The Midnight Club, la nuova serie horror di Flanagan, non è certo la cosa migliore che potete guardare ad Halloween su Netflix
osso capire perché Mike Flanagan abbia tanti estimatori.
È un autore che sa bene come confezionarti in maniera appetibile questi prodotti seriali adatti al palato di tutti. I suoi lavori hanno sempre quella vena dark con elementi sovrannaturali che cattura l’attenzione di grandi e piccini, di chi ama qualche brividino ma vuole fermarsi sul “soft”, ovvero la maggioranza del pubblico generalista. A livello di sceneggiatura c’è sempre impegno nel divagare, articolare l’arazzo narrativo, a fare in modo da non sembrare il solito raccontino di paura blando ma qualcosa di più ricercato. Il casting, la produzione, le location poi, sono sempre di buon livello.
Davvero, io capisco perché sia così apprezzato, ciò non di meno devo ammettere di non far parte del sentire comune visto che trovo il suo lavoro (con rare eccezioni come The Haunting of Hill House che non era malvagio) piuttosto mediocre e insipido, sia sul piano cinematografico che quello televisivo.
Proprio in relazione a quest’ultimo parliamo oggi di The Midnight Club che, ahimè, non smentisce l’infausta tendenza. Senza addentrarci troppo in dettagli narrativi non utili alla nostra analisi, sappiate che la serie è tratta dall’omonimo romanzo di Christopher Pike, e parla di un gruppo di ragazzi con malattie terminali che decidono di affrontare l’ultimo periodo della loro vita in una struttura privata, un hospice costruito dentro una antica villa che in passato ha ospitato singolari inquilini, come i membri di una setta i cui misteriosi rituali fanno da sfondo alle vicende della serie.
La villa l’ho trovato un ottimo palcoscenico, suggestivo quanto basta e per me scenografia con un potenziale orrifico abbastanza sprecato. Non mi sono dispiaciuti nemmeno i giovani protagonisti che quanto meno rendono “il taglio youg adult” della serie, forse quello più sopportabile. Il casting è piuttosto indovinato, i ragazzi sono bravi, offrono una interpretazione convincente ed eterogenea del rapporto con la propria malattia e dei disagi che ne derivano. Inoltre le interazioni che li riguardano, nel loro conoscersi, confrontarsi e sostenersi, offrono sicuramente l’aspetto più piacevole della produzione, almeno fino ad un certo punto. Il Midnight Club da cui prende il nome la serie, che vede radunare tutte le notti gli adolescenti nel crepuscolare salone della magione per raccontarsi delle storie di fantasmi e affini, offre uno spunto in più per approfondire questo aspetto, ma offre anche quello per cominciare a vedere dove la narrazione scricchiola di più. Questi racconti infatti, sebbene rappresentino sicuramente in qualche modo un lato della personalità di chi li racconta e sono funzionali al loro background, sfilacciano la storia principale con sottotrame interlocutorie secondo me poco interessanti e abbastanza noiose.
È vero che di fatto sono racconti più o meno improvvisati dai giovani protagonisti, e quindi le ingenuità alla loro base sono diegeticamente giustificate, ma questo significa che probabilmente era da ridimensionarne il minutaggio a loro dedicato. Durante uno di questi racconti uno dei ragazzi critica il fatto che la storia inventata da uno dei coetanei non spaventi ma al massimo “sorprenda” solo, visto l’uso maldestro che quest’ultimo faceva degli stilemi horror come i jump scare. Ebbene è paradossale che questa critica possa essere mossa da noi spettatori proprio verso la serie in toto. The Midnight Club quando deve fare l’horror, deraglia completamente.
Ogni volta che cerca di far paura non ce la fa, Flanagan usa i più beceri strumenti del genere, come appunto i jump scare, in maniera davvero sciatta, sbagliando la messa in scena, i tempi, cercando di creare scalpore visivo senza contesto. In realtà l’impressione è che non ci crede tanto nemmeno lo stesso autore alla verve horror della serie, e la componente paranormale rimane- fortunatamente per la storia, ma sfortunatamente per chi voleva vedere qualcosa di più da questo punto di vista- ai margini, per concentrarsi su altro, sui ragazzi, sui loro racconti, e sul mistero di tale Julia Jayne, ex paziente dell’hospice miracolosamente guarita e sparita successivamente da tutti i radar. Questo rappresenta il lato mistery della vicenda che sta solo un piccolo gradino sopra quello horror, risultando infine egualmente deludente. Il mistero è costruito attorno ad un paio di elementi così basilari e telefonati che capirete subito tutto su alcuni personaggi e relativi retroscena appena questi faranno capolino.
A conti fatti, il problema principale di The Midnight Club è quello di essere un prodotto un po’ presuntuoso, con troppe pretese, che butta più carne al fuoco di quella che può cucinare in maniera adeguata.
Vuole infilare nel calderone teen drama, mistery, horror, e vuole pure essere una sorta di antologia di racconti del terrore. Ma al netto di un’atmosfera malinconica che trasmette anche abbastanza efficacemente la pesantezza della condizione dei protagonisti e una messa in scena del loro disagio tutto sommato verosimile, il quadro generale è quello di una serie insipida, patinata, che manca di nerbo, che ruba storie già raccontate e già sentite mille volte, rimescolando le cose senza troppa personalità.
È una serie che cerca di essere fin troppo sofisticata ma finisce, soprattutto verso le ultime puntante, per rimbambire lo spettatore con un incedere degli eventi logorroico, troppo allegorico e retorico, che mi ha ricordato molto i motivi per cui avevo mal digerito anche Midnight Mass, dando l’impressione che tutto questo lavoro fatto per arrivare al finale sia sostanzialmente fine a se stesso. E alla fin fine la montagna partorisce un topolino. Eppure sono sicuro che The Midnight Club il suo pubblico come sempre lo troverà, e lo troverà entusiasta. La formula per confondere il pubblico generalista e fargli credere di aver visto qualcosa di estremamente coinvolgente Flanagan la conosce bene e la usa con successo già da qualche anno. Ma per quel che mi riguarda, qui manca sostanza, manca un focus tra i tanti proposti davvero riuscito o che abbia qualcosa da dire su qualunque piano. Manca un po’ tutto.
Ma forse quello con troppo pretese sono io. A posteri l’ardua sentenza.