthdays di Mark Medoff. Parallelamente – come detto – appare sul piccolo schermo in serie importati con Walker Texas Ranger, Sabrina: vita da strega e CSI.
Nel 2012 è stato accreditato già in 14 film per il cinema, ed arriva finalmente la grande chiamata: Paul Thomas Anderson, per il film The Master.
Non un ruolo nevralgico, chiaramente, ma la possibilità di lavorare per uno dei migliori registi in attività e in uno dei migliori film del nuovo secolo, a fianco di icone come Joaquin Phoenix, Amy Adams, Laura Dern e il compianto Philip Seymour Hoffman con cui peraltro, secondo molti, ha una grandissima somiglianza, e non per niente in The Master interpreta proprio suo figlio, Val Dodd.
Sempre in quell’anno lo vediamo in Breaking Bad – come detto in precedenza – nel ruolo dell’enigmatico e folle Todd Alquist. Un personaggio difficile da interpretare, per via delle tante sfumature di un carattere imprevedibile e pacatamente fuori controllo, in cui Plemons si dimostra impeccabile, ancora una volta.
Non gli basta tuttavia a fare il salto immediato che si augurava, ma per cui evidentemente finisce sotto l’occhio clinico di molti registi, e mentre prosegue nella sua frenetica attività di recitazione, comparendo almeno in un film l’anno e figurando al contempo in diversi episodi di serie televisive, arriva la prima chiamata del maestro Spielberg.
Il ponte delle spie è un film corale, che certo non aiuta per far risaltare le sue doti attoriali, ma di certo “fa curriculum” come pochi altri. L’impressione è quella che i registi che si trovano a lavorare con lui, si fidino ciecamente del giovanotto di Dallas, e non è un caso ad esempio che nel 2017 Scott Cooper lo voglia nuovamente nel suo team, in Hostiles, dopo Black Mass. Non si tratta di un’istituzione come Spielberg o PT Anderson, ma Cooper è un cineasta abile ed apprezzatissimo, e partecipare ad un ottimo film come Hostiles è un premio di cui Plemons dovrebbe andare fiero, come anche delle sue parole: “Johnny Depp non riusciva a credere a quanto fosse bravo“, sostiene infatti Cooper, aggiungendo che “ Depp sentiva che stare con Jesse aiutava a migliorare la sua performance”.
A proposito di seconde volte, sempre nel 2017 Spielberg lo richiama a sé perché ha bisogno dei suoi servigi in The Post, ennesimo masterpiece del regista candidato agli Oscar. Il “problema” è ancora una volta che, in un film del genere, nel cast ci siano attori del calibro di Tom Hanks, Meryl Streep o l’amico Bob Odenkirk, quindi ottenere un ruolo di spicco non è un’opzione percorribile.
La sensazione, o meglio il pericolo, è che Plemons venga visto un po’ come una sorta di grande caratterista, un comprimario di cui fidarsi ciecamente ma a cui diviene complicato affidare un personaggio di primo piano.
Ma Jesse non si arrende, e capisce che ha bisogno ancora di tempo, in fondo l’età è dalla sua parte.
Nel frattempo lavora costantemente senza mollare mai la presa, e viene ingaggiato da Adam Mckay, restando ancora un po’ nell’ombra ma risultando vitale nella narrazione. In Vice, il film che racconta la vita del politico Dick Cheney, Jesse Plemons è infatti Kurt, il narratore, che lo stesso McKay descrive come il vero “centro emotivo” del film. Egli è infatti la persona che nel 2021 ha donato il cuore al vice presidente, anche se la faccenda è ben più complicata di così.
Anche McKay, come altri registi prima di lui, rimane colpito favorevolmente da Plemons: “È come un cigno sul lago, che scivola con grazia e senza sforzo, mentre in realtà sta lavorando molto duramente” afferma il cineasta. “Ci mette così tanto lavoro per dar vita a queste interpretazioni semplici, credibili e così umane”.
Vice è una sorta di primo passo di Plemons verso l’apice dello star system. L’anno successivo, nel 2018, arriva infatti anche la chiamata di Martin Scorsese per un altro capolavoro, The Irishman (che come Gangs of New York ottiene dieci nomination senza Oscar, ma questa è un’altra storia).
Nel frattempo un ruolo da protagonista in realtà Plemons l’ha avuto, sebbene si tratti di un episodio della serie antologica Black Mirror, ma vederlo interpretare il bislacco personaggio di Robert Daly nella puntata USS Callister ci dà le ennesime conferme sul talento dell’attore. Il gaming portato all’estremo in un complesso metaverso è l’habitat perfetto per far emergere le sfumature di un personaggio frustrato e ricco di perversioni chiuse nel cassetto della quotidianità, e Plemons è bravissimo a calarsi in questi scomodi panni, in un ruolo che sembra scritto per lui.
Ad ogni modo, il vero ruolo da protagonista (insieme a Jessie Buckley, in realtà) arriva davvero, finalmente, nel 2020 e a concederglielo è uno dei più particolari ma eccezionali registi in assoluto: l’immenso Charlie Kaufman.
Se Sto pensando di finirla qui è letteralmente un capolavoro, i meriti sono anche di Plemons e del modo in cui sa interpretare lo strambo Jake, ancora una volta un’anima apparentemente bonaria e sottomessa di cui però bisogna aver paura e di cui dubitare. I personaggi così controversi, per quanto complessi da interpretare, sembrano quindi tagliati su misura per il nostro Jesse, che non teme affatto di misurarsi con queste sfide.
Nel 2021 lo vediamo in un altro film “da Oscar”, Judas and the Black Messias di Shaka King non da protagonista ma in un ruolo piuttosto importante, il viscido e ancora controverso agente dell’FBI Roy Mitchell. È sempre incredibile che Plemons riesca a donare ai suoi personaggi una doppia natura, annichilendo radicalmente il confine tra bene e male e lasciandoci mille domande sulle intenzioni.
Adesso è finalmente arrivato il momento di prendersi la scena con Il potere del cane di Jane Campion, grande interpretazione nei panni di George Burbank, forse un po’ oscurata dal talento smisurato di Benedict Cumberbatch ma ugualmente possente e degna di lode ed applausi a scena aperta.
La sensazione è che comunque si tratti solo di un piccolo passo nella carriera di Plemons, che sarà presumibilmente costellata di successi e nuovi film per registi importanti, con interpretazioni altrettanto mirabili. Adesso, peraltro, è anche su Netflix con Windfall, un classico home invasion ancora una volta di un regista con cui Plemons aveva già lavorato: Charlie McDowell.
“Recitare è un modo davvero unico di imparare su se stessi, sul mondo e sulle altre persone, tutto insieme”, affermava tempo fa l’attore in una intervista concessa al The Guardian. Ma a giudicare da come sa stare sulla scena, probabilmente gran parte di tutto ciò Plemons l’ha già appreso.