L’ennesimo prodotto trasversale dedicato a Resident Evil che si rivela una cocente delusione
lmeno per chi è dotato di un minimo di buon gusto, è innegabile che fino a oggi ogni prodotto legato a Resident Evil abbia tradito le aspettative. A volte per dissonanza totale con il canone dei videogiochi, a volte perché questo veniva usato in maniera superficiale senza considerare il potenziale che avrebbe anche a livello cinematografico televisivo. E a volte, anche passando sopra a tutto questo, semplicemente perché si sono rivelate produzioni di bassa qualità anche estrapolandole dal loro contesto derivativo e provando a considerarle autonome. L’ultima serie in CG, Infinite Darkness, per esempio era effettivamente “molto Resident Evil” – e grazie al piffero direte voi- essendo prodotta da Capcom, ma si collegava al peggio del canone videoludico, quello di fanta thriller horror action che anche nei videogiochi non rappresenta certo la faccia migliore della saga. Il recente film, Welcome To Raccoon City che gridava a gran voce la sua fedeltà ai grandi e più orrorifici stilemi del brand, beh era tutta apparenza. In realtà era una mezza ciofeca pure quello.
E non voglio nemmeno scomodare i film di Anderson che è onestamente sparare sulla croce rossa. Insomma, c’è una maledizione dietro le trasposizioni di Resident Evil che ad ogni nuova iterazione abbassa sempre di più le mie aspettative. Al punto che quando vidi i primi trailer e lessi le prime informazioni sulla nuova serie di Netflix, constatando che ancora una volta le premesse erano quelle di prendere una direzione bislacca e poco vicina a quello che amano i fan di Resident Evil, non me ne fregava veramente più niente. Io, uno dei più affezionati fan della saga che amo anche tante sue derive schizofreniche, e quindi essendo di mentalità abbastanza aperta (insomma l’opposto del gregge del “eh ma Resident Evil 7 non è Resident Evil”), arrivai al punto da disinteressarmi completamente di un prodotto cine seriale che porta il nome del noto franchise di Capcom. Sì, a questo siamo arrivati. Questo è il punto di partenza. Come è andata quindi con questo ennesimo prodotto trasversale targato Resident Evil prodotto da Netflix? Male, come al solito. Io dico solo una cosa: levate di mano la licenza a Constantine Film, che ha prodotto dopo l’ultimo film anche questa serie tv, che non funziona né come prodotto associato a Resident Evil, né come libera interpretazione con la propria personalità che ha qualcosa da dire in termini stilistici e narrativi.
Resident Evil narra la storia di 2 ragazzine, Jade e Billie, figlie di Albert Wesker, alle prese con dilemmi adolescenziali che definirei retorici e anacronistici, almeno per quel che riguarda la sfera televisiva, e con i misteri dietro il lavoro del padre presso la Umbrella, dipinta come più classica delle multinazionali malvagie gestita da una altrettanto ordinaria cattivona che chiaramente dopo aver fatto casini a Raccoon City (la serie è una specie di seguito non canonico) ricomincia stupidamente e poco realisticamente a fare gli stessi tipi di sperimentazione catastrofica alla ricerca del farmaco definitivo. Le due ragazze, come un po’ tutti i personaggi, hanno una caratterizzazione a dir poco banale e quasi nessun tratto distintivo. Rappresentano il più ridondante emblema della ribellione che le dovrebbe renderle in qualche modo personaggi nobili, ma la verità è che sono fastidiose e fanno cose stupide. Come boicottare il lavoro del padre rispettato fino ad un secondo prima senza nemmeno provare a parlargli per capire che succede. Ma di contraddizioni e inconsistenze di trama la serie è stracolma. Più di una volta ci si chiede del perché un personaggio agisca in un modo bislacco e contradittorio con la sua caratterizzazione senza avere mai una vera risposta soddisfacente.
A peggiorare tutto è la stessa struttura della serie che alterna questo racconto ambientato nel 2022 con un altro arco narrativo ambientato nel 2036 che vede protagonista una delle due sorelle cresciuta e decisa a studiare gli zombie (uno dei pochissimi spunti interessanti della storia) per trovare una soluzione al problema in un mondo ormai totalmente vessato dalla piaga del T-Virus. Qui si recupera la dimensione più apocalittica trash, muscolare e camp di Resident Evil, quando ormai questa identità della saga è stata rinnegata anche dal brand principale videoludico. Il risultato è poco diverso da una versione low budget dei film di Anderson, una corsa alla sopravvivenza priva di mordente, adrenalina e -cosa peggiore parlando di resident Evil- tensione. Tutte le volte che con non poco sforzo si prova a imporsi di appassionarsi a quello che ci viene raccontato, la scena ci viene strappata via in un continuo e a tratti stordente Ping pong tra presente e futuro. Un cambio di scena nemmeno studiato come si dovrebbe.
Non ci sono parallelismi, l’azione viene spesso interrotte a metà, l’arco narrativo del 2036 manda a monte i timidi tentativi di creare qualche aspettativa e mistero nel 2022. Spesso infatti si capisce già dove si andrà a parare, togliendo il gusto di scoprire le cose. E il colmo è che le rarissime volte che mette in scena un plot twist, lo fa in maniera sgraziata e poco convincente. Quello che proprio non mi è andato giù però è che il più grande punto di raccordo tra le due linee temporali, gli unici puntini che vorresti unire perché la serie stessa ad un certo punto pone l’accento su di essi, semplicemente…non vengono uniti. La storia rimane inconclusa. Ti dà il contesto generale del come il presente si trasformerà nel futuro, ma non ti spiega come i personaggi arrivano ad un certo status quo, cosa che dovrebbe rappresentare il cuore della storia. In tutto questo dove sta Resident Evil mi chiederete voi? Purtroppo la risposta è in vaghi riferimenti al suo bestiario buttati un po’ qui e lì senza troppo contesto, qualche citazione ad eventi iconici e un po’ di nomi noti infilati tra i dialoghi didascalici, superficiali e mal scritti. Anche l’intero comparto tecnico è da bocciare, dalla messa in scena, alla computer grafica, persino la recitazione è scarsa, così tanto per alcuni personaggi da renderli involontariamente ambigui, e mi ha ricordato quelle ingenue e basse produzioni degli anni ’90 fatte senza troppa convinzione.
Un disastro totale quindi? Se proprio volessi cercare qualche lato positivo, potrei anche trovarlo a dire il vero. La nuova interpretazione del personaggio di Wesker è inaspettatamente interessante, soprattutto perché pur allontanandosi dalla figura originale nota ai cultori dei videogame, ad un certo punto se ne ricollega in maniera per certi versi intrigante. A metà serie c’è una sequenza d’azione per la sopravvivenza nelle prigioni che quanto meno acchiappa un pelo. Posso dire inoltre che la grana scelta e la fotografia (che rimane mediocre) filtrano in qualche modo le brutture del la pessima computer grafica rendendola meno appariscente. Insomma qualche sprazzo di decenza qui e lì c’è, ma a che serve in un quadro generale così sconsolante. È una serie che sceglie tanti registri ma non dà respiro a nessuno di essi, né spunti di reale interesse. Una serie sugli zombi un po’ teen, un po’ post apocalittica, piatta, girata in maniera davvero dilettantistica, che per di più si sabota da sola con sto criminoso montaggio parallelo tra le due linee temporali alternative. Che non accontenti i fan di Resident Evil è l’ultimo dei suoi problemi. Purtroppo si tratta di un prodotto scadente a tutto tondo. E la maledizione continua…