Athena, il convulso film di Romain Gavras, presentato a Venezia e disponibile ora su Netflix, racconta il dramma delle banlieue parigine, in una storia che mescola intrecci familiari, politica e conflitti con la polizia, ma in modo confuso che si perde tra pur mirabili vezzi tecnici
d alcuni il nome di Romain Gavras potrebbe anche non dir nulla. Più probabilmente invece molti di voi avranno presente il padre Costa-Gavras, che nel 1970 vinse l’Oscar per il miglior film straniero e ottenne anche la candidatura nella regia, con la pellicola Z – L’orgia del potere. Anche dirigendo a volte star hollywoodiane, come in Mad City del ’97, Costa-Gavras è sempre stato un regista alla ricerca di temi impegnati, schierandosi dalla parte dei più deboli, inserendo questioni di carattere politico e sociale nelle sue opere.
In una simile direzione sembra andare il figlio Romain, al suo terzo lungometraggio da regista, affiancato qui dallo sceneggiatore Ladj Ly, che ha scritto e diretto nel 2019 Les Misérables (da non confondere col bel film di Tom Hooper), in cui raccontava disordini urbani, la violenza della polizia e i drammi sociali delle banlieue parigine. Athena, l’ultimo film di Romain Gavras, esplora più o meno le stesse tematiche, in modo ancor più radicale e brutale.
Onestante si parla molto di quest’opera già da un po’, e devo ammettere che la mia curiosità era tanta, avendo letto pareri entusiasti anche di critici con cui spesso mi trovo d’accordo.Il primo impatto con Athena è disorientante ma esplosivo. Il film inizia in modo deflagrante, scoppia come una granata nelle nostre mani, mostrandoci tutta la violenza di un barbaro confronto tra i giovani di questo quartiere popolare e la polizia, rea – secondi gli abitanti di Athena – di aver pestato e ucciso il fratello tredicenne di Karim (Sami Slimane), uno di loro.
Nel contesto parigino, Gavras mette così in scena una tragedia greca in chiave moderna, tra difficili legami fraterni, devastati da opinioni e scelte di vita che vanno in direzioni opposte, e una rabbia feroce scatenata dalla sete di vendetta.
Dopo una prima mezz’ora intensa e scioccante però, Athena distrugge tutte le aspettative facendo calare moltissimo il ritmo, allungando il brodo con momenti tremendamente statici che non donano pathos ma annoiano terribilmente, lasciando al mero – seppur efficace – virtuosismo tecnico gran parte dell’onere, in cui emerge l’energia delle riprese in cui Gavras e il direttore della fotografia Matias Boucard, che creano un lunghissimo piano sequenza o quantomeno l’illusione che ci sia, dandoci un rivoltante senso di claustrofobia soprattutto all’arrivo nel quartiere, e poi il giro nei cunicoli, nei passaggi da un palazzo all’altro, mentre nel mezzo brucia la rivolta.
Che Gavras sappia usare la telecamera però lo sapevamo già , dato il suo background e i suoi dinamici video musicali di artisti eccellenti come Jay-Z e Kanye West, ma lasciare lo spettatore incollato allo schermo per più di un’ora e mezzo è tutta un’altra storia. Il ritmo frenetico si affievolisce inevitabilmente, e nonostante abbia tra le mani il potenziale di un racconto crudo, spietato ed emozionante non riesce a sfruttarlo nel modo adeguato, che ambisca anche a una fluidità narrativa piuttosto che a un mero esercizio di stile, a cui in questo caso peraltro si aggiunge un finale ambiguo che rischia di indebolire ulteriormente il percorso precedente.
Le periferie parigine e la feroce realtà di quei luoghi sono state raccontate dal cinema in più frangenti, magari con meno tecnica di Romain Gavrais, ma il più delle volte senza dubbio con una storia e una narrazione più coinvolgente ed efficace di Athena.