Ousama Ranking, l’anime underdog dello scorso inverno, nasconde molto più che una storia di rivalsa dietro i suoi disegni infantili
n questi ultimi mesi, Ousama Ranking si è costruito la fama di anime underdog della stagione: spesso ignorato anche dai più fan più navigati per il suo art style troppo simile a quello di un kodomo, ovvero un prodotto di animazione destinato ad un target estremamente giovane, al di sotto dei 10 anni. Eppure, in questa serie troviamo elementi visivi e di trama estremamente adulti e che si sposano con difficoltà con un pubblico acerbo. È indubbio che sia necessaria una certa maturità per comprendere appieno Ousama Ranking, nonché una buona dose di conoscenza storica per cogliere i messaggi ideologici e politici più velati (ma neanche troppo).
In apparenza, Ousama Ranking è uno shōnen action fantasy perfettamente nella norma: un’ambientazione medievale, un grande obiettivo da raggiungere e un protagonista svantaggiato che dovrà lottare per scavalcare le avversità. Bojji – questo il nome del protagonista – è il principe del suo regno, primogenito in linea di successione e aspira ad ereditare il trono per rendere il suo regno un posto migliore e scalare la Classifica dei Re, raggiungendone il primo posto e i suoi benefici. Tuttavia, la vita sembra aver giocato un brutto scherzo a Bojji: nonostante sia il figlio dell’uomo più forte del mondo – un gigante – il protagonista è basso, gracilino, debole; e, come se non bastasse, è nato sordo e muto. Tutto questo, unito al fatto che il suo fratellastro minore sembra essere tutto quello che lui non è – alto, abile con la spada, ambizioso e rispettabile – crea subito le basi per una trama ricca di magia, intrighi e complotti.
Uno degli aspetti che ha reso questa serie inappetibile ai più, di primo acchito, è proprio il suo art style, che assomiglia molto – come detto – a quello di un kodomo. Devo dire che è stato abbastanza straniante vedere livelli di violenza paragonabili a quelli degli shōnen splatter che tanto vanno di moda al momento, attraverso uno stile di disegno simile a quello dello Studio Ghibli. Il lato visivo rimane comunque spettacolare, visto anche che questo adattamento è stato curato da WIT Studio.
- Leggi anche: Come guardare i film dello Studio Ghibli su Netflix
La rappresentazione dei personaggi con disabilità: Ousama Ranking e i colleghi shōnen
Uno degli elementi che colpisce subito lo spettatore per la sua peculiarità è la condizione del protagonista. Molto raramente, infatti, vengono rappresentati negli anime dei personaggi affetti da disabilità o qualche tipo di patologia e le volte in cui questi personaggi sono anche protagonisti sembrano essere più uniche che rare. Vengono in mente protagonisti d’eccezione, come per esempio Edward Elric (FullMetal Alchemist), Dororo, Nicholas Brown (Gangsta), Shouko Nishimiya (La Forma della Voce) o Violet Evergarden.
Generalmente, questo tipo di personaggi viene rappresentato perlopiù in opere shōnen che contestualizza con la violenza che caratterizza questo genere il motivo della disabilità. Inoltre, molto spesso le difficoltà causate dalla loro condizione verranno scavalcate con delle protesi multifunzione, oppure ancora con l’immunità ad una determinata arma o potere – vengono in mente Guts (Berserk) e le sue protesi armate, o alcuni nemici di Jojo.
Anche Ousama Ranking trova nella sua trama la giustificazione della disabilità di Bojji, che compensa la sua debolezza fisica con un’incredibile velocità di riflessi e movimento. Per quanto riguarda i due sensi mancanti, nello show c’è una costante rappresentazione e utilizzo della lingua dei segni, nonché della lettura delle labbra. I detrattori di Bojji faranno spesso riferimento alla sua condizione come segno di stupidità e inadeguatezza; ma egli si farà strada con un’invidiabile sicurezza in sé stesso, che unita al suo buon cuore ammalierà amici e nemici.
Il cambio di rotta narrativo: la fantapolitica si avvicina pericolosamente alla realtà
Il messaggio generale di Ousama Ranking pare indubbiamente essere l’esaltazione dell’amicizia e la rivalsa dello svantaggiato; eppure, per altri versi, alcune cose non tornano. Alcuni spunti di trama, volenti o nolenti, ricalcano alla perfezione metafore e vocabolari riconducibili alla propaganda nazionalista giapponese, più in particolare a quella pro-colonialista e anti-coreana.
Durante il corso della trama, veniamo a conoscenza dei violenti trascorsi tra due paesi: il regno di Houma, abitato da maghi gentili e benevolenti, e quello di Gyakuza, un regno povero, arretrato e popolato da arrivisti e codardi. Nella trama, questo loro atteggiamento viene parzialmente giustificato dalle loro “differenze culturali”, essendo sempre stati governati da “stranieri assoggettatori” e avendo imparato a non fidarsi di nessuno. Vengono rappresentati poveri, sporchi e primitivi, abitanti di un paese desertico e di capanne di fango e paglia. Houma, che cercava alleati nella lotta contro gli dei tiranni, offrì a Gyakuza la propria magia, aiutandoli a prosperare, sviluppando il paese e lo standard di vita. Il regno di Houma finì però per essere tradito da coloro che avevano generosamente aiutato, ripagando la loro benevolenza con il sangue, senza tuttavia un apparente motivo, se non una vaga giustificazione di codardia e avarizia.
Già qui, un qualsiasi lettore del manga di Ousama Ranking potrebbe già iniziare a storcere il naso: la serie era precedentemente caratterizzata da personaggi sfaccettati che, se anche apparivano inizialmente come antagonisti, finivano per avere dei buoni motivi o, perlomeno, una redenzione. Si potrebbe ridurre il tutto ad una scelta narrativa sfortunata; a meno che non si vada a prendere in considerazione il background sociale dell’autore e i trascorsi storici tra Corea e Giappone.
Richiami storici e propaganda nazionalista giapponese: il Giappone, la Corea e le potenze occidentali
Ad un lettore occidentale, che plausibilmente non conosce nel dettaglio gli eventi storici avvenuti durante il Novecento nell’estremo Oriente – e tantomeno la narrativa che i vari paesi hanno deciso di adottare per tramandarli – questa lettura non salta all’occhio facilmente. Tuttavia, ci sono alcuni segni che possono essere colti da chiunque abbia studiato il periodo neocolonialista e gli usi della propaganda in Occidente: non è certo il massimo dire ad alta voce di star colonizzando un paese, dopotutto.
Ed ecco quindi che improvvisamente il vocabolario cambia: si sta andando ad “aiutare” un paese più arretrato, modernizzandolo mossi da gentilezza e buon cuore. Si dipinge l’invasore come benevolente, avanzato, benestante; e il sottomesso come povero, sporco, arretrato; qualcuno che ha un “disperato bisogno” di essere guidato da una potenza esterna che assume quasi un ruolo genitoriale nei suoi confronti. Se quest’ultimo tenta di ribellarsi, verrà dipinto come ingrato, selvaggio, meschino. Questa descrizione calza a pennello con la storia in Ousama Ranking, ma è anche la stessa identica narrativa che il Giappone nazionalista ha usato durante la sua invasione di Corea agli inizi del 1900.
Il regno di Houma diventa quindi un’allegoria per il Giappone, Gyakuza diventa la Corea (ai tempi Joseon), gli stranieri la Cina e gli dèi tiranni combattuti da Houma niente popò di meno che le potenze straniere occidentali. Questo diventa ancora più evidente quando gli dèi, una volta sconfitta Houma e giunti a Gyakuza, dopo aver ascoltato le calunnie nei confronti dei loro precedenti benefattori, notano l’avanzamento tecnologico e il benessere di cui Gyakuza improvvisamente gode. Viene quindi smascherata la bugia dei gyakuzani/coreani e la loro ingratitudine/ribellione alla povera Houma/Giappone – che ha costruito per loro scuole e ospedali. Persino gli dèi/potenze occidentali, pur avendo sconfitto Houma, riescono quindi a notare il prezioso contributo dato allo sviluppo di Gyakuza, tacciando i suoi abitanti di codardia e ipocrisia.
Parallelismi tra fantasia e storia: è solo un caso o si tratta di un dog-whistle?
Questa lettura è saltata all’occhio di numerosi lettori asiatici, nello specifico giapponesi, che si sono prodigati a denunciare questa “velata propaganda”. Non possiamo sapere per certo se sia stato intenzionale o meno: il beneficio del dubbio si dà a chiunque; certo, sarebbe stato più plausibile se non ci fosse un riscontro 1:1 tra i personaggi di finzione e storici, o il contesto socio-culturale dell’autore. Purtroppo, ad oggi, non abbiamo nessun tipo di dichiarazione da parte dell’autore in merito – se non si conta l’aver chiuso la sezione commenti dei capitoli incriminati senza alcun tipo di spiegazione.
Nel caso si trattasse di una scelta intenzionale, si starebbe parlando di dog-whistling. Il dog-whistle – letteralmente “fischietto per cani” – è un termine che viene utilizzato, in gergo politico, per descrivere l’inserimento, all’interno di un discorso o media, di una narrativa o parole chiave che hanno uno specifico significato comprensibile solo per determinate persone – quelle di cui si vorrebbero attirare le simpatie. Come il fischietto per cani, che ha delle frequenze percepibili solo da essi e non dagli esseri umani. Viene utilizzato perché, come detto anche prima, non è più socialmente accettabile intraprendere comportamenti attivamente discriminatori e bisogna, quindi, trovare scuse o metafore più “politicamente corrette”. Il grande vantaggio di questa pratica è la possibilità di negazione plausibile: se il messaggio nascosto venisse colto anche dall’opposizione, si potrebbe ridurre il tutto ad un fraintendimento o alla “mente maliziosa” dell’interlocutore.
Ferite ancora aperte
Alcuni potrebbero risentirsi di questa ennesima polemica, riducendola all’ennesima lamentela del politicamente corretto. Tuttavia, questo atteggiamento andrebbe ad ignorare decenni di storia e avvenimenti che, ancora al giorno d’oggi, non hanno trovato una risoluzione. Trovo di dubbio gusto minimizzare preoccupazioni di questo genere, ancora di più se prendiamo in considerazione che la linea adottata dal Giappone per descrivere le proprie azioni nei confronti della Corea è stata di negare fino alla morte, o di riscrivere la storia. La colonizzazione di un paese è stata trasformata nell’instaurazione di un protettorato, mentre i vari crimini di guerra come il genocidio culturale coreano o le comfort women sono stati spazzati sotto il tappeto.
Ancora oggi è quasi un tabù parlare di questi avvenimenti storici e le richieste di scuse da parte del governo coreano verso quello giapponese vengono pubblicamente rifiutate. Per molti fan di anime e manga il fenomeno notato in Ousama Ranking non è nuovo. Basti pensare a One Piece e il passato di Nico Robin, ovvero lo sterminio degli studiosi di Ohara per opera del Governo Mondiale e la successiva riscrittura della storia. Il concetto viene esplicitato ulteriormente dal discorso di Doflamingo nella saga di Marineford: “”La giustizia trionferà”?! Ovvio, perché sono i vincitori ad essere nel giusto!
La propaganda animata non è una scoperta dell’ultim’ora
Non è certo una scoperta dell’ultima ora la possibilità di fare propaganda a cartoni animati. Sia giapponesi che americani hanno utilizzato questo media dalla prima metà del ‘900, anche la Disney si è gettata nella mischia con dei corti su Paperino. La controparte giapponese ha invece utilizzato personaggi conosciuti a livello nazionale, nello specifico sono noti i corti e lungometraggi aventi protagonisti Momotaro, uno dei personaggi più conosciuti delle favole tradizionali del Sol Levante. Per fare propaganda a cartoni animati viene sovente utilizzata la metafora degli animali, che riescono a rappresentare gli attori in gioco senza essere troppo ovvi – avvalendosi quindi della negazione plausibile – e rivolgendosi ad un pubblico giovane, indottrinandolo.