Continuiamo a vedere film mediocri in alto nella classifica dei più visti su Netflix. Spiderhead di Kosinski è soltanto l’ultimo tra questi
vrete senz’altro letto le recenti dichiarazioni del regista Matthew Reilly, che dopo le aspre critiche, le recensioni negative e un punteggio del 45% su Rotten Tomatoes per il suo nuovo film Interceptor, si è detto stupito – o meglio, “confuso” – per averlo visto balzare in alto nella top 10 dei più visti di Netflix, dove è rimasto stabilmente per settimane.
Ad essere sincero io invece trovo assurdo che ci si stupisca ancora dei risultati delle “tendenze” di Netflix, poiché tra la scarsità di prodotti decenti sulla piattaforma e i gusti particolari di buona parte dell’utenza, molto spesso la top 10 è invasa da opere che, spinto da grande magnanimità, mi sento di definire di qualità piuttosto bassa.
Ad esempio, da qualche giorno al primo post tra i film più visti sulla piattaforma compare il nuovo film di Joseph Kosinski. E no, non è Top Gun: Maverick, che chiaramente è ancora nelle sale, ma un gemello eterozigote partorito quasi in simultanea, e che deve aver preso i geni più brutti del papà. Parlo ovviamente di Spiderhead, che peraltro con il film citato in precedenza, cioè Interceptor, condivide uno degli attori più noti: Chris Hemsworth.
Della recente sovraesposizione dell’attore magari ne discuteremo tra un po’ di giorni in un altro articolo, ma sulla sua interpretazione in Spiderhead e sulla pellicola stessa è bene spendere già ora qualche parola.
Il cast senza dubbio incuriosisce: la presenza di Hemsworth e del co-protagonista Miles Teller, supportati anche da Jurnee Smollett, richiama l’attenzione del pubblico. In più la regia di uno come Kosinski e la presenza di sceneggiatori affermati come Rhett Reese e Paul Wernick (Deadpool, Zombieland), ad adattare l’opera Escape from Spiderhead di George Saunders, sembra quasi una garanza.
Certo, i due screenwriter hanno da sempre un’impronta molto più votata all’action comedy, ma il loro CV ci fa credere nella possibilità di successo anche in un prodotto ben diverso, un thriller sci-fi che ci porta in un futuro distopico in cui il protagonista Jeff (Miles Teller) è un detenuto che ha la possibilità di scontare la propria pena nell’unità di psicologia sperimentale di Spiderhead, un penitenziario atipico e all’apparenza decisamente migliore rispetto alle strutture carcerarie tradizionali. A gestire il centro troviamo, ovviamente, il dottor Steve Abnesti (Chris Hemsworth).
Sarà lui che, previa concessione dei detenuti, somministrerà loro farmaci hi-tech sperimentali, installati nella parte bassa della loro schiena e attivati tramite domotica da smartphone. Questi farmaci hanno il potere di rendere la persona incredibilmente felice, paranoica, impaurita, oppure molto eccitata, portando quindi all’estremo tali emozioni. La maggiore curiosità iniziale risiede quindi nell’indagare quanto Abnesti possa spingersi oltre il limite, fino a dove sia in grado di arrivare.
Una curiosità destinata a spegnersi presto, perché dietro una facciata di complessità, nei fatti Spiderhead si palesa come un film piuttosto banale nel suo sviluppo, con una love-story centrale – per altro mal gestita, e poco avvincente dal punto di vista del pubblico – che diventa il punto di rottura del film, con un apice in cui vengono svelati gli altarini e in cui tutti mostrano la loro vera natura, oltre ai loro lati più oscuri, che fanno parte delle reali motivazioni per cui sono reclusi. Un aspetto che, purtroppo, viene colpevolmente solo sfiorato dallo script di Reese e Wernick.
Tutto infatti scorre lasciandoci un senso di indifferenza generale, al punto che neanche i momenti più macabri riescono a sconvolgerci, perché non ci si lega mai troppo ai personaggi e alla storia.
Ricercare le colpe nel cast artistico sarebbe sbagliato, poiché Hemsworth, al netto di un ruolo che non ci sembra particolarmente nelle sue corde, fa il suo e prova a calarsi in un personaggio folle ma divertente, sebbene forse non abbastanza sociopatico per essere inquietante, così come anche Teller si trova costretto a giocare al meglio con le poche carte di cui dispone. È proprio la scarsa introspezione psicologica dei personaggi a tarpare le ali a entrambi.
La sensazione costante, negli oltre 100 minuti di Spiderhead, è quella di assistere a un film che non ha la vaga idea di dove stia andando, crogiolandosi comunque in un’unica e marmorea consapevolezza: quella di finire, a prescindere da tutto ciò, nella top 10 di Netflix.