Il nuovo live action Disney di Zemeckis, il remake del classico Pinocchio, è obiettivamente un buon film, ma troppo uguale all’originale e, un po’ come il suo protagonista, privo di cuore
i solito quando Robert Zemeckis mette le mani su qualcosa, lo trasforma in oro. Anche per questo, di primo acchito, l’idea di un live action del classico Disney Pinocchio diretto da lui ci ha incuriosito.
Subito dopo però in molti hanno pensato: riuscirà a renderlo memorabile?
Pinocchio è uno dei capisaldi dell’animazione Disney, che con il film del 1940 è riuscita abilmente a portare su pellicola la fantastica opera letteraria di Collodi, diventando un cult multigenerazionale quasi intoccabile, sebbene nel corso degli anni diversi registi abbiano provato ad approcciarsi a questa storia, non sempre con risultati entusiasmanti.
Di fatto però ognuno ha sperimentato una strada personale, evitando di impantanarsi in un remake vero e proprio, cosa che invece ha fatto la Disney stessa con questo live action firmato Zemeckis.
L’opera del regista di Chicago è infatti quasi una sorta di remake shot-for-shot, se non consideriamo qualche new entry e un finale un po’ diverso, ma per il resto ciò a cui assistiamo nei circa 100 minuti di visione è una riproposizione passo passo del cult animato. Le sensazioni che ci provoca tutto ciò sono ambivalenti, riuscendo ad ammaliarci con un effetto di inenarrabile nostalgia ma anche una inequivocabile percezione di assistere a una copia che, per quanto esteticamente accattivante e ben recitata, non sa donare nulla di nuovo.
Un problema – a discolpa di Zemeckis – comune a tutti i live action Disney, che faticano a catturare la magia delle controparti d’animazione: lì dove hanno fallito Aladdin, Il re leone, Il libro della giungla e via dicendo, perché mai avrebbe dovuto ottenere la gloria Pinocchio?
Forse per l’uomo alla regia, avevamo ipotizzato all’inizio, e infatti per un ragazzino di 10 anni che non ha mai visto l’originale Pinocchio o per un adulto che ha vissuto senza TV per tutta la vita, questo live action potrebbe essere in grado di colpire dritto al cuore.
Del resto c’è il fedele Tom Hanks, nei panni del falegname Geppetto, e Pinocchio sembra quasi la versione parlante e movente di Wilson in Cast Away: la loro sintonia, il legame dell’uomo con il burattino che considera a tutti gli effetti suo figlio, emoziona, così come riesce a straziarci l’anima il monologo iniziale di Geppetto.
Il suo desiderio di diventare nuovamente padre è palpabile, lacerante e – come ben sappiamo – proviene dal “profondo del cuore”, al punto da convincere la Fata Turchina (che è Cynthia Erivo, ma continuiamo a far passare “l’Ariel nera” come fosse l’unico personaggio di colore in un film Disney, dimenticando decenni di opere inclusive n.d.R.), avvolta in una luccicante CGI, a usare la magia per esaudirlo.
Per il resto, lo sappiamo, ci sono tematiche che volendo sono estremamente attualizzabili, come la brama di notorietà, spesso a dispetto dei valori e della cultura. “Essere famosi significa essere veri”, dice la Volpe all’ingenuo Pinocchio, con il risultato che ben conosciamo, ovvero finire nelle grinfie di Mangiafuoco aka Stromboli (un ottimo Giuseppe Battiston) e agitarsi sul palco facendo ridere gli spettatori.
Il problema, come ampiamente ripetuto, è che alla lunga un remake così fedele stanca e annoia, fa venir voglia di skippare o interrompere la visione, nonostante la qualità generale sia indubbiamente alta. Zemeckis ci prova a salvare la baracca (e i burattini), anche con momenti visivamente accattivanti come gli spettacoli nel Paese dei balocchi o l’epilogo marino nella pancia della balena, con tanto di rocambolesca fuga.
Nonostante tutto questo, ancora una volta ci troviamo davanti allo schermo a domandarci che senso abbia investire risorse, tempo, denaro ed energie in live action che non fanno altro che ricordarci che il film d’animazione sia un prodotto migliore della sua controparte in carne, ossa e CGI, e – di nuovo – al netto degli innumerevoli vezzi tecnici e la capacità di stregare visivamente, mancante di quello che ha reso incontrastabili i classici Disney: il cuore. Un po’ come il burattino Pinocchio.