Collezionare è una moda o una esigenza personale?
ual è il senso del collezionismo specificatamente applicato alla sfera nerdica che ci accomuna? Anche se poi in realtà è una domanda che vale per ogni sua forma: ci avete mai pensato? Da collezionista moderato ma appassionato, ogni tanto mi chiedo cosa mi spinga a spendere soldi per quello che spesso e volentieri può essere visto come feticismo fine a se stesso. Chiaramente rispondere in maniera univoca è impossibile e anche errato. Non solo i motivi per cui si colleziona sono personali e molteplici ma lo stesso concetto di collezionismo cambia con le epoche. Ecco quindi che mi ritrovo a condividere proprio per questa flessibilità interpretativa, un pensiero totalmente soggettivo, che però può essere interessante.
Innanzitutto, credo sia molto più facile “cadere vittime” di questa morbosa tendenza oggi piuttosto che in tempi passati. Certo generalizzare è sbagliato, ma è indubbio che se esiste un mercato e una speculazione del collezionismo è anche per vari motivi storici. La generazione dei nostri genitori (se siete di una certa età come me), aveva sicuramente i suoi feticci, c’era chi collezionava dischi, vecchi Tex, i famosi francobolli, e via discorrendo, ma era senza dubbio anche una generazione più votata la risparmio, in cui si doveva “crescere” prima, per tutta una serie di consuetudini sociali che si sono andate ad ammorbidire nei decenni.
Giocattoli, fumetti, vecchie console, per molti genitori erano oggetti la cui unica finalità era consumistica. Finita la loro funzione intrattenente per il pargolo, tutta questa roba si buttava nel secchio. Se ci penso per me è abbastanza inconcepibile. Amo conservare gli oggetti della mia infanzia e adolescenza. Ma perché? Io credo che negli ultimi decenni si sia sviluppato un inedito concetto di “nostalgia” per tutti noi che ci spinge a preservare ogni cosa possa rappresentare un simbolo della nostra generazione. Questo perché, tra cartoni, film, videogame, giochi, fumetti, gli anni 80 e 90 hanno sfornato tonnellate di materiale che è entrato a far parte della cultura pop della nostra giovinezza, e che negli anni si è arricchito sempre di più. Una cultura pop fucina di migliaia di brand, personaggi, franchise, divenute icone, icone da celebrare, sborsando sonanti quattrini, per vecchie o nuove figure, artbook, edizioni speciali, limitate, numerate.
Se per tutto cioè che è passato, quindi nella testa del collezionista (o almeno nella mia) si tramuta in “preservazione”, per quello che riguarda le passioni di oggi, è “celebrazione”. E veniamo quindi al punto. Perché cerchiamo l’edizione più bella dell’ultimo gioco uscito? Perché le nostre mensole sono sempre più sature di POP, statuine e affini? La mia risposta è appunto, celebrazione. Celebrazione di un gruppo di artisti, di un prodotto amato, di uno stile, la voglia di creare mausolei dedicati a ciò che ci piace. Cercare nel mero materialismo la manifestazione “extradiegetica” di un universo amato. Movente quasi banale e impalpabile, lo ammetto, ma sinceramente genuino. Almeno per quello che mi riguarda. Esiste però anche un lato meno virtuoso del collezionismo, ed è quello speculativo, e riguarda sia chi produce che chi compra. Sempre più aziende hanno abbracciato la filosofia del massimizzare i guadagni dalle proprie IP e licenze.
Se un tempo il cartone animato di He-Man o dei Transformers attraverso la fidelizzazione dei più piccoli veicolava l’acquisto di decine di action figure, oggi al contrario qualunque prodotto audio visivo, cartaceo, videoludico appartenente alla sfera geek è accompagnato di default da un merchandising sconfinato e fomentato nell’epoca dell’internet che autoalimenta attraverso l’hype, il marketing e l’accessibilità, questa esigenza di assecondare “l’istinto del collezionista”. Collezionista che accumula e accumula tutto quello che percepisce come un rafforzamento del proprio status quo di appassionato. Siamo arrivati ad una vera saturazione del concetto e siamo giunti al punto in cui, almeno per quel che riguarda la sfera nerd, non esiste praticamente più nulla che non venga pubblicato in 2, 3 o più edizioni speciali. Non esiste più un franchise che limita la sua commerciabilità al prodotto originale.
Se ai tempi di PlayStation, possedere il Premium Package di Metal Gear Solid era qualcosa di veramente raro, unico e speciale, in un’epoca in cui non era così comune imbattersi in limited edition dei giochi pubblicati, oggi la percezione è quasi che per ogni titolo la norma preveda di raccattare una bella collection edition mentre la standard si è trasformata nella versione “sfigatella”. Percezione mia, chiariamolo, che per altro non implica nulla. Ma è interessante come la massificazione del collezionismo abbia quasi portato ad un paradosso dello stesso, togliendo dall’equazione la fatica nella conquista dell’oggetto ricercato e rarità dello stesso.
Allo stesso modo c’è chi dalla parte dell’acquirente è spinto meno dalla sfera emotiva e più da quella monetaria, e compra articoli di nicchia dedicati a prodotti a cui non è legato in alcun modo, con l’unica prospettiva di aver fatto un investimento. Questo approccio al collezionismo, portato ai suoi estremi (per esempio quando si tratta di riempirsi di scatolame e tenerlo sigillato senza nemmeno curarsi dei contenuti per non comprometterne la condizione di “mint”) non è certo qualcosa che mi appartiene, lo trovo cinico. Ma come detto, non esiste LA via del collezionismo.
Dal canto mio mi sento talvolta un po’ nel mezzo, se non declinato alla sua deriva più esasperata, mi piace ogni aspetto del collezionismo. Quello -se volgiamo- di approfondimento, quando compro un artbook che valorizza il lavoro creativo dietro un videogioco o un cofanetto ricco di contenuti per un film particolarmente apprezzato di cui voglio conoscere più dettagli di produzione; quello puramente “contemplativo” e non troppo contestualizzabile, insomma quella voglia di avere qualcosa di tangibile che esca dallo schermo per semplice vicinanza ad una storia, a dei personaggi, un’atmosfera o emozioni che per me hanno significato qualcosa; e poi sì perché no, il fatto che una tiratura limitata o l’idea che quel particolare oggetto da collezione possa avere anche un valore sul piano economico, è qualcosa che lo rende più “speciale” e sicuramente non dà fastidio.
Alla fine non solo è impossibile definire il collezionismo in maniera oggettiva, ma è difficile scinderne le luci dalle ombre, in quanto in tutte le sue forme, parliamo di qualcosa su cui si specula tantissimo, è vero, ma che in fin dei conti è finalizzata sempre e comunque all’appagamento individuale. E non c’è nulla di più insindacabile per ognuno di noi. Al massimo può essere interessante indagare su se stessi per capire perché ne siamo attratti. Anche il collezionismo in fondo, nelle sue mille facce, è in qualche modo specchio di noi stessi.