otta get up, gotta get out, gotta get home before the mornin’ comes” cantava Harry Nilson nella prima stagione di Russian Doll, la serie Netflix con protagonista la meravigliosa Nathasha Lyonne nei panni di Nadia. Non è una scelta casuale, perché il brano racchiude in maniera cruda ma scanzonata il trauma della crescita da rivivere in loop, che poi è il tema centrale del commedy-drama scritto dalla stessa Lyonne insieme a Leslye Headland e Amy Poehler. Ad aprire la seconda stagione di Russian Doll (da qui Russian Doll 2) vi è invece “Personal Jesus” dei Depeche Mode. All’inizio può sembrare una scelta stilistica, tuttavia al termine del primo episodio appare chiaro che dietro ci sia un significato più profondo.
Dalla New York del 2022 a quella del 1982, per poi arrivare a Budapest nel 1944, fino a toccare Berlino nel 1962. Ancora una volta Nadia, in compagnia del fidato Alan (Charlie Barnett), sarà costretta a giocare col tempo, in un viaggio tra le epoche per ritrovare il suo Personal Jesus, ossia qualcuno in grado di ridarle importanza e speranza. Quel qualcuno è la famiglia: Nadia lo capisce solo vivendo appieno nel ruolo e nelle carni – letteralmente – di nipote, madre e nonna. Una perfetta matrioska che rende chiaro persino il titolo della serie.
Russian Doll 2 racchiude malattie psichiche, speranze di migranti e dittature in un unico viaggio temporale dai ritmi strepitosi. Le 7 puntate da 30 minuti scorrono tra risa scaturite dalla retorica tagliente di Nadia e il malessere nel rivedere, dal punto di vista della/delle protagonista/e, alcuni capitoli bui della storia umana. Presente compreso.
Un vero e proprio trip, visivo ed emozionale, che permette scorci metropolitani affascinanti. Che sia il 2022 o 1982, New York resta la città che non dorme mai in cui prendono luogo storie al limite del reale. Nonostante i suggestivi scorci di Budapest, la Grande Mela resta il palcoscenico principale del comedy-drama di Netflix. Non a caso, simbolo della seconda stagione è un vagone della metropolitana di New York, luogo in cui l’essenza tipica della città prende vita.
Tale essenza la si può respirare a pieni polmoni durante la visione di Russian Doll 2, grazie alla sua capacità di mescolare elementi all’apparenza distanti tra loro, ma dall’effetto finale pazzesco. A colpire non sono solo luoghi ed epoche storiche diversi, ma anche il corollario variopinto di personaggi secondari e la perfetta coesistenza di stili, suoni ed estetiche appartenenti a passato e presente. Il tutto unito dal fil-rouge della famiglia Vulvokov. Una frastagliata storia famigliare, che mostra le difficoltà dell’essere donna, madre e figlia, ma anche alcune certezze meravigliose, come la spalla sempre presente di un’amica, a prescindere dall’epoca in cui si vive.
Nadia stessa è l’incarnazione di tale ordine nel disordine, a partire dal suo look. Come affermato dalla critica Marina Pierri su Instagram, “Nadia è una time lord o forse una vampira (la sua iconografia è quella) e a dircelo è soprattutto come si veste, con una specie di uniforme fatta di cambiamenti mai sostanziali, bambola semovente e supereroina del suo stesso videogioco”. Tutto questo è possibile non solo grazie al curato production design o all’onirica fotografia, ma anche alla scrittura davvero sagace. Al di là del valore dei dialoghi, emerge un’attenta ricostruzione dei contesti storici grazie a numerosi riferimenti, che non si limitano al mero citazionismo, ma rafforzano la sospensione dell’incredulità.
In breve, Russian Doll 2 è un originale melting pot di elementi. Proprio come “il minestrone” americano – e ancor di più newyorkese – la serie riesce a unire contrasti tematici, visivi e stilistici per raccontare un paradossale viaggio nel tempo, che stupisce e conquista, nonostante sia un tema piuttosto ridondante nella cultura pop. Questo perché il commedy-drama di Netflix utilizza l’elemento sovrannaturale per raccontare senza filtri una storia reale, che accomuna molti, se non tutti: la paura di crescere e trovare il proprio posto nel mondo.