Come senza osare si possa fare bene
igh Isle, il nuovo capitolo di The Elder Scrolls Online, ha raggiunto le nostre macchine da gioco navigando sicuro lungo la sua vecchia rotta. Non ha tentato brusche virate, non ha osato novità che ne alterino la formula in modo significativo. Si tratta, a mio avviso, di una scelta difendibile. Si potrebbe forse pensare che un gioco-servizio sia naturalmente portato al cambiamento, o che per stuzzicare il palato dei giocatori sia necessario rincorrere le mode. Raramente però è bene applicare questa logica ad un MMORPG. In parte perché la ruolistica online si basa sul concetto di mondo persistente, che è bene non scuotere troppo.
Il rischio, e l’abbiamo visto materializzarsi più volte, è di generare disaffezione nell’utenza, o persino di costruirle dentro dei veri e propri conflitti generazionali. Ma soprattutto, anche in un settore così eterogeneo ed eclettico, The Elder Scrolls Online possiede già un carattere di grande originalità. È in grado di spiccare e distinguersi dal resto dell’offerta, e rappresenta per la propria utenza un porto sicuro, una formula che funziona.
È per questa ragione che qui non mi interessa approfondire gli aspetti più meccanici del gioco. Con High Isle, The Elder Scrolls Online conserva ed accresce i propri punti di forza: la cura minuziosa riposta nella costruzione degli ambienti e delle architetture, la narrativa ambientale, l’evocatività delle musiche, le atmosfere dense ed avvolgenti dei dungeon. E, soprattutto, la libertà di fare ciò che si preferisce, di vivere il mondo e sollecitare il gioco secondo le proprie inclinazioni.
L’unica vera novità, in termini strettamente ludici, è rappresentata da Tales of Tribute. Si tratta di un gioco di carte sorprendentemente ambizioso e completo, che si inserisce con disinvoltura nel ventaglio di attività disponibili, forte anche della propria opzionalità. Un altro minigioco con cui intrattenersi, se ne si ha voglia, tra un’avventura e l’altra. E parlando di avventura, credo sia qui che High Isle realizza meglio (e peggio) il proprio potenziale.
Vela verso High Isle
Lontano, più a occidente di Hammerfell e di Summerset, nel mezzo del Mare Abeceano, giace il piccolo arcipelago di Systres, con le sue due isole principali. Abbiamo l’oscura Amenos, la cui fitta giungla segrega in sé un popolo di ladri e tagliagole, e High Isle, l’isola maggiore, con le sue spiagge coralline, i suoi imponenti castelli, le sue nebbie, i suoi verdi declivi. Sullo sfondo di entrambe troneggia Firesong, il vulcano di Y’ffelon, la cui furia latente squarcia di tanto in tanto i paesaggi idilliaci del suo regno, aprendovi bocche effusive traboccanti lava ed elementali di fuoco.
È tra questi paesaggi che la nuova avventura va dipanandosi. Lontana dalle minacce cosmiche di signori daedrici determinati a mettere il mondo intero a ferro e fuoco, High Isle ci racconta una storia più a misura d’uomo, fatta di intrighi politici, di lotte tra casati, di un mondo in guerra che ambisce ad una pace elusiva. La premessa è molto semplice: i sovrani delle tre fazioni, spronati dal ricco filantropo Bacaro Volorus, hanno scelto di riunirsi proprio sulla remota High Isle, per tentare delle trattative che portino a termine la lunga e sanguinosa Guerra dei Tre Stendardi.
Il giocatore è chiamato a difendere questo sforzo diplomatico dai tentativi di sabotaggio dell’Ascendant Order. Si tratta di un ordine di cavalieri “popolari”, che non mostrano mai il viso e non esibiscono insegne. La loro missione è rovesciare i monarchi con la forza delle armi e dell’anonimato, per costruire la “fine degli imperi”, riscattare il mondo da “generazioni di oppressione” e conferire il “potere al popolo”. Senonché questi cavalieri dai nobili intenti si intuiscono essere in realtà manipolati da casate nobiliari, interessate a perseguire i propri fini sotto l’egida della lotta popolare.
The Elder Scrolls Online ha sempre dimostrato una certa attenzione verso il proprio contenuto politico, avendo cura di avanzare discorsi, per così dire, progressisti. È sempre però stato riluttante ad avanzarli contro il potere. E se in passato presentava una qualche minaccia di gretto conservatorismo, come lo spiccato razzismo di Summerset, quella minaccia esisteva nonostante la bontà del monarca, che si trovava a proteggere i propri giusti intenti da qualche gruppo sovversivo che operava nell’ombra. In nessuno di quei casi, però, mi pare questo generasse vere contraddizioni.
Non intendo certo sollevare un problema su quale storia bisogna raccontare. Che il re sia buono e si debba aiutarlo a prevalere sui cattivi non è qualcosa di irricevibile di per sé, così come non lo sarebbe dover salvare la principessa dalle grinfie di un drago. In High Isle però agli antagonisti vengono attribuite ragioni etiche meno contestabili di quelle di un leader razzista o di un drago famelico, e la riluttanza a rappresentare il potere in una luce negativa inizia quindi a causare qualche crepa. Soprattutto nel momento in cui la fazione sovversiva nasconde interessi privati, mentre re e regine sono in qualche modo esenti da questo tipo di ambiguità.
Come senza osare si possa anche fare male
È qui che risiede il mio primo (e in realtà unico) problema con High Isle. Per quanto sia riluttante ad esprimermi su una storia ancora in divenire, è chiaro che l’Ascendant Order riveste il ruolo dell’antagonista. Siamo così precipitati nel solito cliché del gruppo rivoluzionario che in realtà nasconde mire tutt’altro che nobili, o che le persegue con i mezzi sbagliati. Non è una questione che sollevo volentieri, anch’io come tanti avvio i videogiochi per perdermi nell’evasione della fantasia. Ma è High Isle stesso a scegliere di rappresentare un conflitto di classe. Non solo, usa termini che attingono esplicitamente alla storia dei movimenti e delle istanze emancipative del nostro mondo primario. Istanze la cui bontà, in linea di principio, il gioco non mette peraltro in discussione.
Dopodiché ci chiede però di agire contro chi avanza quelle istanze, in quanto troppo radicale, o disonesto, o illuso. Anche la fine della guerra deve venire solo e soltanto dal potere che la sta perpetrando, mai da una sua messa in discussione.
In questa lotta il ruolo del giocatore è mantenere lo stato di cose presente, proteggere attivamente le monarchie, i cui rappresentanti lo trattano come un prezioso alleato, a volte quasi come un amico. Se High Isle fingesse inconsapevolezza della bontà delle ragioni propagandate dall’Ascendant Order, o se ci dicesse che non sono problemi reali, sarebbe forse più tollerabile. Ma come si può con una mano puntare il dito contro un problema e con l’altra impugnare lo scudo che lo protegge? Forse che immaginare rivoluzionari corrotti e disonesti è l’unico modo per rendere difendibile lo status quo dalle loro giuste rivendicazioni?
Mesi fa avevo letto un topic nei forum ufficiali di TESO, in cui si lamentava l’impossibilità di unirsi all’Ascendant Order. È una lamentela che mi sento di abbracciare. Mi sembra anzi il caso di sottolineare che TESO non si fa problemi a lasciare che i giocatori si aggreghino ad una setta di assassini. È indubbio che assassinare decine, se non centinaia di innocenti per pura elezione di malvagità rappresenti un problema politico molto meno controverso della propaganda rivoluzionaria. È altrettanto indubbio che dare al giocatore una scelta simile avrebbe rappresentato uno sforzo produttivo non trascurabile.
Senonché il gioco di ruolo che presenta un problema politico, e permette ai giocatori di collocarvisi, sta dando dignità e valore alle loro interpretazioni. Il gioco di ruolo che invece presenta un problema politico e non consente alcuna scelta, sta dando solo e soltanto un messaggio politico. In questo senso il messaggio di High Isle è, purtroppo, inequivocabile. Sembra che i prodotti videoludici di alto profilo non riescano a fare a meno di dare agli antagonisti motivazioni rivoluzionarie che poi si rivelano disoneste o ingenue. E mi chiedo se ci imbatteremo mai in un videogioco ad alto budget in cui un gruppo rivoluzionario vuole effettivamente fare ciò che predica. O anche solo in uno che difenda la propria scelta di campo senza simili circonlocuzioni.
Un trionfo fantasy di buon carattere
Questa è però la fine delle mie rimostranze. Messa da parte la lettura politica, la narrativa di High Isle esibisce una cura a mio avviso inedita nella storia di The Elder Scrolls Online. E non solo nella quest principale, carica com’è di mistero e di colpi di scena. Come da tradizione negli Elder Scrolls, la maggior parte delle linee di dialogo si concentrano nelle storie “secondarie”, che a mio avviso secondarie non sono affatto. Sono loro a fare ciò che è più fondamentale alla costruzione ed alla tenuta di un mondo di fantasia: ne definiscono il protagonismo, la centralità nell’esperienza. Del resto, il giocatore passa relativamente poco tempo alle prese con la quest principale, mentre al di là di quella sarà impiegato ad esplorare, raccogliere risorse, combattere, vendere e comprare, giocare a carte, tra le tante piccole storie di ambienti che non sono mai stati così densi e ricchi, inebriandosi di scorci che non sono mai stati così vivaci.
High Isle, sicuramente anche in virtù dell’esiguità di informazioni precedenti, ha rappresentato il terreno ideale perché gli sviluppatori lasciassero andare la propria creatività a briglia sciolta. Il risultato è un contesto narrativo traboccante di suggestioni immaginifiche, che in qualche modo riescono ad addensarsi in un’esperienza coesa e immersiva: le storie di pirati, le navi fantasma, i circoli druidici, i criminali della giungla, le lotte tra famiglie nobili, le giostre e i tornei, le imponenti mura merlate, le spiagge, le brughiere, i complessi megalitici e le colate laviche. Questa eterogeneità di fantasie viene a sintesi senza contrasti e senza forzature, componendo un ambiente di gioco che non rinuncia al tono tellurico e tangibile di The Elder Scrolls, e al tempo stesso inventa per sé un carattere discretamente inconsueto: una fantasia che rapisce tanto con il credibile quanto con l’incredibile.
Voglio che sia chiaro: ho trovato che da ogni punto di vista High Isle fosse un consolidamento ed un arricchimento di un’esperienza già ottima in partenza. È solo un peccato che la narrativa più esplicita e tradizionale blocchi il giocatore in una scelta politica non priva di contraddizioni. Soprattutto se consideriamo che The Elder Scrolls Online, tra gli MMORPG, è tra quelli che più si premurano di accettare le scelte dei giocatori attraverso lo scripting delle quest. Sarebbe stato bello vedersi riconosciuta un po’ di quella libertà, o anche solo quella misura di distanza che basta ad illudersi di averne.