Meltdown: Three Mile Island è una docu-serie disponibile su Netflix incentrata sul più grave incidente nucleare negli Stati Uniti
on lo scoppio della guerra in Ucraina, l’incubo della catastrofe nucleare si è nuovamente risvegliato. Sin da quando è stata utilizzata come arma su Hiroshima e Nagasaki nel 1945, l’energia nucleare è diventata uno dei principali spauracchi della contemporaneità. E questo nonostante la promozione di un suo uso pacifico come risorsa controllata da sfruttare nelle centrali. Una visione che ha preso piede negli anni ‘50 con gli Atomi per la pace del presidente Eisenhower.
Eppure i disastri di Chernobyl nel 1986 e di Fukushima nel 2011 hanno continuato ad alimentare il terrore nei confronti del nucleare. A questi due casi se ne aggiunge uno meno noto, addirittura risalente al 1979, che ha colpito in casa gli Stati Uniti. Tale incidente fa da tema centrale alla docu-serie Meltdown: Three Mile Island, aggiunta nelle scorse settimane al catalogo di Netflix.
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Three Mile Island è un’isola sita nel territorio della cittadina di Londonderry, nella contea di Dauphin, Pennsylvania, su cui sorge una centrale nucleare gestita dalla General Public Utilities e dalla Metropolitan Edison. Oggi è chiusa e in parte smantellata, ma oltre quarant’anni fa, in piena Guerra fredda, rappresentava il progresso americano, in grado di raggiungere e contagiare una piccola cittadina nel nord-est degli Stati Uniti. La centrale era entrata a tutti gli effetti nella quotidianità degli abitanti di Londberry: era simbolo di un’energia pulita da sfruttare, di posti di lavoro, del paesaggio cittadino, distopico ma suggestivo. Con l’incidente del 28 marzo 1979, che vide una parziale fusione del nocciolo del reattore dell’unità II, tutto questo venne stravolto.
Nelle sue quattro puntate, Meltdown: Three Mile Island si concentra proprio sui cittadini, testimoni diretti dell’evento, che da fieri sostenitori della centrale nucleare si sono tramutati in tenaci oppositori. Un profondo astio non solo nei confronti delle radiazioni, diffusesi in piccole quantità al di fuori della centrale, ma soprattutto contro la politica, locale e federale. La mattina del 28 marzo, il vicegovernatore della Pennsylvania William Scranton affermava che non vi era alcun pericolo per la salute. Molti aspetti erano stati taciuti per evitare che il business dell’energia nucleare venisse affossato, a discapito di intere famiglie, tenute all’oscuro dai rischi delle radiazioni.
La docu-serie non si addentra troppo nell’ambito tecnico-scientifico, ma si focalizza sull’impatto sociale che ha avuto l’incidente negli Stati Uniti di Jimmy Carter. Emerge in particolare l’importanza del cinema e in generale della cultura pop, per ribadire quanto questa sia in grado di influenzare i sentimenti collettivi. Circa due settimane prima dell’incidente a Three Mile Island, esordiva nei cinema americani “The Chinese Sydrome”, film con Jane Fonda e Micheal Douglas in cui una giornalista televisiva e il suo cameraman scoprivano insabbiamenti riguardo la sicurezza in una centrale nucleare in California. Una coincidenza incredibile, che ebbe un impatto gigantesco sulle paure legate all’incidente nucleare in Pennsylvania. I primi due episodi ripercorrono dunque trasversalmente gli eventi cominciati alle 4 di notte di quel 28 marzo 1979. Una cronistoria appassionante, realizzata tramite testimonianze dirette, video dell’epoca e ricostruzioni storiche.
Tanto è efficiente la prima parte di Meltdown: Three Mile Island che nel vedere altre due puntate restanti sorge spontanea una domanda: “E che c’è da dire più?”. Il messaggio giunge ben chiaro: politica e aziende sono pronti ad abbandonare intere comunità per il bene del profitto. Eppure la docu-serie continua, prendendo una svolta crime, focalizzata sugli oppositori della centrale nucleare, che vedono nella tenace figura di Rick Parks, ex-dipendente a Three Mile Island, il principale protagonista. Per quanto sia giusto tramandare e raccontare la sua ostinazione in questa lotta contro i potenti, le due puntate conclusive risultano quasi superflue, spesso allungate da frequenti pianti e scene emozionali che nulla aggiungono al discorso fatto nella prima metà.
Ciononostante, Meltdown: Three Mile Island resta una produzione interessante, sia perché racconta un evento poco noto al di fuori degli Stati Uniti, sia perché mette bene in evidenza che qualsiasi risorsa naturale finita nelle mani dell’uomo rischia di essere pericolosa, anche se la guerra non c’entra nulla. D’altronde, l’importante è guadagnarci, no? Un’ennesima critica al capitalismo, nonché una riflessione giusta da fare, specialmente quando l’energia nucleare torna a diventare incubo, con in più l’aggravante che, oggi, la guerra c’è.