Quello a cui stiamo assistendo è un mezzo miracolo.
In Italia c’è finalmente un regista con le palle, a cui piace fare cinema anche quando fa la televisione. E quando fa il cinema? Fa il grande cinema. Stefano Sollima, al suo secondo lungometraggio, era chiamato alla prova del nove: bene le due stagioni di Romanzo criminale, bene ACAB (il suo film d’esordio) e benissimo con Gomorra. Ora si cerca la consacrazione, con un film che non tutti digeriranno, almeno non chi si aspettava un Mezzogiorno di fuoco tra le strade di Roma, fra droga, corruzione e puttane. Tutto questo c’è in Suburra ma il dosaggio dei vari elementi è perfetto. Sollima sperimenta, frammenta il film in tanti piccoli capitoli, corrispondenti ai giorni che hanno preceduto il crollo del Governo Berlusconi nel 2011 e durante i quali, tutte le famiglie malavitose di Roma attendevano l’approvazione di un’importante legge che avrebbe agevolato un clamoroso piano di sviluppo del litorale di Ostia…
Quel giorno è chiamato fin dall’inizio del film “l’Apocalisse”. L’Apocalisse, il peccato, il volere di Dio. C’è tantissimo simbolismo nella pellicola del regista romano che, giustamente, si chiude sotto un “benefico” diluvio universale (splendida auto-citazione di Sollima), che lava via, almeno per una notte, lo sporco di una Roma decadente, depressa e rassegnata ad essere fottuta giorno dopo giorno. L’emblema di una Capitale dilaniata da politici corrotti e nuove bande criminali che le succhiano il sangue giorno dopo giorno. È questo il punto di svolta nel cinema di Sollima e della sua “chiusura del cerchio”. Suburra (anche’esso tratto dall’omonimo romanzo di Giancarlo De Catalado) è l’epilogo della scia di sangue iniziata con Romanzo criminale. Non a caso Samurai, il personaggio interpretato da un sorprendente Claudio Amendola (a tutti gli effetti questa rimarrà la migliore interpretazione della sua carriera), è l’ultimo esponente rimasto della banda della Magliana. Un uomo che ha saputo mettere da parte idee politiche e umanità per dedicare la sua vita al controllo, la mano oscura in grado di pacificare tutte le bande criminali della città promettendo loro un sicuro guadagno. Ma in Romanzo criminale si diceva “Roma non vole capi” per giustificare il fatto che i vari capi-clan si scannassero sistematicamente gli uni con gli altri. Oggi, invece, se trovi un morto ammazzato perché voleva sedersi ad un tavolo troppo affollato e ti chiedono chi è stato a farlo fuori gli rispondi “È stata Roma”. Roma è come Patrizia, la mejo mignotta della città: è di tutti ma alla fine non è di nessuno… e presenta sempre il conto.
Sollima costruisce il film attorno ad un avvenimento ma non lo rende schiavo di esso: i personaggi sono tratteggiati in maniera magistrale. Alcuni sono riuscitissimi: il parlamentare burattino di Pierfrancesco Favino, il capo del clan di zingari del bravissimo Adamo Dionisi e soprattutto la “tossica vendicatrice” di Greta Scarano. Proprio su quest’ultima, a parere di chi vi scrive, è stato fatto un lavoro incredibile. Il dualismo tra ideale e compromesso è vivo e pulsante per tutto il film ma alla fine tutti scelgono il secondo, ingolositi dalla propria fetta di torta. Viola invece si muove “di pancia”, è lo specchio della criminalità di una volta, quella del Freddo, del Dandi e del Libanese. Per gente come lei non c’è più spazio, soprattutto in un ambiente dove se sei donna sei più utile come escort, per guadagni e possibilità di agganci politici (non sempre favorevoli). C’è tanta violenza in Suburra, psicologica soprattutto, quella che fa più male delle bastonate sulle gambe e dei colpi di pistola. La violenza di un politico indifferente davanti al cadavere di una giovane prostituta morta di overdose, nel suo letto. La violenza di un sistema politico in cui i partiti e gli schieramenti sono una facciata che nasconde (nemmeno troppo bene) arrivismo, cinismo e avidità.
Tutto questo ci scorre sotto agli occhi in due ore di grande cinema, come dicevamo. Un cinema portato avanti con passione e talento, fatto finalmente di grandi attori e soprattutto grandi personaggi. Sicuramente tra i migliori film dell’anno, la consacrazione definitiva di un regista “affamato”. Nel 2017 arriverà anche la serie televisiva, prodotta da Netflix. L’Italia continuerà a esportare il proprio talento all’estero… Peccato che sia sempre e solo farina dello stesso sacco.
A cura di Simone Bravi