Avatar: La via dell’acqua è ancora una volta un’esperienza immersiva e sfavillante
“La via dell’acqua non ha inizio e non ha fine”.
l motto del clan Na’vi oceanico dei Metkayina risuona nella nostra testa al solo pensare che questo primo sequel di Avatar duri ben 192 minuti e temiamo di restare intrappolati nel loop infinito in 3D architettato dalla diabolica mente di James Cameron.
Eppure, sorprendentemente per qualcuno ma non per chi vi scrive, non è affatto così. L’inizio c’è, la fine anche, e nel mezzo il film scorre fluidamente quasi facendoci dimenticare la titanica durata e facendoci immergere letteralmente in un mare di azione ed emozioni.
Ripartiamo – più o meno – da dove eravamo rimasti.
Dalle foreste stavolta ci spostiamo ad At’wa Attu, una barriera corallina tropicale dove Jake Sully (Sam Worthington), sua moglie Neytiri (Zoe Saldaña) e i loro quattro figli – Neteyam, Lo’ak, Tuk e Kiri – si sono rifugiati dalla “gente del cielo”, i militari corrotti che ora combattono per colonizzare Pandora in modo che gli abitanti della Terra possano avere un futuro.
Jake e la sua famiglia si alleano così con il clan dei Metkayina, un popolo chiaramente simile ai Na’vi, tranne per il fatto che la loro pelle è di colore verde acqua, hanno code più grosse, mani come pinne e tatuaggi simili ai Maori.
Va da sé che il mondo dell’acqua è forse ciò che più si presta alle sequenze tridimensionali, che diventano di fatto totalmente immersive, permettendoci di usare questo termine nel modo più corretto possibile. Ancor di più rispetto al primo Avatar, stavolta l’esperienza è sfavillante, totalizzante e tutti gli altri aggettivi che volete.
Un po’ come Jake, vorremo vivere su Pandora, dimenticandoci per un attimo quanto può essere crudele il genere umano.
Ci pensa James Cameron allora a ricordarcelo, con tutta la potenza di fuoco dei suoi armamenti tecnici, che provano ancora una volta a ribaltare l’equilibro e l’armonia di un mondo che viveva in pace, di un clan oceanico in simbiosi con i propri “animali guida”, i tulkun, creature gigantesche simili alle balene e profondamente intelligenti, che seguono una sorta di dottrina – la via dei tulkun, appunto – che proibisce l’uccisione e persino il contrattacco.
Le critiche sulla sceneggiatura e sui cliché lasciano davvero il tempo che trovano e già al primo Avatar erano, a mio parere, totalmente fuori luogo. Se andiamo a scandagliare gli script hollywoodiani almeno il 70% (e mi tengo basso) non sono qualitativamente superiori a quella del film di Cameron, con la differenza che qui almeno abbiamo a che fare con un impianto tecnico e visivo da far girare la testa.
Ogni volta che il film si immerge nelle profondità dell’oceano abbiamo la sensazione di nuotare nelle acque di Pandora, fatto di fauna iridescente e pesci non così diversi da quelli dei nostri mari, lasciandoci ammirare tale incredibile meraviglia. Ma è un film, non è un documentario o un parco tematico di VR, potreste obiettare. E infatti questo resta un discorso se non a latere comunque parte di una storia coinvolgente, che certo segue in modo canonico molte narrazioni cinematografiche di questo genere, tuttavia perché mai questo debba essere necessariamente un male? Cameron riesce a coinvolgerci in ogni sequenza, dando scorrevolezza e ritmo a un film che dura più di tre ore e già questo dovrebbe bastare per promuoverlo a pieni voti.
In tutto ciò ci ritroviamo a guardare sequenze di azioni mirabili e potenti, in quello che ormai è il consueto scontro tra gente del cielo e Na’Vi, e in cui purtroppo stavolta non ci sarà necessariamente un lieto fine. Come se Cameron volesse dire: “Se volete più dramma, eccovi accontentati”.
Avatar: La via dell’acqua è costato circa 350 milioni di dollari, cifre folli per le quali andrebbe in attivo soltanto se – ancora una volta – riuscisse a battere un proprio record, diventando il film di maggiore incasso di sempre. Ipotesi assolutamente possibile, anche nell’epoca delle piattaforme di streaming, dato che peraltro siamo anche a Natale (il film esce nelle sale il 14 dicembre).
“Il mare dà, il mare toglie”, ricordano i ‘Sully’ in uno dei momenti nevralgici della storia, e che a volte tolga ce lo ricorda persino Cameron quasi citando Titanic in una sequenza in cui una nave affonda e la gente getta in acqua le scialuppe di salvataggio.
Quello che ci dà invece è tutto il resto, questo nuovo incantevole viaggio su Pandora che, per citare un po’ Guillermo del Toro è sbalorditivo ed emozionante. Tutto il resto è una critica sterile destinata ad annegare tra le potenti acque di un film che ancora una volta farà la storia, che questo vi piaccia o meno.