Durante la Gamescom 2022 abbiamo intervistato lo sviluppatore di Tunic, Andrew Shouldice, che ci ha parlato del gioco, dell’ispirazione, del Game Pass e non solo
i sono sempre piaciuti i giochi che contenessero segreti. Ho questo ricordo di me da piccolo con i giochi Nintendo e mi perdevo nei boschi, immaginando di esplorarli e vagavo con la fantasia”.
Questa è stata l’ispirazione per Tunic del suo sviluppatore Andrew Shouldice, che durante la Gamescom 2022 si è fermato a parlare con noi partendo da questo collegamento tra i videogiochi e la sua infanzia, questa sensazione di lasciare libera l’immaginazione, senza dubbio più facile quando si ha a che fare con qualcosa di sconosciuto, come ad esempio i segreti, appunto. Era da tempo, ci dice, che aveva in mente di sviluppare un gioco sui segreti, sull’esplorazione, con combattimenti difficili proprio perché stai affrontando qualcosa che non conosci.
In Tunic c’è anche un libretto d’istruzioni, che appunto ricorda l’infanzia, quando magari giocavamo con videogiochi in inglese senza conoscerlo alla perfezione.
Ci sono infatti un sacco di ragazzi che giocano videogiochi d’importazione, magari in giapponese tradotto in inglese e nessuna delle due è la loro lingua. Un’esperienza che Shouldice non ha avuto, ma ricorda comunque quando da piccolissimo voleva leggere dei libri senza sapere ovviamente ancora bene l’inglese, e questa esperienza gli è rimasta dentro.
“Immagina di giocare a Super Mario Bros – ci dice Shouldice – quando arrivi alla Warp Zone. A tre, quattro anni è la prima volta che leggi parole come ‘Warp’ o ‘Zone’ e non sai cosa significano, e il momento in cui capisci che quel gioco sta tentando di comunicare con te, ma tu non hai idea di cosa voglia dirti, ti dà quella sensazione che ci sia tutto un mondo da esplorare. Quindi la cosa che è venuta prima è stata il linguaggio, il manuale è venuto dopo. Quello che volevo era ricreare quella sensazione di non comprendere, di non conoscere e di volerne sapere di più.”
Tunic è un po’ un ritorno al passato, ma essendo tutto digitale è anche un po’ un ritratto dell’industria videoludica moderna.
Andrew Shouldice sottolinea come prima i manuali fossero parte del gioco, c’erano disegni, pezzi importanti di storia, spiegazioni. A volte c’erano delle vere e proprie guide strategiche, insomma, parte del design. Rendendoli digitali, quando aggiungiamo elementi che ti fanno conoscere il gioco, c’è questa doppia sensazione che da una parte ti fa dire “Cavolo, quel passaggio che cercavo l’ho mancato, ma è sempre stato lì”, e dall’altra, essendo comunque un oggetto, ti porta a trattarlo come tale, come un documento che ti svela cose che in realtà sono già presenti. Ma per quanto quanto riguarda la questione mercato fisico vs digitale, Shouldice sostiene che se Tunic fosse uscito anni fa, per il mercato fisico, con un manuale fisico, sarebbe stata un’esperienza completamente diversa da quella attuale.
Come per tutti gli sviluppatori, ci sono ovviamente delle fonti di ispirazione, e in Tunic è impossibile non vedere quella di Zelda. Anche se Shouldice ammette di aver giocato il primo Zelda soltanto in età adulta, è un titolo che cattura perfettamente quel sentimento di “nostalgia retroattiva”.
E poi c’è un gioco chiamato StarTropics, e altri più moderni come Fez, perfetto per il discorso relativo al rivelare pian piano le informazioni, o ancora La Mulana, in cui c’è “tutto un mondo di cose che non capirai mai del tutto”.
“Molte persone – ci dice Shouldice – hanno paragonato Tunic ai Souls, ma non tanto per il combattimento che sì, è difficile, quanto per il fatto che il mondo di gioco non è stato disegnato su misura per te. Ti senti piccolo, il mondo è una specie di artefatto, e il tuo obiettivo è scoprire come funziona, come se fossi un archeologo. E mi piace moltissimo questa definizione”.
Interessante poi la chiusura di Shouldice che, sollecitato sulla questione relativa all’uscita sul Game Pass, dice di vederlo come una cosa indubbiamente buona, come una grande opportunità per provare giochi. Un po’ come tornare ai tempi di Blockbuster, perché il Game Pass è quanto di più vicino ci sia a quell’esperienza di entrare in negozio, guardare tutti quei giochi e scegliere quello da noleggiare. Pensi “ho un’ora libera, vediamo a cosa posso giocare”, e ti avvicini a qualcosa magari senza nessuna aspettativa. Shouldice ricorda quel sentimento nostalgico di addentrarsi in qualcosa di cui si sa poco e niente, che solo con un servizio del genere si può raggiungere; “perché se devi spendere, per dire, 30 dollari per un gioco, è probabile che ti sia informato almeno un po’ a riguardo”.
Nel suo caso, ci dice, Microsoft si è fidata molto.
“Immaginate me che dico a Microsoft: ‘Vorrei fare un gioco. Non ci sono le istruzioni, le devi trovare tu e non sono in inglese’, e loro: ‘Ok, sembra buono’. Davvero, mi hanno supportato molto. Sono contento che sia sul Game Pass, sono contento che arriverà su PlayStation, anche con la funzionalità Game Help, che è come giocare con degli amici che possono intervenire nel gioco e darti suggerimenti e aiuti, ovvero un altro elemento nostalgico. Insomma, sono molto contento”.