Dopo la puntata di Cine Wildlife dedicata a Ben Affleck, torniamo a parlare di lui, davanti e dietro la macchina da presa
“Per mettermi i piedi in testa ci vuole Ben Affleck!”, diceva Maccio Capatonda in uno dei suoi celebri e comici trailer.
E se, uscendo dall’ironia, parliamo di regia questa frase ha davvero un suo perché. Insomma, si critica spesso il Ben Affleck attore, per via della sua mono espressione sempre piuttosto accigliata, una sorta di incapacità di ridere o mostrare rabbia o qualsiasi altra emozione, sebbene questo sia il più delle volte parte del suo personaggio che anzi, in alcune circostanze, ha persino evitato di renderlo ridicolo (pensiamo a Deep Water, per esempio).
L’amore per il cinema e per la recitazione nasce presto, come per il fratello Casey e l’amico fraterno Matt Damon, quest’ultimo suo compagno di scuola alla Cambridge Rindge & Latin High School.
Dopo qualche breve apparizione in spot pubblicitari e show televisivi, a partire dai vent’anni Ben Affleck inizia a comparire in qualche produzione, sebbene con ruoli da comprimario, come in Scuola d’onore (1992), nel serial televisivo Against the Grain (1993), e persino in Buffy l’ammazzavampiri (1992).
Nel ’93 viene diretto addirittura da Linklater in La vita è un sogno, e nel 1995 fa parte del cast di Generazione X di Kevin Smith. Il primo ruolo importante lo ottiene però nel 1997 in Vivere fino in fondo di Mark Pellington e nello stesso anno torna a lavorare per K. Smith nel film In cerca di Amy.
Ormai Affleck è abbastanza lanciato, ma la consacrazione arriva quello stesso anno grazie a Will Hunting – Genio ribelle. Nel film di Gus Van Sant, Affleck e l’amico Damon – oltre ad interpretare i protagonisti – curano la sceneggiatura, con la quale ottengono addirittura il Premio Oscar (e il Globe). Ancora oggi, a distanza di tutti questi anni, Ben Affleck resta il più giovane ad aver vinto l’Oscar in questa categoria.
Il successo di pubblico e critica lo porta a lavorare col regista Michael Bay l’anno seguente, entrando nel cast di Armageddon – Giudizio finale, e nello stesso anno recita anche in Shakespeare in Love, per passare poi per Dogma (1999), Bounce (2000) e parecchi altri film nel giro di pochissimo tempo. Forse troppi.
Nel 2001 è persino il protagonista di Pearl Harbor, ma la sua performance non convince tutti, in particolare la critica.
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È probabilmente questa continua ricerca alla sovraesposizione che non gli consente di effettuare scelte adeguate – tra tutte quella di Daredevil -, portando l’attore ad una sorta di momentaneo declino. Ma Affleck ha la scorza dura e pian piano risorge dalle ceneri, ottenendo un Globe e una Coppa Volpi a Venezia con Hollywoodland del 2006, ma soprattutto iniziando a mostrare le proprie doti dietro la macchina da presa. Il suo primo film da regista, Gone baby Gone, nel quale recita il fratello Casey, è senza dubbio molto acerbo rispetto agli standard a cui ci abituerà negli anni a venire, ma è un primo importante passo nella sua carriera da cineasta.
Il suo secondo film infatti è anche uno dei migliori: The Town, del 2010. Un heist movie puro, sebbene sia svilente etichettarlo soltanto in questo modo, date le molteplici sfumature di un drama in cui Affleck è anche il protagonista, affiancato da una impeccabile Rebecca Hall e uno straordinario Jeremy Renner.
L’incoronazione della critica arriva poco dopo, nel 2012, con Argo, il suo terzo film da regista.
La pellicola incentrata sulla crisi degli ostaggi in Iran del 1979-1981 riscosse un grandissimo successo di critica, oltre che di pubblico, conquistando persino l’Oscar come miglior film. Riuscì a battere un’agguerrita concorrenza, dato che quell’anno c’erano in gara opere come Django, Zero Dark Thirty, Les Miserables, tanto per citarne qualcuno. Due ore intense, mediamente scorrevoli – considerato anche il tema non proprio leggero – e la fotografia sgranata di Prieto, perfetta per un’ambientazione di questo tipo, fanno di Argo un film con pochi difetti.
Se dovessimo racchiudere con un singolo pregio l’attitudine da regista di Affleck potremmo usare la parola versatilità, dal momento che ogni film sembra nettamente diverso dall’altro, e a volte fatichiamo quasi a vederne la medesima impronta.
Si inserisce qui perfettamente La legge della notte (2016), penultima fatica del cineasta californiano, un gangster movie nudo e crudo, in cui ancora una volta l’attore si autodirige, ma che probabilmente resta il suo lavoro più debole.
A distanza di 7 anni Ben Affleck è tornato dietro la macchina da presa per Air, un’opera di cui ho già parlato nella mia recensione e che ho definito troppo frettolosa, seppur piacevole.
Perché in effetti la pecca principale di questo film non è tanto il minutaggio complessivo (circa 1 ora e 40 minuti), che anzi ci rende felici, ma il modo in cui è costruita l’opera, che ci dà la sensazione di essere un film pensato e scritto per durare almeno mezzora in più, per poi chiudersi in maniera eccessivamente rapida, lasciando incompiute o appena abbozzate alcune situazioni e soprattutto la psicologia dei personaggi chiave.
In mezzo a tutto ciò ovviamente non possiamo non citare il suo ingresso nel DCEU, annunciato nel 2013 e avvenuto di fatto tre anni dopo con l’uscita di Batman v Superman: Dawn of Justice, in cui veste – appunto – i panni del Cavaliere oscuro. La sua performance – probabilmente anche per via di un personaggio così universalmente amato – è divisiva, ma è innegabile che l’estetica risulti convincente, e infatti lo rivediamo poi anche in Justice League appena un anno dopo. Per tutta una serie di vicissitudini, tuttavia, l’attore abbandona momentaneamente il DCEU, salvo tornarci poi un paio di anni dopo, e lo vedremo anche tra poco nel nuovo film di Muschietti: The Flash.
Di Ben Affleck, attore, regista, sceneggiatore e produttore, potremmo parlare per ore ed è per questo che anche il nostro podcast di Cine Wildlife non è giocoforza esaustivo della sua lunga filmografia e le sue peculiarità, tuttavia personalmente sento di appartenere sempre di più alla schiera di quelli che tra l’Affleck attore e l’Affleck regista, preferiscono di gran lunga il secondo.