Bō: Path of the Teal Lotus ci racconta l’epopea di un germoglio che sembra una volpe
Bō è un germoglio. Un germoglio nato da una lacrima di un Kami, nello specifico. Un esserino celeste, uno spirito, o ancora meglio, uno yōkai. Nel lessico del gioco è un Tentaihana, uno tipo di yōkai creato dal creative director di Bō: Path of the Teal Lotus proprio per il gioco. Bō è piccolo e grazioso, ma porta sulle spalle un peso importante, un po’ come tutti i Tentaihana nati da una lacrima. La sua missione è grave, e lo vede coinvolto in un rituale all’interno di una terra sospesa nel tempo che richiama l’antico Giappone flokloristico.
La caratterizzazione di Bō, con il suo mantello di foglie e la sua testa di volpe bianca adornata di rosso, così come quella dei personaggi secondari e infine quella del mondo di gioco, è sicuramente l’aspetto distintivo di Bō: Path of the Teal Lotus. L’art direction ricca e raffinata traina il racconto del gioco, dettagliando personaggi e specie che abitano questo Giappone mitologico e caratterizando i non troppi biomi a disposizione.
Bō: Path of the Teal Lotus non è infatti un metroidvania dalla mappa enorme come quella di Hollow Knight o di Aeterna Noctis, ma le poche aree esplorabili riescono comunque a restituire l’idea di un piccolo mondo nel quale convivono specie diverse, ognuna con una sua cultura e una sua specifica posizione geografica.
Se il racconto è semplice e non rimane impresso, al contrario le atmosfere oniriche e sognanti e i personaggi bucano lo schermo anche soltanto per come sono disegnati e animati. Le situazioni che incontreremo serviranno a darci un’idea, un suggerimento, di cosa avviene in questo mondo, di quali sono i suoi costumi. Senza approfondimento certo, ma con eleganti momenti che ci sussurrano archetipiche storie senza tempo di folklore.
La dimensione del gioco non deve però trarre in inganno, perché Bō: Path of the Teal Lotus ha tutti gli elementi del metroidvania, da una mappa da esplorare con segreti da svelare a un sistema di crescita ben costruito.
Bō: Path of the Teal Lotus si concentra molto sul plaforming, diventando quel tipo di avventura a scorrimento in cui il combattimento è in secondo piano e anche le boss fight incorporano più elementi da precision platform che non da action. Avremo quindi a disposizione tutto il roster di mosse che abbiamo imparato a conoscere negli anni, tra salti, schivate, appigli a cui appenderci e soprattutto pogo, certamente meccanica principale del gioco.
Se questo focus porta a sezioni platform interessanti e intense, a volte quasi frustranti, il combattimento ne risente parecchio, e così alcune meccaniche di lotta ne risentono al punto di essere quasi superflue: ad esempio, nel gioco avremo a disposizione diversi daruma da equipaggiare e alternare on the go, ognuno in grado di offrirr un potere diverso, sia esso difensivo o offensivo. Questi daruma per essere “evocati” consumano la stessa risorsa che si utilizza per recuperare punti saluti (il tè), e così, sulla carta, dovrebbe costruirsi una situazione per cui è necessario sacrificare la possibilità di curarsi per sfruttare un potere.
Di fatto solo in rari momenti diventa necessario utilizzare questi daruma, e durante la mia partita ho sfruttato sempre sempre lo stesso potere per produrre più danni possibili in situazioni specifiche, consapevole che avrei potuto ricaricare il poco té consumato colpendo altrettante poche volte i nemici. Questo perché il gioco ci propone lunghe boss fight durante le quali è sempre centrale la capacità di rimanere in aria e colpire durante le aperture concesse. Il platform è ancora una volta principe quindi, e così ciò che conta diventa prima di tutto il sapersi spostare nell’arena di combattimento, e solo secondariamente si inseriscono in questo discorso i poteri offertici dai daruma.
Si tratta di piccoli problemi di bilanciamento che certamente non vanno a inficiare la resa finale del gioco, ma che avrebbero potuto essere tarati in maniera migliore, almeno per dare compimento a degli spunti interessanti ma sviluppati a metà che ci sono in Bō: Path of the Teal Lotus.
Le fasi platform invece sono molto molto più riuscite: sempre interessanti e complesse, richiedono buona manualità e capacità di adattamento, oltre a una discreta pazienza per resistere ai momenti di frustrazione. Bō: Path of the Teal Lotus non è un gioco mostruosamente difficile, c’è certamente di peggio, ma non è neanche un gioco semplice e spesso i checkpoint sono posizionati in modo un po’ cattivello, obbligando a ripetere più e più volte porzioni di gioco che si consideravano concluse.
Non si tratta di un difetto, anzi sono convinto che disposizione di checkpoint a parte il gioco faccia un buon lavoro nel creare una progressione nella difficoltà delle sfide e che non ci siano mai porzioni di gioco ingiuste o che richiedono una precisione sovrumana.
Insomma, non c’è da farsi trarre in inganno dall’estetica perché Bō: Path of the Teal Lotus non fa sconti. Non fa sconti ma restituisce anche una quindicina d’ore divertenti e interessanti, stimolanti sotto il profilo del gameplay e deliziose sotto quello artistico.