James Caan: Sonny l’ha reso un’icona, ma il lavoro costante e altre grandi performance hanno fatto di lui una leggenda di Hollywood, la cui memoria va preservata
uando parliamo di cinema, viene automatica l’associazione con Il Padrino. Quante volte, in un riferimento a film, avete detto o sentito “Non sarà Il Padrino, ma è un bel film“?
Perché obiettivamente la trilogia di Coppola ha segnato in modo indelebile la settima arte, diventando un cult non solo per il suo genere di appartenenza ma per il cinema a 360 gradi.
Di conseguenza, la gloria per gli attori che vi hanno preso parte è eterna quanto i film stessi. E se quando parliamo di Al Pacino, Marlon Brando o Robert De Niro è piuttosto scontato, vale lo stesso per attori meno affermati?
La risposta è secca: sì.
La notizia della scomparsa di James Caan lascia una profonda tristezza in tutti gli amanti de Il Padrino e del cinema in generale, perché quest’opera ha reso iconico anche Sonny, un personaggio minore ma non per questo meno importante degli altri.
Dopo Il Padrino, Caan ha avuto una lunga ed eccellente carriera nello star system hollywoodiano, tuttavia è inevitabile che la maggior parte della gente abbia continuato ad associarlo a Santino “Sonny” Corleone.
Il suo fisico scolpito, il volto espressivo e l’aria audace l’hanno reso perfetto per quel ruolo.
Sonny era il figlio maggiore di Don Vito, ipoteticamente destinato a prendere il suo posto. Eppure il suo eccessivo ardore, lo scarso autocontrollo non glielo hanno permesso. Sonny è quello che vuole la guerra senza una strategia, un soldato affidabile e soprattutto fidato, ma mai un capo, mai un numero uno.
Un destino simile a quello di Caan nella Hollywood che conta: sempre presente, ma raramente in prima linea.
Eppure il buon James di talento ne aveva.
Di certo ne Il Padrino, il suo ruolo ma soprattutto l’essere accerchiato dalle brillanti performance di Brando e Pacino ne hanno limitato molto le potenzialità (emblematico il fatto che quell’anno vennero nominati agli Oscar come migliore attore non protagonista Jame Caan, Robert Duvall e Al Pacino, tutti per lo stesso film), ma il suo Sonny era stato creato per esplodere, non per brillare. Privo del carisma, delle abilità strategiche, del fascino di padre e fratelli, Sonny era muscoli e rabbia, totalmente a suo agio in un mondo in cui machismo e strafottenza gozzovigliano, e non a caso è proprio lui a regalarci alcune delle sequenze più incredibili, fino ad una morte da vero soldato. E non a caso – ancora una volta – per lui dopo Il Padrino arrivano altri ruoli per certi versi simili, come The Big Man in Dogville di Lars Von Trier o prima ancora il ruolo del capo Frank in The Yards di James Gray.
Ci sono poi tante altre interpretazioni, da protagonista o più a fari spenti, tuttavia se dobbiamo citare un altro iconico ruolo dopo Sonny, viene automatico senza alcun dubbio menzionare il suo Paul Sheldon in Misery non deve morire, adattamento di Rob Reiner dell’opera di Stephen King.
Nonostante la straordinaria Kathy Bates gli rubi la scena, Caan riesce a portare sullo schermo un personaggio perfetto nel suo essere così solidamente comune: uno scrittore affermato sì, ma un uomo normale umiliato e soggiogato da una fan totalmente fuori di testa.
Il Padrino certamente ha fatto di lui un’icona, ma sono tutti gli altri ruoli, piccoli, medi o grandi ad averlo reso una leggenda, rafforzando la sua grande reputazione.
Quando si spengono attori come lui, che hanno fatto parte della vecchia scuola hollywoodiana è come se ad andarsene sia una parte dell’industria cinematografica che ha fatto la storia e con cui sono cresciute generazioni. È per questo che James Caan, Ray Liotta e quelli come loro non devono morire nella nostra memoria ma il loro modo di fare cinema, così serio, professionale, integerrimo e così diverso da quello attuale deve essere preservato e tramandato alle nuove generazioni, tramite i loro film e le loro performance.