Il Caso Spotlight racconta la clamorosa indagine condotta dal team giornalistico Spotlight, appunto, del quotidiano Boston Globe, in cui si denunciavano dei vergognosi casi di abusi su minori perpetrati da oltre 70 preti dell’Arcidiocesi di Boston. Le molestie, insabbiate ripetutamente sia dalla Chiesa, che dalle autorità, che dalla stampa stessa, verranno finalmente alla luce grazie a un gruppo di giornalisti decisi a svelare finalmente la disgustosa verità, soprattutto per impedire che altre vite vengano rovinate da esperienze simili.

Il regista Thomas McCarthy (The Cobbler) ha avuto un grandissimo pregio nel raccontare questo film: quello di non scadere nel facile sentimentalismo. Quando si parla di temi delicati e “scomodi” come la pedofilia, il razzismo o l’omosessualità, infatti, il pericolo maggiore è proprio quello del mostrare, di rappresentare fisicamente l’atto sotto accusa, nel tentativo di smuovere l’animo dello spettatore in maniera diretta e, concedetecelo, anche un po’ ruffiana. Spotlight invece attua la stessa formula che abbiamo visto nel pessimo La grande scommessa: ci fa vedere l’intera situazione dall’interno ma senza però schierarsi completamente a favore di un qualsivoglia organo citato nella pellicola. Con il dipanarsi della storia, infatti, anche la stessa testata che sta cercando la verità, si scopre colpevole di non aver dato la giusta importanza, anni, prima a testimonianze e segnali inequivocabili di quello che poi sarebbe accaduto. Anche questo film appare quasi come un documentario, uno di quelli interessanti, uno di quelli che ti fanno arrabbiare, perché quelle cose sono successe veramente, succedono veramente e vengono insabbiate veramente. La Chiesa ancora una volta viene attaccata, a tratti quasi demonizzata (gli unici momenti in cui McCarthy si sbilancia un po’ troppo) ma la maggior parte del tempo viene rappresentata come un’autentica azienda, di quelle senza scrupoli, dove i problemi vengono trattati esclusivamente dai legali (la maggior parte delle volte in maniera del tutto privata) e gli scandali legati ad essa devono essere necessariamente nascosti, per evitare di “spaventare” gli investitori (i fedeli ovviamente). E allora il problema della pedofilia assume anche connotati politici, oltre che morali. In tutto questo ci sono dei giornalisti che hanno l’obiettivo di arrivare alla verità, qualsiasi cosa succeda, qualsiasi siano le conseguenze, dirette o indirette che questa avrà sulle loro carriere e le loro vite. A differenza de La grande scommessa, qui il cast (di tutto rispetto: Michael Keaton, Mark Ruffalo, Rachel McAdams, Stanley Tucci, John Slattery) è totalmente al servizio della narrazione, senza mettere in scena inutili manierismi attoriali.

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Lo stesso fa McCarthy che, per quanto non sia affatto banale dietro la macchina da presa, predilige raccontare la storia attraverso i fatti, tirando dentro lo spettatore in maniera onesta e spontanea. Un altro punto a favore della pellicola è il riuscire a contemplare anche un approfondimento (seppur marginale) sul contesto giornalistico, fatto di gerarchie, sacrifici, scadenze e priorità (la sequenza in cui l’indagine sulla pedofilia si interrompe a causa degli attentati dell’11 Settembre è esplicativa) che spesso non guardano in faccia niente e nessuno. Certo, questo è un tema che farà sempre scalpore, in qualsiasi salsa lo si racconti, eppure riuscire a farlo con questa sobrietà e soprattutto con questa professionalità non è da tutti. Spotlight, comunque, non è e non ha bisogno di essere un capolavoro del genere. E’ semplicemente un film necessario, intrinsecamente giusto, che si merita la candidatura come miglior film e, se vogliamo dirla tutta, potrebbe essere l’unica pellicola a insidiare la seconda vittoria consecutiva di Inarritu, che con The Revenant pare lanciatissimo verso una storia doppietta. Statuetta o meno, Il Caso Spotlight è, indubbiamente, uno dei migliori film del lotto che si giocherà la statuetta il prossimo 28 Febbraio. Non perdetelo.

Simone Bravi
Nasce nella capitale dell'impero tra una tartaruga ninja, un Mazinga e gli eroi del wrestling dell'era gimmik. Arriva a scoprire le meraviglie del glorioso Sega Mega Drive dal quale non si separa mai nonostante l'avvento della PlayStation. Di pari passo con quella per i videogame vanno le passioni per il cinema, le serie Tv e i fumetti. Sembra Sheldon di The Big Bang Theory ma gli fanno schifo sia Star Trek che Star Wars. E' regolarmente iscritto all'associazione "Caccia allo Juventino".