La punta della punta dell’iceberg. Ovvero di oche e di galline.
Successo e popolarità: vanno sempre di pari passo? Stefano Bonfanti riflette sulla sua carriera fumettistica, tanto densa e colorata quanto invisibile ai più. E si toglie qualche iceberg dalla scarpa.
Il successo è una bestia strana, specialmente nell’aspetto. Qualche giorno fa ho visto in rete un’immagine che lo rappresentava: un iceberg che, come ogni iceberg che si rispetti, emergeva solo in piccola parte dall’acqua.
La sua punta era “il successo”, ovvero ciò che la gente vede. Alla parte sommersa, e quindi invisibile, venivano associati concetti come dedizione, duro lavoro, sacrifici, delusioni, fallimenti, persistenza e quant’altro.
In pratica: vedi il successo, ma non ti accorgi di quello che c’è sotto. Romantico e meritocratico, d’accordo, ma a mio avviso forse fuorviante. Quello che si vede non è tanto il successo vero e proprio. Forse un “successo percepito”. Sicuramente la popolarità.
Probabilmente, in una società televisiocratica come la nostra, la popolarità comporta ed esaurisce il concetto di “successo” e lì dunque chino il capo. Ma se per “successo” intendiamo il conseguimento di risultati e traguardi, a volte è sotto il pelo dell’acqua anche quello.
Sembra paradossale, poiché l’artista di successo ha le luci della ribalta, mentre l’uomo d’affari di successo lo noti perché parcheggia la Lamborghini fluo sui binari del tram. Eppure, quotidianamente, vivo ben altro. Se incontrassi il me di quindici anni fa che si dibatteva fra concorsi di fumetto per esordienti, col sogno di piazzarsi sul podio per avere la soddisfazione di vedere il proprio lavoro pubblicato, avrei un bel po’ di cose da raccontargli.
Partirei piano, dicendogli che l’autoproduzione che intraprenderà di lì a poco diventerà una collana di decine di titoli, alcuni con tirature niente male e più volte ristampati, e la gente li troverà sugli scaffali delle librerie o anche in testata nella più popolare catena di videonoleggi (vabbè, gli risparmierò il triste destino dell’home video, dato che ancora non lo sa).
Poi gli dirò che disegnerà un bel po’ di volumi per il mercato franco-belga e che, a distanza di anni, continuerà a ricevere royalties. Che non saranno granché nel bilancio familiare, ma saranno comunque ben più alte di quanto il giovane Stefano spende per andare in vacanza. Buttale via.
Gli racconterò dei suoi disegni che diventeranno il contenuto dei più popolari ovetti di cioccolato del mondo e verranno tirati in milioni di pezzi. O di altri disegni che finiranno su altri prodotti in altri punti vendita, ma sempre tanti e sempre ovunque.
E, tornando al fumetto, cosa dire riguardo al fatto che non sarà più lui a tormentare gli editori per farsi pubblicare, ma diventerà a sua volta editore e anche questo, già preso a sé, gli permetterebbe di vivere della sua passione?
Senza contare tutti i lustrini, come i vari backstage, le interviste in radio o in TV, le sessioni di dediche in Italia e all’estero.
Ma, quando i suoi occhi inizieranno a brillare diventerò sadico… o meglio, giungerò all’apice del mio masochismo. Gli indicherò i suoi “colleghi di esordio”, gente che a sua volta bazzica i bassifondi in cerca di fortuna, e gli narrerò come da lì a quindici anni stenteranno quasi a salutarlo. A volte platealmente senza il quasi.
Gli racconterò come venga puntualmente escluso dalle liste degli Autori, mentre vi campeggino nomi e foto con biografie che sono un quarto della sua. Autori invitati, ospitati e spesati negli eventi, mentre a lui vengono proposti i listini prezzi per esporre con un suo stand. Forse molti alla sua arte non danno due lire e non si capacitano ci sia chi gliele dà. Ma se alla fine queste due lire ci sono, perché non farci la cresta?
E va a finire che, quando da editore declamerà orgoglioso i nomi degli autori che ha nella ciurma, poi concluderà borbottando con un filo di voce “e poi ci sarei anch’io”, mentre l’interlocutore ha già preso la parola.
Qualcuno la chiama “sindrome dell’impostore” e fa sì che una fetta di persone, forse iper-critiche e in particolar modo con se stesse, percepiscano i propri successi come se li avessero in qualche modo strappati a qualcuno o ottenuti con l’inganno.
Perché tutto questo? Sintetizzo con un motto di Henry Ford: “Le anatre depongono le loro uova in silenzio. Le galline invece schiamazzano come impazzite. Qual è la conseguenza? Tutto il mondo mangia uova di gallina.”
Quel “chi si loda s’imbroda” ripetutogli come un mantra durante l’infanzia, da parte di adulti che in buona fede non volevano trasformare un bambino dagli ottimi profitti scolastici in un piccolo saputello arrogante, non tenevano conto del fatto che i piccoli saputelli arroganti diventeranno grandi e domineranno il mondo.
Non tutti, ovviamente, ma questo non tanto per quell’impeccabile giustizia da film anni ottanta in cui nel finale il bullo soccombe e il mite esce con la più carina della classe, quanto per l’ordinaria falcidie della realtà, che colpisce indiscriminatamente.
Io una congettura me la sono fatta. Mi viene in mente la barzelletta del tizio che va in merceria a chiedere una vite e il negoziante la tira per le lunghe chiedendo se a stella o a taglio, autofilettante o meno, cromata o no, dimensioni, peso eccetera, quando viene interrotto da un altro avventore che piomba in negozio col water sotto braccio e dice: “questo è il cesso, il sedere te l’ho mostrato ieri, me la vuoi vendere ’sta benedetta carta igienica?”
Ecco. Se si può essere pedanti per le caratteristiche di una vite, figuriamoci per quelle di una vita. Una persona, col suo bagaglio e col suo vissuto, potrebbe richiedere intere commissioni di indagine al lavoro per settimane per essere valutata. Ma in un mondo in cui l’attenzione è bene raro, l’unica cosa è chiedere ai consimili, così come una scimmia si decide a mangiare una bacca solo quando un’altra del suo branco la mangia a sua volta e resta indenne.
Dunque… referenze. E il primo che può darle, sei tu.
Ma il giovane Stefano non si immagina che la cosa sia così grave e che il suo innato basso profilo lo costringerà a una vita di gavetta, anche quando le tacche sul fucile sono tante.
Il vecchio Stefano forse proverà a parlarsi un po’ addosso. E da bravo impostore, magari riuscirà a convincere qualcuno.
Ma innanzitutto, dovrà convincere se stesso.