Io sono l’Abisso, l’ultimo film di Donato Carrisi tratto – come al solito – da un suo libro, è arrivato anche su Sky e Netflix
Ormai Donato Carrisi ci ha preso gusto.
Dopo La ragazza nella nebbia (2017) e L’uomo nel labirinto (2019), arriva anche la terza trasposizione cinematografica di un suo libro, sempre con lo stesso Carrisi a fare da regista: Io sono l’abisso.
In seguito alla distribuzione nelle sale, avvenuta nell’ottobre 2022, la sua ultima fatica giunge anche su Netflix e su Sky, sistemandosi subito nella classifica dei più visti del momento sulle piattaforme.
Ancora una volta però, come negli altri casi, al Carrisi regista sembra mancare quello sprint necessario a rendere i suoi film ottimi alla stregua dei libri, perdendosi sempre un po’ nella seconda parte, quando invece ci sarebbe bisogno del giusto slancio.
Probabilmente dei tre il più riuscito resta La ragazza nella nebbia, che ricalcava più fedelmente le atmosfere thriller del romanzo, mentre qui ad una prima parte convincente in cui ci presenta l’inquietante netturbino interpretato da un ottimo Gabriel Montesi – che finalmente ha l’occasione di mettersi alla prova con un ruolo di tutto rispetto -, fa seguito una narrazione che si perde nei meandri contorti della psiche dell’uomo e dei personaggi che gli ruotano attorno, e anche slegando il libro dal film abbiamo a che fare con un prodotto ambiguo, che si smarrisce sul più bello dopo premesse interessanti.
Il netturbino senza nome è un serial killer del quale conosciamo la terribile infanzia tramite i tanti flashback che ci regala Carrisi, e la sua metodologia scrupolosa è probabilmente uno degli aspetti più intriganti del film, grazie alla cura che l’autore ripone sempre in questi dettagli, coadiuvati dai suoi studi di criminologia. Quando il netturbino salva una ragazzina di 13 anni (Sara Ciocca) che stava affogando nel lago, però, il suo castello di carte rischia di venire giù, anche a causa di una investigatrice sui generis (Michela Cescon) – anch’essa con un passato davvero complesso, di cui veniamo pian piano a conoscenza – peraltro non di professione, che si mette sulle tracce dell’uomo.
Tutti e tre i personaggi chiave del racconto hanno un vissuto particolare e molti problemi che emergono con forza tra le pieghe de Io sono l’abisso, all’interno di una narrazione che purtroppo – come abbiamo detto – non preserva quel ritmo intenso che avevamo subodorato all’inizio.
L’uomo senza nome è un personaggio senza dubbio interessante e ben congegnato, di cui avremmo voluto vedere e capire di più, del suo essere fuori dal mondo e privo di conoscenze base come l’uso di internet e di uno smartphone, e avremmo voluto persino conoscere ulteriori dettagli delle sue manie; del suo ordine ossessivo in netto contrasto con un’abitazione che cade a pezzi; dell’attenzione patologica per i dettagli dell’azione omicidiaria, che sono sempre tra gli aspetti più seducenti di un thriller, soprattutto quando – come in questo caso – l’autore dimostra di saperlo fare bene.
La stessa visione contorta e complicata di bene e male, il modo in cui a volte si possa trovare l’uno nell’altro è un tema a cui probabilmente Carrisi avrebbe dovuto dare maggiore risalto, ma anch’esso tende a sprofondare nell’abisso di questa narrazione involuta e confusa.
Un abisso in cui, dunque, sprofonda purtroppo la narrazione di quest’opera di cui resta da salvare l’ambientazione, la prima metà del film e l’interpretazione di Montesi. Nello scarno panorama italiano di genere, i tentativi di Carrisi restano comunque un qualcosa di apprezzabile.