Fresco di nove nomination agli Oscar, Niente di nuovo sul fronte occidentale di Edward Berger è sicuramente uno dei migliori film del 2022. Vediamo insieme perché
Nove nomination agli Oscar non si ottengono per caso, salvo esempi eccezionali sui quali potremmo addurre svariate spiegazioni. Ciò che è certo è che le numerose candidature alla premiazione del 2023 ottenute da Niente di nuovo sul fronte occidentale abbiano fatto discutere molto, forse perché in parte inaspettate.
Eppure, ad analizzare le uscite dello scorso anno non bisognerebbe stupirsi più di tanto, poiché il film tedesco diretto da Edward Berger merita decisamente di entrare nella short(nemmeno più tanto corta) list dei nove nomi per il Best Picture, così come per le altre categorie nelle quali ha ottenuto la candidatura.
Come dicevamo di recente parlando di Narvik, di buoni film di guerra ce ne sono tanti, ma in pochi riescono a lasciarti qualcosa in più. Possiamo dire che Niente di nuovo sul fronte occidentale, terzo adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo di Erich Maria Remarque, fa parte di quei pochi, soprattutto se consideriamo un range temporale circoscritto agli ultimi anni.
Certo, viene subito in mente 1917 di Sam Mendes, soprattutto per via di una inevitabile associazione tra i due protagonisti, nella gioventù, nel loro sguardo perso ma al contempo disposto a tutto per salvarsi la pelle. Un parallelismo in cui è emblematica la corsa di Paul (Felix Kammerer), che non può ricordare quella di William in 1917, suscitando il medesimo senso di angoscia che si ripercuote poi con forza in tutto il film di Berger, in linea generale ancor più inquieto e soffocante rispetto al lungometraggio di Mendes.
Il volto impaurito ma combattivo di Paul, la sua faccia sbarbata ma coperta di sangue, sudore e fango è il simbolo di una generazione falcidiata, quasi annientata dagli orrori bellici in cui migliaia e migliaia di giovanissimi vengono abbandonati dalla propria nazione a una devastante guerra di trincea, contando i giorni, le ore e minuti che li separano dall’armistizio. Riusciranno a sopravvivere fino a quando i vertici politici porranno la firma sui documenti? Questo terribile countdown ci racconta anche l’altra faccia della medaglia, dove i decisori e i politici cercano l’accordo che ponga fine alle ostilità, evidenziando in netto contrasto le brutalità del campo di battaglia dove i soldati muoiono, per la fame o per i colpi del nemico, con lo sfarzo di chi vive la guerra dietro la scrivania e una tavola imbandita, sebbene magari alcuni di questi abbiano ugualmente perso figli o giovani parenti. Come il caso di Daniel Brühl, che interpreta – come al solito in modo eccezionale – il vice cancelliere Matthias Erzberger, alla guida della delegazione tedesca che prova a negoziare con i francesi.
In mezzo a tutto questo chiaramente le numerose e terribili morti sul campo di battaglia, con la telecamera di Berger che non ci risparmia le scene più crudeli, le dipartite dei giovanissimi amici e compagni di scuola di Paul, che comprendono ben presto che la guerra non è affatto come la immaginavano e come probabilmente gliela avevano descritta.
Nel percorso di Paul sarà fondamentale il soldato Katczinsky, o meglio “Kat“, qualche anno più grande di lui e col cuore spezzato da un background personale tremendo, e consumato da una guerra che sta già combattendo da un po’, anche lui con il solo obiettivo di sopravvivere fino alla fine. La performance dell’attore che lo interpreta, Albrecht Schuch, è incredibile e dipinge perfettamente i turbamenti e il carattere di quest’uomo, al punto che probabilmente avrebbe persino meritato una nomination agli Oscar come attore non protagonista.
In contrasto con quel titolo che ormai conosciamo tutti perfettamente, l’opera di Berger è un racconto intriso di un dramma al quale sembra non esserci soluzione, nemmeno la famosa firma che sancisce il cessate il fuoco, perché la fine delle ostilità non coincide con la fine della guerra nella testa dei soldati e dei loro familiari, né di chi ovviamente non ce l’ha fatta ma nemmeno di chi riesce a sopravvivere, poiché gli orrori visti e vissuti, i tanti compagni persi tra le braccia e in modo mostruoso, restano indelebili e non se ne vanno via con una doccia calda.
È per questo che quel macabro presagio di morte che incombe dall’inizio alla fine della narrazione diventa un’eco nelle nostre teste, quasi una voce narrante che fa da sfondo a un terribile ma brutalmente vero racconto di guerra.
All’inizio ho sottolineato come di film sulla guerra ce ne siano tanti, ma pochi riescono restare nella memoria, come appunto sa fare quello in questione. Al contempo va detto che ci sono alcuni film che, per quanto belli, apprezzabili, intensi, riesci a vedere solo una volta per le forti sensazioni che sono in grado di suscitare. Niente di nuovo sul fronte occidentale è uno di questi.